Allison Lisi e il ridicolo quotidiano di una generazione

Allison Lisi e il ridicolo quotidiano di una generazione

Giorgia Massari · 3 settimane fa · Photography

La fotografa Allison Lisi cattura ciò che la circonda – persone, luoghi e istanti – con un occhio foto-giornalistico. Le fotografie che produce sono apparentemente oggettive e documentarie ma celano, dietro un fittizio distacco, un punto di vista fortemente soggettivo e personale. Rappresentativo è il progetto “Zoo”, presentato lo scorso weekend a Liquida photofestival, in cui Allison Lisi sembra vagare e fluttuare da una stanza all’altra di una casa popolata di persone, amici probabilmente o semplici conoscenti.

I suoi soggetti preferiti sono infatti persone normali, suoi coetanei, di poco interesse comune, ma che per la fotografa sono rappresentativi di una condizione sociale. Come accade in “Zoo”, i suoi scenari sono effimeri ed esplicativi di una società fredda e individualista. Ogni scatto ha un unico soggetto, solo nella sua dimensione. Tutti i personaggi sono nella stessa casa ma nessuno è mai insieme, aumentando il senso di solitudine che pervade ogni scatto. Tuttavia, un solo scatto ritrae una duplice presenza: due corpi nudi giacciono in un letto, uno sopra l’altro. Nonostante la loro vicinanza, è evidente il totale distacco e la mancanza d’amore. Un atto intimo privo di emozione che esplicita la condanna della contemporaneità.
In “Zoo”, Allison Lisi trasmette il ridicolo del quotidiano della sua generazione e il senso di inadeguatezza che pesa inesorabile nell’aria, non servendosi di contenuti espliciti ma anzi, affrontando gli scatti senza drammaticità, quanto piuttosto con ironia e spontaneità.

Allison Lisi | Collater.al
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Courtesy by Allison Lisi

Allison Lisi e il ridicolo quotidiano di una generazione
Photography
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L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 

L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 

Laura Tota · 3 settimane fa · Photography

Sebbene si parli sempre più di immagini create artificialmente, la fotografia analogica vive una vera e propria rinascita. Ma come differisce rispetto a quella digitale? Come si approccia un fotografo alla pellicola e come si affronta il suo processo di stampa? Ne abbiamo parlato con Mariano Doronzo, fotografo e un poeta italiano con base in Inghilterra dal 2013. 

La sua ricerca fotografica inizia con la documentazione del suo viaggio personale all’interno del paesaggio e della cultura britannica con una vecchia macchina analogica. Allo stesso tempo, si specializza nell’utilizzo della camera oscura, dallo sviluppo del negativo alla stampa tradizionale in camera oscura.
 Nel 2021, uno dei suoi lavori è selezionato dalla Magnum Photos per una mentorship a lungo termine con Matt Black e Susan Meiselas. Attualmente sta lavorando alla realizzazione del suo primo libro fotografico.

Scattare in analogico, quindi su pellicola, è sicuramente un modo molto peculiare di approcciarsi al mondo della fotografia. Nonostante lo sviluppo della fotografia digitale, la pellicola sembra resistere e anzi vivere una nuova giovinezza. Da autore, come motivi questa sua estrema vivacità?

fotografia analogica

È una questione di percezione, paragonabile a quello che è successo nella musica con il ritorno dei vinili. In generale, una foto digitale è più nitida, più definita e contiene più informazioni di una foto analogica, ma da molti sarà ritenuta fredda e asettica. Impressa su rullino, un’immagine conterrà meno informazioni, eppure quasi sicuramente le verrà attribuito un maggiore valore a livello emotivo. Questo accade, in primis, perché si ha a che fare con un oggetto concreto che si può toccare con mano.

In secondo luogo, la fotografia analogica non ha la stessa immediatezza del digitale. Il processo è più lungo e complesso e si è più limitati. Gli scatti non si sprecano inutilmente (soprattutto considerando il costo attuale dei rullini) e il tempo dedicato a ogni singola immagine fa sì che ogni scatto abbia un’importanza maggiore. Cosa è successo in tutto questo? Ci siamo complicati terribilmente la vita per poter ritrovare un certo senso di conquista e riuscire ad apprezzare il risultato.

C’è chi giustifica il revival analogico anche col fattore nostalgia per una questione puramente estetica. Io credo che abbia a che fare molto di più con una reazione alla maniacale ricerca della perfezione estetica (e non solo) che regna nella nostra società. L’errore, l’imprevedibilità e l’imperfezione ci ricordano invece che siamo umani, che bisogna evitare di essere schiacciati dalle aspettative di un obiettivo finale, ma soprattutto che dobbiamo imparare a godere dell’intero processo, lasciando che la vita faccia il proprio corso.

Sappiamo come spesso, di norma, nel momento in cui si voglia stampare una foto, la sua forma tangibile venga già formalizzata nella mente del fotografo: secondo te, cambia l’approccio alla stampa dall’analogico al digitale?

Idealmente, ogni fotografo – qualsiasi tecnologia utilizzi – dovrebbe avere ben in mente il risultato finale desiderato, che si tratti di una foto da stampare o da pubblicare online. La correzione a posteriori, a volte, può essere complicata e non sempre garantisce di poter ottenere quello che si è immaginato. Nella fotografia analogica anche la stampa è un processo più lungo e complicato, molto costoso e ogni cambio di parametro (persino il semplice cambio di contrasto) richiede una prova di stampa per visualizzare il risultato. Perciò si cerca di facilitare le cose intervenendo già al momento dello scatto e dello sviluppo (ad esempio utilizzando tecniche particolari come “tirare” la pellicola) in modo da minimizzare gli interventi in fase di stampa in camera oscura.

Si ritiene che (forse erroneamente) che rispetto alla fotografia digitale (e la relativa postproduzione) lo scatto in analogico permetta meno creatività o modifiche dopo lo scattto: è un preconcetto o no?

È decisamente un preconcetto! La post-produzione è sempre esistita. Un esempio (non l’unico) è quello di una foto del Partito Comunista dell’URSS nel 1934, da cui Stalin fece rimuovere uno dei membri perché in seguito considerato nemico dello stato. Si dice che col passare del tempo, sospettando di tradimento, Stalin fece rimuovere, uno dopo l’altro, anche gli altri membri del partito fino ad essere l’unico e solo membro a comparire in foto.

La camera oscura è un po’ la stanza delle meraviglie per chi stampa le proprie foto: quali sono gli strumenti imprescindibili per ottenere delle stampe ottimali? E soprattutto, quanto si può sbagliare e riprovare a stampare la stessa foto da pellicola?

Le stampe ottimali non esistono. Tutto dipende dai gusti e dalla visione personale ovvero da come si vuole rappresentare il concept di un progetto attraverso un particolare tipo o modo di stampare. Che feeling voglio trasmettere con le mie foto? È questa la domanda che cerco di chiedermi ogni volta che stampo. E ogni volta mi ritrovo a produrre stampe completamente diverse, anche da uno stesso negativo, semplicemente perché ogni giorno abbiamo uno stato d’animo diverso. Non esiste stampa giusta o sbagliata, ma diversi modi di vedere una foto.

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Puoi spiegarci brevemente il processo di stampa in camera oscura? Quali consigli ti senti di dare a chi vuole costruire una sua piccola camera oscura?

Diamo per scontato di aver già sviluppato un rullino, stampato il provino a contatto (posizionando appunto i negativi sulla carta fotografica) e scelto il negativo da stampare con relativo crop. Inseriamo il negativo nell’ingranditore e ci accertiamo che la sua proiezione, sul piano dove andremo a posizionare la carta fotografica, è delle dimensioni prestabilite e perfettamente a fuoco. A questo punto, partendo da un contrasto neutro, dobbiamo calcolare il corretto tempo di esposizione per cui la foto appare come desideriamo. Per fare questo dobbiamo tagliare un foglio di carta fotografica in cinque strisce di egual misura ed esporre ciascuna di essa per un tempo diverso ad esempio 2, 4, 8, 16, 32 secondi. Sviluppiamo le strisce immergendole insieme prima nella chimica di sviluppo, poi nel bagno stop per arrestare lo sviluppo e infine nel fixer per stabilizzare l’immagine. Se una delle strisce apparirà esattamente come immaginiamo la foto allora possiamo esporre direttamente l’intero foglio al tempo corrispondente per poi immergerlo nelle tre diverse chimiche. Quindi si procede al lavaggio della stampa e infine si appende ad asciugare. Il mio consiglio è di cominciare a stampare, anche nel bagno di casa, con il minimo della strumentazione e in piccole dimensioni, almeno per far pratica con le basi. Una volta perfezionata la propria tecnica, sarà poi molto più semplice e meno dispendioso saper gestire spazi più grandi e attrezzati come quelli di un laboratorio professionale.

Nel caso ci si rivolga a laboratori professionali, quali sono i criteri di scelta principali per vedere un risultato ottimale di stampa?

La maggior parte dei laboratori professionali riesce a garantire in genere delle buone stampe. Per avere delle stampe ottimali io sceglierei in base allo stampatore che predilige uno stile più simile al look che vogliamo dare alle nostre stampe in modo che risuonino con i nostri gusti. Simile alla scelta degli studi di registrazione nella musica, benché la tecnologia garantisca una buona qualità di suono, sceglieremo lo studio affine al nostro genere per dare al nostro album un sound che rispecchi la nostra visione artistica.

fotografia analogica

Ascolta: Spigola Ep. 6 – Emanuele Ferrari

L’imprevedibilità e l’imperfezione della fotografia analogica nella fase di stampa 
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Come sarà Cortona On the Move 2023: “More or Less”, imperdibile.

Come sarà Cortona On the Move 2023: “More or Less”, imperdibile.

Laura Tota · 3 settimane fa · Photography

More or Less” è il concept che guida l’edizione 2023 del festival di fotografia Cortona on the Move, tema che apre sterminate interpretazioni e che, quasi in contrapposizione con la sua traduzione letteraria, vuole scandagliare in maniera netta e precisa un universo dicotomico su cui si muovono istante sociali e individuali, passate, presenti e future: una vera e propria cartina al tornasole che guiderà gli oltre 30 artisti per oltre 26 mostre della tredicesima edizione di Cortona On The Move nell’iconico borgo toscano.

cortona on the move | Collater.al

Come afferma Paolo Woods, Direttore Artistico del Festival di fotografia, «More or Less è il tema che ho scelto per questa edizione. Queste categorie definiscono il mondo in cui viviamo, le nostre aspirazioni, le nostre paure, le nostre appartenenze. La contrapposizione tra l’abbondanza e la scarsità, il superfluo e l’essenziale, le élite e le masse, l’accumulo e la dispersione. More or Less sono anche temi molto cari alla fotografia, intorno ai quali si sono sviluppati interi generi. A Cortona On The Move 2023 esploreremo More, guardando al passato e al presente, e ci soffermeremo Less sugli stereotipi, offrendo un programma ricco di spunti per comprendere il nostro mondo, e al contempo, povero di semplificazioni.»

cortona on the move | Collater.al
©Arnoldo Mondadori Editore

E nella lunghissima carrellata di autori nazionali e internazionali invitati a declinare il tema, emerge sin da subito una ricerca attenta, dinamica e pronta ad accogliere interpretazioni originali e a creare contenuti curati ad hoc: come il progetto “Ambiziosamente tua” – Amore e classi sociali nel fotoromanzo” a cura di Frédérique Deschamps & Paolo Woods in partnership con Fondazione Mondadori, in cui gli iconici fotoromanzi sembrano anticipare idealmente i più contemporanei influencers con cui condividono un giudizio di “leggerezza culturale” che supera i tempi.

A fianco di nomi di pregio assoluto nel panorama fotografico internazionale tra cui Larry Fink (uno tra i primi fotografi a testimoniare attraverso i suoi lavori la divisione in classi all’interno della società e di cui sarà esposta la raccolta di opere dal titolo Class Issues), Massimo Vitali (testimone dell’eccesso insito nel consumo turistico dei territori) o Chauncey Care (che con il suo “Working Class Heroes” denuncia la crescente dominazione sui lavoratori da parte delle multinazionali e delle élite che le dirigono e le posseggono), numerosi i nomi di autori che presentano lavori inediti.

cortona on the move | Collater.al
©Larry Fink
cortona on the move | Collater.al
©️Massimo Vitali
cortona on the move | Collater.al
©Chauncey Hare – The Bancroft Library

Per citarne solo alcuni, il nostalgico Memory Diamonds di Reiner Riedler (sulla realizzazione di diamanti a partire dalle ceneri dei defunti), il maniacale Katalog di Barbara Iweins (che fotografa dopo un trasloco tutti i 12.795 oggetti in suo possesso) o l’agrodolce Aka Zidane di Michaël Zumstein (una serie di ritratti che immortalano giovani uomini e donne africane che indossano il costume dell’eroe contemporaneo, ovvero il calciatore: un cortocircuito tra l’immagine di benessere cui la società ci insegna ad ambire e la necessità di portare a casa altri tipi di trofei).

Tra gli autori italiani in mostra, Marco Tiberio e Maria Ghetti con il progetto Invisible Cities CalaisMarco Zanella con Scalandrè, progetto vincitore del Premio Amilcare G. Ponchielli e Fausto Podavini che, in partnership con Medici Senza Frontiere, presenta il progetto Apnea.

cortona on the move | Collater.al
©Michaël Zumstein
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©Barbara Iweins

La musica trap e quella rap dialogano attraverso due progetti, ovvero Ultima Chance di Marco Garofalo che ritrae le periferie di Roma, Milano, Firenze, Napoli, Parigi e Londra in cui la tra gioca il ruolo di colonna sonora dell’urgenza sociale e Get Rich or Die Tryin’ (a cura di Lars Lindemann & Paolo Woods), una collettiva che ripercorre i 50 anni della musica rap attraverso lo sguardo di tanti fotografi che hanno seguito la nascita di questo movimento e ne hanno cristallizzato l’iconografia.

«Il nostro obiettivo è continuare quell’indagine della contemporaneità e del mezzo fotografico che ha caratterizzato il percorso intrapreso dal festival fin dall’inizio, arricchendola con nuovi valori e strumenti. Non solo opere inedite che aprono prospettive extra e meta-fotografiche, ma anche progetti che vadano oltre il principale medium di riferimento», dichiara Veronica Nicolardi, Direttrice di Cortona On The Move: lo scopo sembra essere pienamente raggiunto, grazie anche a una serie di partnership e collaborazioni con istituzioni e sponsor importanti e altrettanti progetti culturali realizzati ad hoc, senza perdere di vista il valore dell’immagine e la sua centralità nella società contemporanea. A ospitare le mostre, il centro storico della città, la Fortezza medicea del Girifalco e la “Stazione C” nei pressi della Stazione di Camucia-Cortona, a testimoniare la necessità di portare la fotografia fuori dalle sedi istituzionali e di far rivivere il territorio su cui insiste.

Cortona on the Move inaugurerà a Cortona il 13 luglio con un fitto programma di talk, presentazioni e letture portfolio e sarà visitabile fino all’1 ottobre 2023. Le info su tutti gli autori al link.

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©Dana Lixenberg
Come sarà Cortona On the Move 2023: “More or Less”, imperdibile.
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Come sarà Cortona On the Move 2023: “More or Less”, imperdibile.
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Per Elisa Parrino Rensovich siamo lo specchio della natura 

Per Elisa Parrino Rensovich siamo lo specchio della natura 

Giorgia Massari · 3 settimane fa · Photography

La natura ci offre una varietà di forme, di colori, di texture e di increspature incredibili e talvolta surreali. Molte di queste sono davanti a noi ogni giorno ma, molto spesso, non siamo in grado di apprezzarne il fascino o semplicemente non ci soffermiamo ad ammirarle. Basti pensare alla frutta e alla verdura e alle bellissime forme perfette che ci regalano. L’interno a strati concentrici di una cipolla, le striature di una mela o i colori saturi dell’anguria. Elementi organici che fanno parte della nostra quotidianità e che, per questo, vengono dati per scontati. La fotografa Elisa Parrino Rensovich dona a questi elementi una posizione di rilievo all’interno del suo progetto “Perpetual Metamorphosis”, in cui pone a confronto le texture organiche a quelle della pelle umana.

Elisa Parrino Rensovich | Collater.al

Le pelle è l’organo più grande del nostro corpo ed agisce come protettrice dagli agenti esterni. Per quanto apparentemente fragile, è in realtà la componente più resiliente del nostro corpo. È soggetta a trasformazioni costanti che, nel corso del tempo, emergono più o meno intensamente. Con una serie di fotografie realizzate attraverso una lente macro, caratterizzata dal soft focus, Elisa Parrino Rensovich mette in relazione determinati tratti della pelle, come le lentiggini, i lividi, le cicatrici, le vene, con elementi naturali, in particolare con la frutta e la verdura. Un naso è accostato ad una fragola, una cicatrice violacea ad una cipolla, un neo all’interno di un’arancia. Lo spettatore si trova di fronte ad elementi altamente familiari e riconoscibili che acquistano da un lato un sapore onirico e dall’altro penetrano nella memoria, concorrendo nel riaffiorare di ricordi o eventi del passato. 

Per Elisa Parrino Rensovich siamo lo specchio della natura 
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Dialogica: la doppia faccia della maternità

Dialogica: la doppia faccia della maternità

Laura Tota · 3 settimane fa · Photography

La maternità è uno dei momenti più delicati nella vita di una donna: la vita intera si prepara a cambiare, senza avere nessuna certezza di come sarà.

Insicurezze, paure, ansie e timore di non essere all’altezza delle aspettative sono solo alcune delle emozioni provate da chi si accinge a mettere al mondo un figlio e che spesso vengono sottaciute per senso di colpa e timore di differire da una narrazione dominante della maternità che la vuole come momento di felicità e gioia assoluta.

Eppure, la cronaca e l’attualità ci dicono che non è assolutamente così. Sempre più donne che si riconoscono nel ruolo di madri denunciano stati di depressione, confusione, sentimenti ambivalenti e contrastanti rispetto alla gravidanza e alla nascita.

Nel giorno che celebra la Festa della Mamma è quanto mai importante accendere i riflettori su tutto ciò ed evidenziare come, ancora una volta, la fotografia è in grado di affrontare temi attuali ed estremamente importanti.

Eyemamaproject

Impossibile a tal proposito non menzionare “Eyemamaproject”, il progetto riconducibile all’omonimo account Instagram che durante la pandemia ha spalancato le porte e accolto i racconti di mamme fotografe pronte a testimoniare con i propri lavori la complessità di questa fase della loro vita: il concetto di maternità viene scandagliato a 360 gradi, senza barriere culturali etniche o sessuali. Qui trovano voce anche testimonianze di chi ha perso un figlio o ne ha adottato uno o più di uno, chi è un genitore single o divorziato. E così ci si imbatte in volti stanchi, in case disordinate, in seni sanguinanti in seguito all’allattamento o in corpi esausti, ma anche in sorrisi, momenti di tenerezza, accoglienza e serenità. Perché l’essere madri è esattamente tutto questo nello stesso momento.

“Eyemamaproject” è oggi un libro, frutto di una open call che ha raccolto più di 2700 candidature provenienti da tutto il mondo.

Come racconta Karni Arieli, fondatrice del progetto: “Questo è un progetto nato per potenziare le mamme di tutto il mondo, dare visibilità alle “mama” artiste e condividere le loro storie di maternità chiare e oscure. Nel libro presentiamo 200 fotografe che si identificano come mamme in tutto il mondo, condividendo le loro verità personali sulla casa e sulla cura della maternità. Abbiamo una giuria di incredibili donne fotografe di tutto il mondo tra cui Elinor Carucci, Sarah Leen Aldeide Delgado Ana Casas Broda e molte altre. Lanceremo il libro a Londra e a Bristol, proprio nel mese dedicato alle mamme.

Il libro è acquistabile in preorder qui.

Sulla stessa linea, ma con una forte interconnessione tra immagine e parola, si muove “Germoglio” il lavoro inedito di Chiara Cunzolo, fotografa italiana impegnata nel sociale e in temi legati alla diversità. Non c’è però traccia di documentazione nei suoi lavori, bensì una ricerca evocativa, capace di parlare del mondo senza rappresentarlo con l’immediatezza comune. La sua ricerca avvicina letteralmente lo spettatore attraverso scatti di dettagli, in cui spesso emergono (formalmente e metaforicamente) le luci e le ombre di questioni sociali spesso controverse.

Chiara ascolta i racconti di chi vive quotidianamente la diversità e ne subisce le conseguenze, ne elabora le voci, le parole e le emozioni e le traduce in immagini: così, da oggetto di indagine, chi racconta diventa soggetto dell’immagine, protagonista di una storia non più ingabbiata in se stessa, ma condivisa e donata al mondo.

Il tema della maternità, drammaticamente alla ribalta nella cronaca quotidiana, viene messo in discussione, spogliato dell’aura di felicità e gioia socialmente imposte per mostrarsi in tutta la sua fragilità e banalità: solo corpi, intrecci di pelle e corpi microscopici e fragili, sguardi impauriti, cicatrici e stanchezza che raccontano un amore vero che, come tutti gli amori, è anche sofferenza, sacrificio e coraggio. Ad accompagnare le immagini, le testimonianze vere, pungenti, crude e senza filtri di madri che ogni giorno vivono l’apparente e l’ambivalente stato di grazia di chi ha messo al mondo una vita e se ne lascia sopraffare (“La prima volta che si è girato sentendo la mia voce e i nonni dissero “quando ti sente gli si illuminano gli occhi” mi chiesi come fosse possibile che lui si fosse affezionato a me che mi rivolgevo a lui al 90% con offese”). 

Immagini evocative, affiancate a quelle di una Natura che, seppur generatrice di vita, spesso nasconde insidie e varchi oscuri in cui è necessario addentrarsi per proseguire nel proprio cammino.

Chiara Cunzolo
Dialogica: la doppia faccia della maternità
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Dialogica: la doppia faccia della maternità
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