Descrivere le opere parlando della tecnica con le quali sono realizzate coincide con un approccio accademico in molti casi necessario. Aiuta la catalogazione e l’inserimento in serbatoi tematici con il quale siamo abituati a raccontare la storia dell’arte. In un discorso di definizioni, la tecnica nel tempo ha lasciato spazio al concetto e all’astrazione: l’astrazione dell’arte prima della manifestazione dell’arte.
Oggi uno dei campi di maggior sperimentazione è quello digitale. Il metaverso inseguito da Mark Zuckerberg e Meta non è solo una possibilità commerciale, ma uno spazio di creazione. Gli NFT vengono battuti all’asta come olii su tela fiamminghi e il linguaggio non è più quello della grande tecnica pittorica né dell’arte concettuale, ma un linguaggio di codici informatici, come nel caso della GAN Art.
Il GAN (generative adversarial network) consiste in un insieme di reti neutrali che vengono addestrate attraverso un algoritmo per generare nuovi dati. Da questo set di dati l’algoritmo ricava informazioni e crea nuove immagini o video, creando forme ma anche oggetti iper definiti, che hanno una importante caratteristica: non esistono realmente.
Le possibilità di creare opere aumentano e cambiano in relazione alle informazioni immagazzinate dalla rete, e a cambiare è di conseguenza anche il ruolo dell’artista. I GAN artist si posizionano più vicini al concetto che i rinascimentali avevano della professione, sono artigiani informatici, in quasi tutti i casi privi di una formazione accademica a favore di una numerica. La GAN Art si apre all’improvvisazione, intesa come risultato creativo, come spontaneità, ma non nel momento della creazione. Maneggiare codici e algoritmi richiede necessariamente un knowhow informatico.
Le immagini di soggetti che non esistono stanno aprendo numerose possibilità ai galleristi e alle case d’asta, con deviazioni e punti di contatto con espressioni più contemporanee come i meme. Per la prima volta si sta creando un momento in cui l’arte è prodotta e non più riprodotta.
Che cos’è?
Qualche anno fa aveva fatto rumore la pagina “This Person Does Not Exist” (ideata dall’ingegnere informatico Uber Phillip Wang), che attraverso il GAN generava volti di persone inesistenti. La pagina aveva l’obiettivo di “sensibilizzare l’opinione pubblica” come dichiarato da Wang, e aprire le porte alle infinite possibilità del GAN e non banalizzare il discorso agli esempi di deepfake.
Lo stesso Ian Goodfellow, il primo ad introdurre questa tecnologia dopo gli studi informatici a Stanford in Deep Learning e Machine Learning, ha pensato al GAN per “migliorare lo stato dell’arte in termini di qualità e distribuzione”.
Basta cliccare sul sito thisxdoesnotexist.com per capire quanto possa essere, anche, angosciante guardare le immagini iperrealistiche di GAN Art. Suscitano un diverso effetto quelle astratte, in cui a mischiarsi sono i colori, senza definire forme precise. In queste ultime c’è uno degli aspetti più interessanti della forma d’arte, ovvero l’impressione di incompiutezza. Ci sono vuoti di definizione dell’immagine e la curiosità nasce da quella sensazione di cogliere forme vagamente famigliari o già viste, semplicemente perché è così. È possibile unire in un’unica immagine o video tutte le opere di una stessa corrente artistica, oppure con uno stesso tema, come fatto da Anna Riedler insieme al programmatore David Pfau in Bloemenveiling (2019), una serie di tulipani ricavati da quadri del XVII secolo.
Come detto la GAN Art non apre molte strade all’improvvisazione, gli esempi citati fino ad ora e quelli che seguiranno sono accumunati da un approccio necessariamente informatico prima che artistico. Anche la potenziale continua rielaborazione delle opere, una delle grandi possibilità del mezzo (pensate a un videogioco in cui il paesaggio si crea all’infinito, sempre diverso) richiede un lavoro enorme di correzione dei codici e rieducazione dell’algoritmo.
La GAN Art non ha un limite di ricezione, tant’è che ultimamente è sempre più sfruttata per eventi ed Installazioni. Bulgari di recente ha allestito un’esperienza sensoriale in Piazza Duomo a Milano, mentre Christie’s già nel 2019 aveva parlato di Intelligenza artificiale e GAN nel suo Art e Tech Summit.

Opere d’arte che non esistono
Su thisxdoesnotexist.com è possibile non solo ricreare opere d’arte come quadri, ma anche oggetti di artigianato e design, anfore antiche o sedie, così come altre categorie più bizzarre quali le idee, la satira o le emozioni. Anche testi di canzoni, mappe, parole, occhi o cavalli, tutto creato in machine learning.
Mario Klingermann, artista e programmatore pioniere della GAN Art, ha lavorato con diverse realtà, curatori e musicisti, tra questi la collaborazione con i Massive Attack per il loro EP Eutopia è un esempio. Klingermann è anche il primo artista ad aver visto una sua opera di Intelligenza Artificiale venduta in una casa d’aste. È stata Sotheby’s a battere nel 2019, per 40mila sterline, l’opera “Memories of Passerby”.
Altri progetti interessanti sono quello di Noah Veltman che genera locandine dei film (divertente cercare di riconoscerli), oppure quello del Kazako Amir Zhussupov che ha creato un algoritmo capace di unire in una sola opera le illustrazioni di Hans Ruedi Giger. Sofia Crespo sceglie di concentrare la sua ricerca sulle forme della natura, Robbie Barrat su immagini di nudo, che complicano ancora di più il discorso sulla censura e sull’imprecisione dell’algoritmo che definisce cosa sia giusto o meno pubblicare sui social.
Come detto tutti questi artisti sono in primis tecnici. Si crea così, non certo volutamente, un attrito provocatorio tra la figura del tecnico nerd che vede le immagini come numeri e la versione tradizionale dell’artista visionario, abituato all’astrazione.
Non è secondario questo ruolo del GAN. Il dialogo e la messa in discussione dell’identità e del ruolo degli artisti ha coinciso in molti casi con momenti di grande innovazione e rottura. Il crescente interesse da parte del mondo dell’arte per NFT e AI, posiziona le opere di GAN Art come uno dei prodotti più contemporanei e dal maggior potenziale espressivo. Si riesce a sfruttare linguaggi più diretti come quello dei meme, recepibili, fatti di simboli, testi e layer stratificati, i quali creano una similitudine con le informazioni contenute nei dati sovrapposti.
Con lo sviluppo del GAN in diversi ambiti della cultura e dell’informazione, potrebbe aprirsi un problema di tutela, ai quali si è già andati incontro per esempio con i video di deepfake. La GAN può già creare fake news, finti annunci di lavoro, finti annunci immobiliari, finti curriculum e canzoni che nessun musicista ha mai suonato. Rimane un territorio da esplorare per ragionare sull’origine dell’espressione artistica, del ruolo di partecipazione che gli artisti hanno in una comunità anche digitale e su quanto siano teneri quei gatti che, purtroppo, non esistono.
