Ha inaugurato alla Triennale di Milano la mostra “Diachronicles. Giulia Parlato“, che espone il lavoro della fotografa siciliana vincitrice dell’ultima edizione di Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2022.
Un progetto fotografico sviluppato negli ultimi quattro anni tra Palermo, l’entroterra siciliano e Londra, dove attualmente la fotografa vive. Parlato ha raccontato a Collater.al quali tematiche affronta il progetto, che attraverso scatti in bianco e nero vuole approfondire il legame tra archeologia e fotografia, fondamentale per la costruzione della conoscenza storica, ma anche strumento rivelatore dell’impossibilità di conoscere fino in fondo il passato.


“Il progetto” dice Giulia Parlato “si concentra sullo scavo archeologico come processo attraverso cui si può scoprire ma anche distruggere, volevo analizzare il rapporto tra la fotografia e l’archeologia moderna, che nascono insieme e quindi hanno da sempre un legame.” Sulle scelte dei soggetti raffigurati la fotografa aggiunge poi che “il progetto è presentato come un archivio storico-fotografico in cui sembra di raccogliere degli indizi, in realtà è costruito prendendo spunto dalla fotografia documentaria, sia quella archeologica sia quella forense della scena del crimine. In tutte le fotografie tendo a costruire scenari anche quasi desertici, dai quali estraggo elementi. Altri soggetti che ho fotografato sono i falsi storici, ne ho scattati alcuni conservati all’interno dei musei di Palermo o al British Museum. A quest’ultimo ho chiesto delle scansioni a raggi x di falsi che avevano acquistato pensando fossero opere autentiche, salvo poi scoprire che erano solo delle riproduzioni.“

Il progetto parla molto di come tutti questi frammenti, che possono essere architettonici o oggetti d’arte, si siano mossi nel tempo, dopo essere stati trovati si sono persi negli archivie, sono stati sepolti o rubati, mettendo in luce la responsabilità umana nella scrittura della storia.
Giulia Parlato ha aggiunto che “alcuni di questi frammenti in molti casi assumono valore solo una volta ritrovati e portati in un museo. Per questo ho scattato anche le teche, che determinano appunto il successo di un oggetto e il modo in cui altri vengono dimenticati, questo racconta molto del modo in cui ci raccontiamo la storia, con tutti i limiti del caso. Tutti questi meccanismi che utilizziamo per classificare e catalogare possono creare dei buchi storici.“


Molte delle fotografie del progetto sono state scattate in terra vecchia, uno scavo in corso nell’entroterra siciliano. La fotografa ha collaborato con un gruppo di archeologi, lavorando insieme a loro per costruire immagini che ricreassero un immaginario di fotografia archeologica. “Ci sono foto che ho costruito da zero, per creare questa idea di magia e il fascino che viene associato all’idea di trovare reperti, svelando un pezzo di passato. Alcune immagini infatti hanno dei bagliori, effetto che ho utilizzato anche nel video che accompagna la serie fotografica.“
Sulla scelta stilitica e l’assenza di colore Giulia ha aggiunto che “le immagini sono in bianco e nero perché volevo si giocasse un po’ con il preconcetto che abbiamo della fotografia archeologica. Molta della ricerca che ho fatto dentro gli archivi è su foto in bianco e nero e questa scelta dava più l’idea di sospensione temporale e distacco.”
Tutti gli scatti saranno esposte da Triennale Milano fino al 26 marzo 2023.
