Harry Potter: quando facevamo la fila per un libro

Harry Potter: quando facevamo la fila per un libro

Giulia Guido · 1 anno fa · Art

Impossibile non averla ancora vista. Sto parlando della reunion di Harry Potter, arrivata in Italia su Sky col titolo di Harry Potter: Return to Hogwarts. A vent’anni dall’uscita di Harry Potter e la Pietra Filosofale e dopo 7 libri, 8 film, una saga spin-off (Animali Fantastici), decine e decine di collaborazioni con brand, una domanda sorge spontanea: come fa il mondo del mago sopravvissuto a Colui che non deve essere nominato a riscuotere ancora tutto questo successo? 

Innanzitutto bisogna capire che quando parliamo di Harry Potter stiamo parlando di un caso unico nella storia sia dell’editoria che del cinema (e forse della televisione). Questo non è il mio parere personale, ma è semplicemente quello che si evince dai dati. 

I più giovani non lo hanno vissuto, ma quelli della mia generazione si ricorderanno le file fuori dalle librerie il giorno in cui usciva il nuovo attesissimo libro firmato da J.K. Rowling, i pomeriggi trascorsi a leggere e rileggere quelle pagine in cui ragazzini della nostra età sconfiggevano draghi, dissennatori e mangiamorte a colpi di incantesimi, le attese nello scoprire come avrebbero fatto a trasformare in un film le partite a Quidditch, le sfide del Torneo Tremaghi e l’aspetto di Voldemort. 

La saga iniziata con 500 copie edite da Bloomsbury, nel 2018 ha raggiunto la stellare cifra di 500 milioni di libri venduti e l’anno scorso ha visto una copia della prima tiratura essere battuta all’asta dalla Heritage Auctions di Dallas per ben 471.000 dollari (circa 417.000 euro). Se le versioni cartacee continuano ad essere ristampate in nuovi formati e con nuove copertine, anche le versioni ebook non deludono. Acquistabili direttamente dal sito Pottermore – lanciato nel 2012 proprio per raggiungere le fasce di popolazione più giovani e sempre più legate a tecnologia e device elettronici -, nel 2019 i libri digitali della saga hanno fruttato oltre 31 milioni di sterline, dimostrando che Harry Potter continua ad arrivare e attirare nuovi lettori. 

Gli otto film che hanno segnato il decennio 2001-2011 sono stati un successo di pubblico e di incassi, con la cifra record di 1 miliardo e 342 milioni raggiunta dall’ultimo Harry Potter e i Doni della morte – Parte 2. Inoltre, continuano ancora oggi a essere una sicurezza in termini di share per le emittenti televisive di tutto il mondo, basti pensare che durante la primavera del 2020 Mediaset ha registrato una media tra il 16 e il 17% di share quando ha deciso di rimandare tutti i film durante il primo lockdown, superando programmi concorrenti come Montalbano e Alberto Angela. 

È che quando sentiamo Hedwig’s Theme di John Williams provenire da una televisione accesa qualcosa di strano scatta in noi. Quelle note sono lo nostra Madeleine, però se una parte di noi torna indietro nel tempo, l’altra non può fare a meno, con un velo di tristezza, di chiedersi perché una sensazione così non capiti anche con altre cose, altri film, altri libri. 

È proprio qui che si nasconde la risposta alla domanda iniziale, perché Harry Potter ha ancora tutto questo successo?

J.K. Rowling, prima da sola e poi insieme a Warner Bros e a tutta la troupe dei film, è riuscita a creare un mondo dove si cresce, nascono amicizie e amori, si impara, si ride, ma si soffre anche, si piange, si ha paura, si muore. Non molto dissimile dalla realtà, ma con una differenza sostanziale: in ogni momento, anche quello più cupo, riusciamo a vedere un lieto fine. In ogni libro e film l’autrice ci ha insegnato, poco a poco, a imparare a credere nel bene e nel buono. 

Credo che sia per questo motivo che con una felicità-misto-malinconia ci rifugiamo sempre volentieri a Hogwarts, che negli anni ha saputo accogliere persone di ogni età e da ogni parte del mondo. 

“Harry: Professore, è vero tutto questo? O sta accadendo dentro la mia testa?
Silente: Certo che sta accadendo dentro la tua testa, Harry! Dovrebbe voler dire che non è vero?”

Perché di tanto in tanto abbiamo la sensazione che i corridoi del castello, le vie di Diagon Alley, la Tana, la dimora della famiglia Black al numero 12 di Grimmauld Place e addirittura il sottoscala del numero 4 di Privet Drive siano più casa del nostro condominio, dell’ufficio in cui passiamo la maggior parte del tempo, delle strade della città in cui viviamo. 

Che poi, sia chiaro, non è che abbiamo sempre bisogno di un mondo immaginario dove la gente si sposta da un luogo all’altro attraverso dei camini, a volte ci basterebbe riavere un mondo dove le persone siano disposte a stare ore e ore in fila non per l’ennesimo iPhone esattamente uguale ai cinque precedenti – o per un tampone di controllo -, ma per un libro per bambini, che solo per bambini non è. 

Harry Potter
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Com’è andato il MI AMI 2023

Com’è andato il MI AMI 2023

Anna Frattini · 3 giorni fa · Art

Siamo stati alla diciassettesima edizione del MI AMI all’Idroscalo di Milano fra veterani del festival e nuovi arrivati insieme a molte sorprese. L’appuntamento di quest’anno è stato lanciato come una vera e propria caccia la tesoro per l’unitissima community del festival. Il MI AMI rivendica anche quest’anno la propria vocazione come motore di cose nuove, accelleratore di incontri ed esperienze.

Una line-up infinita e costellata di artisti appartenenti a generi diversissimi fra cui i Verdena, L’Officina della Camomilla ma anche Ginevra con il suo pop elettronico. Imperdibili le performance di Lovegang126, Giuse The Lizia e Drast venerdì e Coez, Nayt e Mecna insieme ai Coma Cose e Fulminacci nella giornata di sabato insieme a Rondodasosa, per la sua prima data italiana dopo le controversie. Ci sono stati anche degli ospiti a sorpesa fra cui gli Ex Otago la prima sera, Willie Peyote sul palco con Fulminacci e Coez e Frah Quintale sul palco Dr. Martens.

Per altri scatti dal MI AMI qui il loro profilo Instagram.

Ph. courtesy Andrés Juan Suarez

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Richie Culver: il cinismo è arte?

Richie Culver: il cinismo è arte?

Giorgia Massari · 3 giorni fa · Art

Con soli 8 euro in tasca, il giovane diciassettenne Richie Culver lascia la sua casa a Hull, un paese nel Nord dell’Inghilterra, per inseguire la sua ragazza dell’epoca a Londra. Da qui ha inizio la sua carriera da artista, mosso dall’amore e senza alcuni studi artistici alle spalle.
Culver inizia a fare arte tra le strade e poi, inaspettatamente, la sua opera “Have you ever really loved anyone?”, un collage con un ritaglio di Jesse Owens, venne esposta alla Tate Modern di Londra durante una mostra collettiva. Richie Culver ora ha 44 anni ed espone le sue opere in tutto il mondo, riscuotendo grande successo grazie soprattutto alle sue frasi schiette e crude, scritte su tela

Richie Culver | Collater.al

La sua poetica ruvida proviene dal suo passato e le frasi sono spesso auto-biografiche. Richie Culver nasce da una famiglia di classe operaia, in un ambiente disilluso che influisce in modo preponderante sui suoi pensieri e di conseguenza sulla sua arte. Dalle sue frasi è evidente la sua lotta nei confronti del sistema di classi e della mascolinità contemporanea.
Le sue frasi ciniche conservano un umorismo oscuro e diventano universalmente comprensibili. Con la loro semplicità e attingendo dai luoghi comuni, fortemente combattuti dall’artista, le frasi di Culver sono in grado di comunicare con qualsiasi persona, di ogni provenienza e classe sociale. 

Richie Culver | Collater.al

Tra ironia e cinismo, Richie Culver si schiera contro la tecnologia e in particolare contro il mondo dei social. Emblematica è l’opera controversa “Did U Cum Yet?”, una delle sue classiche scritte a spray su tela, che diventò immediatamente virale su Instagram. In quanto l’opera stessa è una critica all’uso smoderato dei social, in cui l’artista paragona l’atto della masturbazione al bisogno di nutrire il proprio ego postando la propria arte su Instagram, Culver decide di distruggere l’opera originale. Realizza però un libro che contiene tutti gli screenshot dei commenti in risposta al pezzo, per lo più critiche.

Richie Culver | Collater.al

Oggi Richie Culver è un artista eclettico. La sua pratica spazia dalla pittura, alla scultura, alla fotografia e alla performance digitale. Attualmente la sua carriera è rivolta in particolare alla musica. I suoi pezzi audio diventano una continuazione dei suoi dipinti, oscillando tra musica e poesia.  

Courtesy Richie Culver

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Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Anna Frattini · 2 giorni fa · Art

Jason deCaires Taylor è uno scultore, ambientalista e fotografo professionista impegnato nella costruzione di musei e parchi di sculture subacquei. I temi trattati da Taylor riguardando l’emergenza climatica, l’attivismo ambientale e la capacità rigenerativa della natura.

Rimanendo sott’acqua, le sculture dell’artista si trasformano e con il passare del tempo forniscono un nuovo habitat per la fauna e la flora marina. Il tutto realizzato con cemento durevole, in grado di fornire una piattaforma stabile che consente ai coralli di attaccarsi e crescere. L’unicità di queste sculture subacque si concentra sul rapporto fra arte e ambiente che si interseca con questioni sociali, come la preoccupante condizione dell’ecosistema marino destinata a ripercuotersi sulla vita dell’uomo. L’intenzione di Taylor è di far riflettere gli spettatori su queste tematiche, offrendo un punto di vista diverso per un futuro migliore anche sott’acqua.

La prima scultura di Taylor, Il Corrispondente Perduto – realizzata in collaborazione con un biologo marino e un centro di immersioni locale – è stata posizionata al largo delle coste di Grenada, in Giamaica, un’area distrutta dall’uragano Ivan. La scultura si è rapidamente trasformata e col tempo vi sono stati aggiunti altri elementi, ben 26 alla fine. Così è nato primo parco di sculture sommerso al mondo. Da questo momento in poi, i progetti di Taylor sono diventati sempre più ampi fino al giardino sommerso di Lanzarote. Dal 2009 i siti subacquei realizzati dall’artista sono quasi una ventina in giro per il mondo e i visitatori oltre mezzo milione.

Il Museo Atlántico di Lanzarote, a circa trecento metri dalla costa e a dodici metri di profondità, ospita un’esposizione di oltre 250 statue che raffigurano, a grandezza naturale, alcuni abitanti dell’isola selezionati da James deCaires Taylor, ormai pioniere di questa nuova frontiera ambientalista nel mondo dell’arte.

Per scoprire gli altri progetti di Jason deCaires Taylor puoi visitare il suo profilo Instagram.

Ph. courtesy Jason deCaires Taylor

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La urban culture secondo Lugosis

La urban culture secondo Lugosis

Anna Frattini · 2 giorni fa · Art

Luca Lugosis – a.k.a. Lugosis – è un tatuatore, street artist e artista italiano che ha collaborato con brand del calibro di Dr. Martens, Market, Nike e molti altri. La sua poliedricità rielabora la urban culture in una chiave strettamente personale, legatissima alla scena milanese.

Ora attivo su Berlino, viaggia per il mondo alla ricerca di nuovi stimoli e ispirazioni. D’altro canto, Milano rimane un luogo molto importante per Lugosis, partendo dalle suggestioni metropolitane fino alla community che si è costruito con il tempo.

I personaggi ideati da Lugosis si muovono con agilità fra tatuaggi, illustrazioni e graffiti e raccontano i suoi pensieri e la sua percezione del mondo. Fra personaggi strampalati e weirdos, la poetica di Lugosis ricompensa l’anti-convenzionale senza pregiudizi. In definitiva, la cultura suburbana e l’estetica dei cartoon millennial sono di grande ispirazione per l’artista.

Ora, ripercorriamo alcune delle collaborazioni più interessanti dell’artista. Da quella per Nike con t-shirt e felpe dove Lugosis reinventa il classico logo a quella più grafica con Dr. Martens, portata avanti insieme a Strato. Anche per Carhartt i due artisti hanno collaborato insieme nel 2021 nello store del brand a Weil am Rhein in Germania, il tutto curato da Colab Gallery.

Ph. courtesy Lugosis, Colab Gallery, Dr. Martens, Nike

Per tutti gli altri progetti di Lugosis qui il suo profilo Instagram.

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