Il sapore dell’estate nelle foto di Julien Pounchou
“Un’estate è sempre eccezionale, sia essa calda o fredda, secca o umida.” scriveva Gustave Flaubert. Che l’estate sia sempre eccezionale è una verità incontestabile, è quel periodo dell’anno in cui tutto sembra possibile, in cui si aspetta un nuovo inizio, in cui le nostre giornate si liberano dalla routine quotidiana, la nostra mente si libera dai doveri e dai lavori da fare, il nostro corpo si libera lasciano intravedere tutta la sua bellezza. L’estate è attesa, felicità e nostalgia al tempo stesso. Catturare l’essenza dell’estate è quasi impossibile e quando qualcuno riesce in quest’impresa è sempre una piacevole riscoperta. Uno di questi è Julien Pounchou, fotografo francese che vive e lavora a Barcellona.
Julien è specializzato in ritratti e in fotografia di moda, ma tra i suoi lavori c’è sempre una costante riscontrabile in tutti gli scatti: l’atmosfera estiva.
I soggetti che fotografa, dai coloratissimi costumi, ai volti senza trucco, alla pelle abbronzata, sono illuminati dalla calda luce tipica dei mesi estivi, i raggi del sole abbracciano ogni cosa e guardando le immagini riusciamo quasi a sentirne il calore. Le fotografie di Julien Pounchou sono estremamente naturali e la scelta dell’analogico le rende ancora più particolari, immediate donando uno stile che si rifà a quello degli anni ’60 e ’70. E forse, è proprio la loro spontaneità a renderle eccezionali esattamente come l’estate di Flaubert.
Qui sotto puoi trovare una selezione di scatti di Julien Pounchou, ma per scoprirne di più andate sul suo sito e seguitelo su Instagram!
L’arte si nasconde in ogni dove, spesso in luoghi impensabili, come stazioni dei treni e sotterranei. Altrettanto spesso è davanti ai nostri occhi ogni giorno e neanche ce ne accorgiamo. Stiamo parlando di opere d’arte pubbliche, nascoste – ma neanche così tanto – tra le vie e i palazzi delle nostre città che passano inosservate. Ne abbiamo selezionate cinque da farvi scoprire. Scopriamo quali sono.
#1 L’orecchio di Adolfo Wildt
A Milano, vicino alla famosa Villa Necchi-Campiglio, più precisamente al 10 di via Serbelloni, si trova una scultura di Adolfo Wildt, realizzata nel 1927. Si tratta di un orecchio, inserito in una nicchia del palazzo, definito dai milanesi “La Cà de l’Oreggia“. In realtà non è solo un intervento scultoreo ma è un vero e proprio citofono. Un tempo, parlando all’interno dell’orecchio era possibile comunicare con la portineria. Per questo suo particolare dettaglio, viene spesso chiamato “il primo citofono d’Italia”. Oggi chi visita questa “scultura nascosta”, sussurra un desiderio all’orecchio sperando che si avveri.
#2 Il palazzo con il piercing
A Torino c’è un palazzo con il piercing. Stiamo parlando dell’opera Baci Urbani di Corrado Levi posizionata sullo spigolo di un palazzo che si affaccia sulla Piazzetta Corpus Domini. Più precisamente sullo spigolo del quarto piano del palazzo che si trova al numero civico 19. L’opera è realizzata dall’artista Levi insieme al gruppo di artisti e architetti Cliostraat, che nascono con l’intenzione di operare sullo spazio urbano. La scelta di dotare un palazzo settecentesco di un piercing, simbolo di modernità e di ribellione, è mossa dalla volontà degli artisti di condividere con la tradizione uno spazio, sia in termini concreti che astratti. Se si guarda con attenzione, si può notare che dai due “fori” sgorga del sangue, da un lato rosso e dall’altro blu, a simboleggiare il sangue del proletariato e quello della nobiltà.
#3 I cartelli stradali di Clet Abraham
I cartelli stradali sono il mezzo attraverso cui la città comunica con i suoi cittadini, regolando il suo flusso e i suoi movimenti. Partendo da questa intuizione, lo street artist francese Clet Abrahamdecide di intervenire artisticamente su di essi, utilizzandoli come veri e propri supporti per le sue opere. Tra le altre città, lo fa anche nella bella Firenze. L’artista opera in maniera diffusa, concentrandosi sul centro storico. Stando attenti potrete trovarne molti, alcuni interventi si trovano in Piazza della Signoria, in Piazza Duomo e anche al Belvedere di Piazzale Michelangelo.
#4 La Madonna con la pistola di Banksy
Tra le cinque, questa è forse la più famosa ma, nonostante si trovi in uno dei punti più centrali di Napoli, può facilmente passare inosservata. Si tratta del primo intervento in Italia da parte del più famoso street artist del mondo, Banksy. Stiamo parlando dell’opera che viene chiamata “La Madonna con la pistola” che oggi è protetta da una teca. Si trova in piazza Gerolomini, a pochi passi da via Duomo. Può essere scambiata per un simbolo religioso, di cui Napoli per altro ne è piena, ma si tratta invece di una denuncia da parte dell’artista di Bristol. L’aureola della Madonna è sostituita da una revolver, a simboleggiare – in modo provocatorio – il legame sempre più stretto tra il sacro e il profano.
#5 Il Labirinto Arnaldo Pomodoro
Con l’ultima opera torniamo a Milano e ci spostiamo dalla strada. Anzi, più precisamente vi portiamo in un sotterraneo. Stiamo parlando di una delle opere più sensazionali dello sculture Arnaldo Pomodoro che nel 1995 iniziò a realizzare un vero e proprio labirinto scultoreo. Si trova in via Solari 35 ed è un gioiello nascosto di Milano che non tutti conoscono anche a causa del suo singolare ingresso. Per accedere al Labirinto bisogna infatti entrare nello Showroom Fendi. Una volta varcato l’ingresso entrerete nel magico e mistico mondo di Pomodoro, che per realizzare questa enorme installazione impiegò quasi vent’anni.
AllaGalleria Wunderkammern di Milano arriva la mostra Diaspasis del duo di street artist PichiAvo, in apertura oggi 20 settembre fino al 21 ottobre. I due artisti valenciani sono noti per lo stile che fonde graffiti e arte classica. Curata da Giuseppe Pizzuto, la mostra rappresenta l’evoluzione dell’arte di PichiAvo. Insieme all’esplorazione estetica, il duo si concentra su un’indagine che guarda al potenziale dei materiali pur abbracciando un uso esplosivo dei colori. ‘Diaspasis’, una parola greca che significa ‘separazione’ e descrive la tecnica che i due hanno iniziato ad esplorare due anni fa. I PichiAvo dipingono con vernice spray, acrilici e olio su pannelli di cartongesso, che poi spezzano in frammenti multipli. La mostra presenterà oltre trenta opere, tra schizzi su carta e dipinti su cartongesso. Tutti con bordi irregolari realizzati quasi fossero sculture, spesso incorniciando soggetti dettagliati visti e fotografati in tutto il mondo. Li abbiamo incontrati per scoprire qualcosa di più.
PichiAvo, Cincinnati – USA (2022), Credits PichiAvo Studio
«Ogni opera è progettata per poter stare da sola o, in alcuni casi, far parte di un dittico o di un trittico», ci spiegano i due giovani artisti. Se da un lato traggono ispirazione da manufatti archeologici, spesso frammentari e dispersi in diversi musei nonostante appartengano allo stesso nucleo, dall’altro invitano anche i visitatori a giocare a un puzzle, ricostruendo storie e connessioni tra i soggetti all’interno dello spazio espositivo. Questi soggetti parlano della cultura mediterranea a cui apparteniamo e che il mito aiuta a trasmettere, in tutto il mondo, oltrepassando differenze linguistiche e religiose. Il mito ci unisce come esseri umani. «Di base, con il nostro lavoro invitiamo le persone a connettersi con il mondo del graffiti e con quello della cultura classica, che è quello che noi siamo. Sempre con il nostro lavoro cerchiamo di rappresentare la nostra essenza. Sono dieci anni che abbiamo scoperto questo modo di esprimerci dove ci connettiamo col nostro passato e invitiamo la gente a collegarsi con il passato, che vive e che convive con loro ogni giorno.»
PichiAvo, Parvis de la Defense, Paris – France (2022), Credits Julie Montel
Il corpus di opere è stato anche concepito dagli artisti per regalare ai visitatori e ai collezionisti l’illusione di ammirare frammenti di interventi che PichiAvo crea di solito negli spazi urbani; il cartongesso riproduce gli effetti dei materiali e dei colori con cui gli artisti si scontrano frequentemente nella loro produzione all’aperto. In merito alla mostra in galleria, i PichiAvo ci hanno spiegato ciò che significa per loro: «Per noi come artisti, lavorare con una galleria di Milano è perfetto per la nostra connessione con lo stile greco-romano, si unisce e si nutre del nostro lavoro. Siamo sicuri che avere questa connessione con l’Italia possa funzionare molto bene. Lavorare in una galleria, abituati a lavorare in strada e in uno studio, fa in modo di arrivare a un pubblico che altrimenti non potremmo raggiungere ed è un’opportunità di presentare il nostro lavoro in maniera diversa.»
Chi sono PichiAvo?
PichiAvo è un duo composto da Juan Antonio (Pichi, 1977) e Álvaro (Avo, 1985). I due street artist si sono incontrati nel 2007 a Valencia e da allora hanno abbandonato le loro ricerche artistiche individuali a favore di una produzione unica caratterizzata da un approccio innovativo e dalla fusione equilibrata tra arte classica ed arte urbana. Riconosciuti per la loro capacità di unire pittura e scultura in contesti urbani. Il duo PichiAvo lavora anche in studio, esplorando una vasta gamma di materiali e tecniche pittoriche. La loro arte da’ vita a una mitologia urbana che unisce persone provenienti da diversi contesti sociali, tutte accomunate da un immaginario culturale classico comune e da un profondo legame umano.
PichiAvo, Grañen – Spain (2021), Credits PichiAvo Studio
Il murale realizzato per il North West Walls Festival in Belgio nel 2015 ha segnato l’inizio della loro carriera internazionale. Oggi PichiAvo vanta mostre in gallerie e presso il CCCC Centre del Carme Cultura Contemporània di Valencia. Sono stati coinvolti anche in prestigiosi progetti aziendali, come la collaborazione con Bulgari a Roma nel 2018. Ma non solo, hanno anche realizzato una scultura monumentale alta 26 metri per il festival delle Fallas a Valencia nel 2019. I murales di PichiAvo si trovano in tutto il mondo, in oltre 20 paesi.
PichiAvo, Diaspasis series (2023), Spray, acrylic and oil paint on drywall, 122 x 115 cm, Unique piece – detail, Credits PichiAvo Studio
L’immaginario artistico di Yulia Zinshteinconserva una vena nostalgica percepibile fin da un primo sguardo. Tra scene di un amore passato, attimi di attesa davanti a un telefono e momenti di sorellanza, l’artista e fotografa di origini ucraine – con base a New York – esplora temi come la bellezza del desiderio e le connessioni umane. Il suo linguaggio è semplice e giocoso. Il tratto infantile sottolinea la sfera effimera che racchiude le esperienze della vita. I suoi dipinti sono ricchi di colori vibranti e dettagli intricati che trascinano gli spettatori in un mondo di contemplazione e introspezione.
La storia di Yulia Zinshtein influenza inevitabilmente la sua ricerca. Nasce nel 1990 a Philadelphia da genitori ucraini, all’età di soli 10 anni la famiglia lasciò l’America per trasferirsi a Mosca. Questa rilocazione fondamentale segnò l’inizio di un complesso percorso di scoperta di sé e di espressione artistica. Crescere come “la russa a Philadelphia” e “l’americana a Mosca” ha lasciato un segno indelebile sulla sua identità. Invece di sentirsi un’outsider, Zinshtein ha abbracciato la sua posizione unica, utilizzandola come una fonte di ispirazione per la sua arte.
Zinshtein ha trovato conforto e connessione attraverso la sua arte. È diventata un modo per lei di forgiare un senso di appartenenza nei suoi contesti sempre mutevoli. Le sue creazioni sono una testimonianza del desiderio umano di stabilire radici e creare qualcosa di permanente in un mondo in cui tutto sembra effimero. Attraverso il suo lavoro, intreccia una narrazione di desiderio, un’emozione universale che risuona con persone di ogni estrazione.
Ci avvolgono sconvolgendoci, a volte dando quasi fastidio allo sguardo, eppure non riusciamo a smetterli di guardarli. Sono i collage di Abraxas, nome d’arte di Davide Fossati.
Abraxas ha iniziato sperimentando con la pittura, il disegno e la scrittura e da poco più di un anno si è specializzato nella realizzazione di collage dal forte impatto visivo che giocano sulla moltiplicazione di dettagli del corpo umano, come gli occhi o le unghie, ma a volte si fa ispirare anche dal mondo animale.
Replicando e sovrapponendo il dettaglio scelto, Abraxas compone delle immagini sature: non esistono spazi vuoti, come se l’artista volesse riempire il nostro sguardo senza darci una via di fuga e, in effetti, è proprio ciò che succede quando guardiamo i suoi lavori.
Alcuni suoi collage ci spiazzano, vorremmo girare lo sguardo per non venire inghiottiti da decine di bocche aperte o da altrettanti corpi nudi che si fondono l’uno con l’altro, ma scopriamo di non esserne in grado. Addirittura avviciniamo l’immagine ai nostri occhi.
Noi abbiamo selezionato solo alcuni dei lavori di Abraxas ma per scoprirne di più visitate il suo profilo Instagram.