Abbiamo già avuto modo di vedere le opere di Laurids Galleé da Alcova, durante la Milano Design Week di quest’anno. A colpirci è stata la raffinatezza dei suoi prodotti, che combinano un estremo rigore strutturale con un delicato romanticismo delle trame. Ma chi è Laurids Galleé? La carriera del designer austriaco, come per i più grandi designer della nostra epoca, parte dall’Accademia di Design di Eindhoven, nei Paesi Bassi. Dopo i suoi studi iniziali in antropologia, il giovane designer segue l’impronta artistica della sua famiglia e combina i suoi interessi per la storia dell’uomo a quelli per un’estetica funzionale. Nel 2017 apre il suo studio a Rotterdam, dove oggi vive e lavora. La sua ricerca si basa sull’incontro tra metodi tradizionali e materiali innovativi, con una grande attenzione verso il concetto.
Il lavoro di Laurids Galleé si basa molto sul processo creativo e di ricerca. La sua estetica non è vincolata a una precisa costante ma piuttosto evolve di pezzo in pezzo a seconda degli stimoli provenienti dai materiali. Gli stessi impulsi creativi provengono anche dai suoi disegni, che molto spesso trasferisce sugli oggetti in sé, creando delicate texture dall’impronta grafica e talvolta orientale.
I discografici lo sanno, le immagini hanno un grande potere e buon videoclip può determinare in modo significativo la diffusione di un nuovo brano. Su tutto, location e styling sono le componenti più importanti da tenere in considerazione. Una scenografia dall’effetto wow e un buon look possono fare la differenza. Il recente videoclip di Travis Scott, girato nella casa-scultura Palais Bulles in Costa Azzurra, è un esempio lampante. Il primo brano dell’album Utopia, uscito qualche giorno fa, è già una hit e fa parlare di sé ovunque. A destare l’attenzione, oltre alla canzone in sé che vede il featuring con The Weeknd e Bad Bunny, è senza dubbio la location del video, ex proprietà di Pierre Cardin dal valore di 400 milioni di euro. Scopriamo qualcosa in più su Palais Bulles e su altre cinque ville-location di altrettanti videoclip iconici che abbiamo selezionato oggi.
Travis Scott ft Bad Bunny,The Weeknd – “K-Pop” a Palais Bulles in Costa Azzurra
Palais Bulles – conosciuto anche come Bubble Palace – non è estraneo ai riflettori. Molte case di moda, tra cui Dior, lo hanno scelto come location di sfilate, party ed eventi esclusivi. Oltre alla moda, anche la cultura lo sceglie come luogo per mostre d’arte, per spettacoli teatrali e per concerti. A colpire è senza dubbio la sua strana forma, a tratti aliena a tratti fiabesca, pensata e progettata dall’architetto e designer Antti Lovag che nel 1984 la costruì per l’industriale francese Pierre Cardin. La genialità di questo progetto trova conferma nel 1999, quando venne inserita nella lista dei monumenti storici francesi. Nel 2016 Cardin mise in vendita la proprietà, venduta per 400 milioni di euro, diventando una delle case più costose al mondo.
Måneskin – “Torna a casa” a Villa Arconati, Castellazzo di Bollate (MI)
Villa Arconati è forse una delle ville-location più ambite in Italia per girare videoclip. Dai Måneskin che la scelgono come scenografia della celebre canzone “Torna a casa”, a Blanco, Elettra Lamborghini, Lazza e Mr. Rain, la dimora storica nella provincia milanese diventa teatro di meravigliosi video musicali. Definita la piccola Versailles italiana, per via della sua sontuosità e grandezza, la villa fu costruita nel Seicento per volontà del suo primo proprietario Galeazzo Arconati. La sua superficie interna è di 10 000 metri quadri ed è suddivisa in 70 ambienti, oltre a disporre di un meraviglioso giardino all’italiana. Recentemente è anche stata definita “la villa della fortuna” perchè tutti gli artisti, ad eccezione di Elettra, dopo aver girato un video in questa villa sono saliti sul podio di Sanremo.
Taylor Swift – “Blank space” a Wingfield Hall, Long Island Sound
La villa, teatro nel 2014 del celebre video di Taylor Swift “Blank space”, fu costruita più di cento anni fa dal celebre architetto CPH Gilbert, su commissione dell’uomo d’affari Frank Winfield Woolworth. Al momento della costruzione si diceva che fosse la casa più grande d’America e, giusto l’anno scorso, fu venduta per più di 7 milioni di euro. Non fu di certo Taylor Swift a renderla celebre anzi, prima di lei grandi personaggi come Theodore Roosevelt e Billy Joel passarono di qui in occasione di eventi esclusivi.
Drake – “Toosie Slide” alla villa The Embassy a Toronto
The Embassy è la villa che compare nel videoclip di “Toosie Slide” di Drake. Ma di chi è? La villa è proprio dello stesso Drake che, più che altro per necessità, sceglie di girare il video proprio in una delle sue proprietà. Il video venne infatti rilasciato nella primavera del 2020, in pieno lockdown, e vede un Drake “nascosto” da un passamontagna, proprio per un’esigenza più “alta” e non per una scelta stilistica. La villa si trova a Toronto ed è opera dell’architetto americano Ferris Rafauli. Con un valore di 100 milioni di dollari, The Embassy trasuda ricchezza da ogni poro: ha interni in marmo, lampadari dorati, un campo da basket indoor, oltre a una serie di piscine interne ed esterne. A causa della sua evidente paura del vuoto, in cifra stilistica la villa può essere definita una rivisitazione contemporanea dell’Art Decò, pacchiana per alcuni, elegante per altri.
Migos – “Narcos” alla ex villa di Madonna a Miami
Forse alcuni di voi si ricordano il celebre commento di Madonna – “That’s my house in Miami! What are you doing there??” – sotto la foto postata su Instagram dai Migos fuori dalla sua villa. Il post annunciava proprio l’uscita di questo video, girato all’interno della lussuosa villa in stile toscano a Miami. I Migos sono entrati senza il suo consenso? Non è proprio così, il mistero è facile da svelare. La villa era in affitto su Airbnb e i Migos non si sono di certo tirati indietro dal girare un video a tema Pablo Escobar proprio lì. Ma in realtà, probabilmente tutto questo è stato solo una farsa. La villa non era più di Madonna da diversi anni e qui la storia acquista una componente ironica ancor più divertente. Nel 2000 infatti, la star americana mise in vendita la sua dimora, acquistata per la cifra di 7,5 milioni di dollari da un cane. Si tratta di Gunther IV, il pastore tedesco che ereditò tutto il capitale della ricca contessa tedesca Karlotta Liebenstein.
ROSALÍA, Rauw Alejandro – “VAMPIROS” alla casa impossibile di Xavier Corberó
Non poteva mancare un videoclip della queen indiscussa Rosalia, con l’ormai ex Rauw Alejandro. Questa è forse la più unconventional delle sei, anche più della ex villa di Cardin. Si tratta della casa impossibile dello scultore Xavier Corberó situata a Esplugues de Llobregat, un piccolo comune spagnolo. La casa è opera dell’artista stesso, amico e collezionista di Dalì e Duchamp, personaggio eccentrico e stravagante che decise di ritirarsi proprio qui, in questa villa dall’aspetto metafisico. In termini architettonici, la casa è sviluppata su più livelli con 25 stanze, un cortile interno esagonale e più di 400 opere all’interno, oltre a un giardino pieno di sculture di Corberó. Alla sua morte a ereditare il patrimonio fu la moglie Maria Dolores Rica che oggi, insieme al piccolo comune spagnolo, sta lavorando per dare una nuova vita all’abitazione. Dovrebbe diventare infatti un complesso culturale aperto al pubblico.
Dal 10 al 13agosto si apre il MAST, un festival che si concentra su musica, arte, sostenibilità e territorio a Scicli, in provincia di Ragusa. Il tema di questa terza edizione è “AERE”, legato al rapporto che l’uomo intrattiene con l’atmosfera. La selezione musicale porta con sè sonorità prevalentemente elettroniche e si cimenta nel sposare questo aspetto con quello delle arte visive per risultare in un’esperienza collettiva autentica. MAST è un progetto a lungo termine che non si esaurisce nei tre giorni del festival ma che vuole anche essere lo strumento attraverso il quale è possibile esprimere ed esporre il lavoro di ricerca su cui si lavora ogni anno.
«Questa edizione del MAST abbandona virtualmente la solidità della roccia e l’elemento terra per librarsi (e liberarsi..) nel dominio dell’etereo, della velocità e degli agenti atmosferici, i solerti operai del pianeta, in grado con il loro fervore incessante di modellare la montagna e le cime tempestose.» Si parte proprio da questo concetto per l’edizione di quest’anno, la terza dopo anni in cui sono cambiate moltissime cose. Tornare per ricostruire e iniziare un nuovo ciclo. Ma come nasce un festival di questo tipo e che cosa contraddistingue il MAST da tutti gli altri tornati dopo il COVID-19? Lo abbiamo chiesto a Anastasia Ruta e Francesco Gugliotta, i due ragazzi dietro a questo incredibile progetto.
Com’è nato il concept del MAST Festival?
Il progetto nasce dall’unione di due persone, che nelle loro esperienze professionali e artistiche sono costantemente a contatto con il mondo dell’arte visiva, dell’architettura e dell’imprenditoria creativa e musicale. Ambiti che si incrociano continuamente e spesso assumono un solo significato. Il concept, invece, nasce da una necessità comune che ci portiamo dentro dall’adolescenza, quella di poter avere accesso ad ambienti ed esperienze di ispirazione, anche e soprattutto a Scicli. Questa necessità, con cresciuta attraverso esperienze di arricchimento personale e culturale, è stata inizialmente la spinta per partire, per lasciare la Sicilia, facendo di altre città casa nostra. Con il passare degli anni ci siamo resi conto entrambi che per noi fosse fondamentale il bisogno di riportare qualcosa a casa, di mettere la nostra esperienza e le nostre conoscenze a servizio della comunità.
Che legame avete coi luoghi del festival e come avete deciso di organizzarlo proprio a Scicli?
Il legame con i luoghi del festival e quindi con il territorio sciclitano è viscerale, un legame fortemente segnato da tradimento e da perdono, tutto isolano. Questo aspetto è magnificamente descritto e interpretato da Manlio Sgalambro, con un cameo in Perdutoamor, il film diretto da Franco Battiato nel 2003. Il teologo la definisce legge dell’appartenenza: «Questa terra come la Ionia di Eraclito ed Anassagora è magica e richiama sempre a sé, come se fosse un diritto» – a noi, piace aggiungere anche una maledizione. Entrambi siamo nati e cresciuti a Scicli e abbiamo avuto la fortuna e la tenacia di poter costruire la nostra vita all’estero – dove abbiamo studiato e poi lavorato – rimanendo sempre a contatto con Scicli. Fino al momento in cui abbiamo deciso di impiegare noi stessi per portare avanti alcuni progetti sul territorio, convinti di quanto cultura e arte siano centrali per il benessere della comunità. È una relazione di amore e odio, profonda e imprescindibile, che ci spesso ci fa soffrire ma che ci da anche molte soddisfazioni.
Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il MAST da altri festival?
Partendo dal presupposto che MAST non si limita a vivere solo durante i tre giorni del festival ma un progetto a lungo termine, le caratteristiche che lo contraddistinguono sono sicuramente ricerca e sperimentazione, equiliburio costante tra programmazione artistica e strategia finanziaria, partnership strategiche tecniche e commerciali con realtà ed eccellenze del territorio e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. La città di Scicli (insieme al territorio circostante) è costellata di spazi monumentali preziosi, di periferie compatte e luoghi interstiziali. La loro distribuzione la rende un luogo ad alta intensità storico-culturale e sociale.
Quai sono gli aspetti più sfidanti dietro all’organizzazione di un evento come il vostro?
La sfida più grande ed eccitante per il nostro team è riuscire a far conoscere Scicli come centro culturale e di scoperta artistica. In molte occasioni, ciò che rende il nostro lavoro più complicato sono gli intoppi burocratici e istituzionali che spesso pongono paletti che – col tempo – ci auguriamo di abbattere.
“Gli stili vanno e vengono. Il buon design è un linguaggio, non uno stile“. Massimo Vignelli
Storia Del Design – Renato De Fusco
Dalla Rivoluzione industriale a oggi, una storia completa del design. Uno dei più grandi fenomeni culturali e socio-economici dell’età contemporanea, visto nei suoi aspetti più specifici: la progettazione, la produzione, il consumo e la vendita.
Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale – Bruno Munari
Tra i grandi libri di Munari, questo è quello che forse maggiormente rende felici i lettori per la leggerezza incantata con cui li porta a scoprire che saper progettare non è dote esclusiva e innata di pochi. C’è in ognuno di noi una creatività che queste pagine aiutano a sviluppare e a mettere in luce. Munari (Milano, 1907-1998), pittore, designer e sperimentatore di nuove forme d’arte, ha segnato una svolta fondamentale nella storia del design in Italia e nel mondo.
Design e comunicazione visiva. Contributo a una metodologia didattica – Bruno Munari
Che cosa è la grafica? Chi sono i designer? Come funziona la loro logica creativa? Quale uso fanno delle tecniche e dei materiali? Un maestro del design italiano ha scritto il più divertente manuale per comprenderne i principi, le leggi e le possibili realizzazioni.
La caffettiera del masochista. Il design degli oggetti quotidiani – Donald A. Norman
Capita spesso di non riuscire a “usare” un oggetto che abbiamo davanti, aprire una finestra ad esempio, utilizzare un telecomando, ma ciò non significa che siamo incapaci, significa che tale oggetto è stato progettato male. Donald A. Norman – e “il design antropocentrico” – ci svela i segreti del cattivo design e mostra cosa inneschi la nostra interazione con tanti oggetti di uso quotidiano. Il design efficace e a misura d’uomo è quello che sa combinare psicologia e tecnologia.
Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo – Riccardo Falcinelli
Perché nei dipinti di Mondrian il verde non c’è mai? Nella società delle immagini il colore ha un ruolo fondamentale in tutto ciò che facciamo, qualsiasi cosa. Tutte le società hanno costruito sistemi simbolici in cui il colore aveva un ruolo centrale e Cromorama ci racconta come oggi il colore sia diventato un filtro con cui pensiamo la realtà.
In tutte le sue manifestazioni, il design è il DNA delle nostre società. Se vogliamo capire la natura del mondo moderno, è questo codice che dobbiamo esplorare. Capitolo dopo capitolo, pagina dopo pagina, scopriamo quanto piacere ci sia nel conoscere attraverso gli oggetti, quanto possiamo coltivare noi stessi e la nostra stessa personalità circondandoci di oggetti, nei quali riconoscerci e ai quali affidare il compito di rappresentarci. Deyan Sudjic ci insegna ad apprendere questo linguaggio e ad avere un giudizio critico, così da renderci più consapevoli.
Per capire il design non basta conoscere le vicende degli stili e delle tecnologie dell’arredamento, ma occorre indagare le relazioni che legano gli oggetti e gli strumenti domestici con gli scenari più ampi della scuola e della cultura umana. Questo libro dunque non è una storia dell’industrial design né un’antologia critica a esso dedicata, ma il primo libro sull’evoluzione degli oggetti e il loro legame con la storia e la cultura. Un lungo percorso dall’antica Grecia al nuovo millennio.
“Emozione” è oggi una delle parole chiave per il mondo del design. In questo libro Norman riconosce che le sue concezioni precedenti, tutte impostate sulla funzionalità e sull’usabilità, erano limitate e limitative: non si può non tenere conto del piacere che ci procurano o meno gli oggetti che usiamo quotidianamente. Quello che ciascuno di noi rappresenta, è determinato anche dagli oggetti che usiamo: li scegliamo, li apprezziamo non solo per la funzione che svolgono per noi, ma anche per le sensazioni che ci danno.
Design marketing. Innovare cambiando. I significati del consumo – Meo Carlo
Un tempo il design era il territorio della forma applicata alla funzionalità, mentre il marketing il mondo delle idee per vendere di più ai consumatori: oggi il marketing ha bisogno del design per vendere i prodotti e far frequentare i luoghi di acquisto, mentre il design deve rivolgersi al marketing per affermare identità di marca e aumentare i fatturati. Questo libro fornisce gli strumenti introduttivi per capire come questi ambiti interagiscono tra loro.
Più di ogni altro elemento di arredo, la sedia è da sempre l’oggetto più studiato e progettato della storia del design. Dallo schienale alla gamba, dalla seduta al colore, ogni elemento riflette la presa di coscienza stilistica di un’epoca precisa. Ogni sedia ha una pagina propria nella quale viene sviscerata la sua storia, i suoi tecnicismi e il designer che l’ha progettata. Questo volume è una vera chicca per gli appassionati di design e un must per tutti i collezionisti!
Come suggerito dal nome Ghost House, le due installazioni realizzate dal collettivo i/thee nel deserto della California sembrano gli spettri di due piccole abitazioni che hanno resistito al tempo e alle intemperie. In parte questo è vero, ma il progetto nasconde molto di più.
In occasione del Design Laboratory Space Saloon del 2018 è stato chiesto ai partecipanti di progettare e costruire installazioni che affrontassero il tema del legame tra architettura e fattori ambientali. I designer di i/thee – collettivo che realizza progetti che celebrano la coesistenza di ogni cosa, vivente o non vivente, con l’ambiente – hanno quindi realizzato una sorta di esperimento di manipolazione dei materiali.
La progettazione delle Ghost House è cominciata dalla scelta del sito, ovvero il deserto della California, e solo successivamente si è passati alla fase di realizzazione vera e propria. Sono stati costruiti due telai di legno leggero, la cui forma ricordava vagamente quella di una piccola abitazione. Successivamente dei teli tagliati su misura sono stati imbevuti di una colla non tossica e sono stati usati per coprire le strutture lignee. A questo punto il resto del lavoro è stato fatto dalle condizioni atmosferiche, dal vento e dal passare del tempo. Nel giro di qualche ora la colla si è seccata, immobilizzando i teli in posizioni date dal vento. Infine, per dare ancora di più una sensazione di casa, sono state tagliate delle aperture come se fossero finestre.
“Il risultato finale è un’istantanea tridimensionale di un momento specifico nel tempo. È una struttura improbabile; una rappresentazione del passato esistente nel presente; né qui né là; il fantasma di una casa.”
La Ghost House non è solo una capanna che sembra mossa dal vento, è una capanna mossa dal vento, e lo sarà per sempre.