La bellezza della Design Week sta anche nel suo raccontare la storia del design, fatta di progetti visionari, riformulazione del presente e anni zero, nel quale è cambiato il modo di intendere un prodotto, magari di uso comune, come il caffè.
Per Lavazza questa porta scorrevole è stato il 1996, anno in cui la storia del brand si è intrecciata sempre di più con il mondo della progettazione, dopo i primi tentativi negli anni ’50 e ’60. Da quel momento oltre quaranta professionisti hanno collaborato con il brand torinese, per una serie di progetti raccolti nel volume Lavazza Design People. 1996 / 2020, edito da Corraini Edizioni e presentato proprio in questi giorni a Milano.
Il libro è una linea del tempo nel quale apprezzare dettagli progettuali, lo studio delle forme, la ricerca della funzionalità e i tentativi di conservare i valori di un rito quasi liturgico come quello di bere una buona tazzina di caffè.
All’evento milanese erano presenti come ospiti architetti, filosofi e designer, tra i quali Florian Seidl, responsabile del dipartimento Lavazza Design, che ha raccontato a Collater.al come si progetta una collezione per Lavazza.

Ciao Florian, secondo te perché gli italiani sono così ossessionati dal caffè?
Credo che sia molto semplice:
Lo beviamo.
Spesso.
E ci piace.
Qui in Italia il caffè fa veramente parte della vita. Per tanti rappresenta un piccolo rituale quotidiano. Da tantissimo tempo è legato e intrecciato alla cultura, alle tradizioni e alle abitudini di molti italiani, per questo il caffè è diventato un’ istituzione e fa parte dell’identità italiana.
In Italia sappiamo tutti che il caffè è un piacere. (Se non è buono, che piacere è?)

Il 1996 è stato un anno importante per Lavazza. Cosa è cambiato a partire da quella data?
Era veramente un anno importante per noi! Ovviamente non c’ero ancora, ma nel 1996 Lavazza organizzava un concorso per disegnare una linea di prodotti destinata a bar e ristoranti. Il concorso fu vinto da Claudio Caramel. La collezione, nota come Segno Lavazza, declinava una quarantina di oggetti tra i quali la tazzina: il suo capolavoro. La forma della tazzina riprende l’inclinazione dell’A centrale del logo Lavazza e ancora oggi rappresenta un’icona importante per noi.

Quanto è difficile trovare il design giusto per un rituale quasi religioso come quello di bere il caffè? È difficile unire la componente funzionale a quella più “intima” del gesto?
È molto difficile. Ma forse perché disegnare qualcosa di buono, giusto e rilevante non è mai facile. Di solito un’idea richiede tempo. Tempo per maturarla, esplorarla e per concretizzarla. Altrimenti rimane un sogno.
Sognare è facile.
Disegnare un buon prodotto di solito non lo è.

Le collaborazioni sono uno strumento importante per i brand per rinnovare la propria estetica e aprirsi a nuovi progetti. A Lavazza tu sei stato il fondatore di Team Lavazza Design, riusciresti a spiegare di cosa si tratta e come sta aiutano a migliorare il brand?
Posso dire che è stata una bellissima esperienza fondare questo ufficio di design, ma anche una vera sfida. Prima Lavazza non aveva una struttura interna dedicata e quando sono arrivato dovevamo sviluppare la direzione del design in tutte le sue parti. Ora seguiamo l’intero processo di sviluppo del prodotto, dall’idea iniziale fino alla produzione. Ciò richiede molta attenzione ed è estremamente importante assicurarsi che il prodotto finale sia fedele all’intento iniziale. In tutto ciò, l’identità italiana del marchio e il suo spirito aperto e collaborativo non sono cambiati. Ora abbiamo una direzione creativa che mira a raccontare una storia coerente attraverso il design, così aiutiamo la costruzione della identità del marchio – progetto dopo progetto.
Per finire, moka o macchinetta?
La moka sempre per colazione. Per il resto anche la macchinetta.
