Dalle forme organiche e con una palette di colori saturi, le opere di Leo Orta, giovane designer francese, intrecciano i confini visivi dell’arte e del design. E’ proprio da questa particolarità tecnica e concettuale, che oscilla tra l’arte e il design, che emergono i lavori di Orta nel panorama del collectible design. I suoi pezzi unici hanno un approccio artigianale volto ad esplorare le tematiche sociali, spaziando dalla scultura alle installazioni, passando per la pittura e la performance. Collater.al ha deciso di incontrare Leo Orta per approfondire di più il suo lavoro durante un’intervista esclusiva. Di seguito, conosceremo meglio il designer francese e in particolare qualche curiosità sulla sua ultima mostra personale “Day Dream“, inaugurata a Beijing nella galleria Room 6×8 lo scorso giugno.

Leo Orta è un designer di origine anglo-argentina, vive in Francia e lavora a Seine et Marne. “Sono curatore, artista visivo e designer, ho studiato in Olanda alla Design Academy di Eindhoven e ora sono tornato in Francia dove vivo e lavoro” ci racconta.
Con OrtaMiklos – il duo creativo di cui facevi parte – eravate soliti chiamare il vostro processo creativo “design ignorante”, costringendo il vostro lavoro a non essere a conoscenza delle tendenze in corso, come i temi, i colori o i valori materiali. A cosa ha portato tutto ciò?
Il mio ex duo OrtaMiklos è nato dall’idea di sfidare i confini tra arte e design. Abbiamo usato la nozione di guerrilla marketing o di guerrilla performance per integrare questi sistemi di fiera o di settimana del design. Una delle idee che avevamo intorno agli oggetti era quella di abbattere i confini tra nobili e poveri, e i materiali che li circondano. Cercavamo tutti gli oggetti che potevano finire nelle discariche, che potevano finire contro i nostri beni, contro ciò che volevamo, e di trasformarli in un modo che potesse essere totalmente punk. In questo modo abbiamo introdotto questi materiali in un ambiente interno, o meglio, in spazi che permettessero la discussione e la teoria intorno a certi oggetti. Pensavamo a noi stessi come a degli ignoranti, lasciando da parte l’apprendimento, ma mantenendo il nostro know-how per giustapporre tutte le nostre conoscenze ed essere in grado di costruire cose che non fossero influenzate da ciò che ci circondava. Non seguivamo l’idea delle tendenze, ci piaceva sperimentare, fare e produrre, senza porci troppe domande all’inizio. Solo in seguito abbiamo iniziato a pensare a tutto questo.

Che strada ha preso la tua ricerca dopo lo scioglimento di OrtaMiklos nel 2021? Segue ancora la stessa linea?
Al momento dello scioglimento degli OrtaMiklos, era necessario per noi riuscire a distaccarci un po’ dalla nostra estetica. D’altra parte, non è necessariamente qualcosa di facile da fare. Si tratta di una ricerca lunga anni, quindi è qualcosa che richiede il suo tempo e si evolve in base alle nuove ricerche da fare. E per me è stato molto importante in questa nuova ricerca collocarci individualmente, andare molto più nella teoria e nel concettuale attraverso questi nuovi lavori. Questo è ciò che determinerà in me una nuova estetica e nuovi linguaggi che si distingueranno. D’altra parte, ci sarà sempre una parte dell’estetica OrtaMiklos nel mio lavoro. Questo per dire che siamo stati un duo per 6 anni e questi 6 anni si rifletteranno nei prossimi dieci anni forse o nei prossimi cinque anni. Mi hanno scalfito, in altre parole è impossibile fare a meno di tutto questo. Al contrario, bisogna abbracciarlo.

Abbiamo notato che i tuoi pezzi sono stati in dialogo con il ballerino Léo Walk durante una performance. Perché hai scelto di collegare il design alla performance artistica?
Il lavoro di collaborazione con Leo Walk è iniziato con la residenza che avevamo istituito con il collettivo “la totale”, nell’estate del 2019. Leo Walk è stato invitato con la Marche Bleue a venire a creare delle performance spontanee per condividere lo spirito del Moulin de Sainte Marie, la sua comunità, ed è da questa connessione che sono nate le idee per le collaborazioni e le performance che successivamente si sono svolte tra me e Leo. Una delle grandi cose che mi hanno spinto verso questa collaborazione è stata l’ispirazione che ho tratto dal movimento che John Cage, Robert Rauschenberg e Merce Cunningham hanno creato intorno alle performance spontanee delle loro coreografie e dei loro pezzi. Volevo portare avanti questa idea nello stesso modo in cui Maurice Béjart aveva fatto con la scultrice Marta Pan. Ho visto in questi lavori di collaborazione un vero strumento e un vero modo di esprimersi. Ecco perché ho voluto continuare con Leo Walk e perché continueremo a sperimentare con i progetti futuri. Inchallah!

Congratulazioni per la tua ultima mostra in Asia, in Cina nello specifico. Non è la prima volta che esponi in Asia, come viene accolta la tua ricerca da questo pubblico che, indubbiamente, ha una cultura visiva diversa da quello occidentale?
La mostra “Day Dream” che è stata inaugurata a Beijing nella galleria Room 6×8 è per me un’intera idea che riunisce l’interesse concettuale, l’interesse teorico e anche il “surrealismo” che posso apportare al lavoro ed è questa idea che penso piaccia in Asia, che piace soprattutto in Cina. È una nozione che segue tutto il movimento del design radicale italiano e il movimento concettuale olandese, ed è questa nozione di una nuova generazione che forse si adatta ai loro interessi e che oggi, grazie ai social network, viaggia enormemente e può essere di interesse per queste persone che sono presenti su network diversi da We Chat. Per me, in Cina c’è un gran numero di persone interessate a questo movimento, che sia nel design o nell’arte, che hanno studiato molto, che hanno viaggiato molto all’estero nelle migliori scuole degli Stati Uniti, dell’Inghilterra o anche dei Paesi Bassi, e che ora sono tornati in Cina e sono in grado di condividere questa sensibilità. Per me la sensibilità è sempre la stessa, il lavoro che svolgo viaggia abbastanza rapidamente a livello internazionale, che sia negli Stati Uniti, in Europa o in Asia, ed è proprio questo che permette a questa sensibilità di diffondersi nel lavoro.





Courtesy Leo Orta