Quella del Mar Morto, o Mar Salato, è una delle aree più interessanti del nostro Pianeta per diversi aspetti. Lo è da un punto di vista geografico e morfologico, perché si trova a 430 metri sotto il livello del mare e, raggiungendo i 790 metri di profondità, è a tutti gli effetti il punto più profondo e salato della Terra. Lo è anche da un punto di vista politico e territoriale visto che, da quando è entrato in vigore il Piano di Partizione delle Nazioni Unite nel 1947, le sue acque sono divise tra Giordania, Israele e Palestina. Infine è uno degli esempi più tangenti delle conseguenze del cambiamento climatico: il sole del Medio Oriente fa evaporare una quantità di acqua che non riesce più a essere compensata dai vecchi affluenti, provocando un abbassamento del livello dell’acqua di circa un metro all’anno.
Poesia e storia si mischiano ai cristalli di sale e rendono questo patrimonio spirituale un luogo unico per gli artisti di tutto il mondo. È attraverso le loro opere che raccontiamo di un territorio destinato a cambiare nel tempo.
Noam Bedein
Secondo il fotoreporter Noam Bedein il Mar Morto è “tutt’altro che morto”. Anche lui, come il collega Bronfer, ha documentato negli anni le sue sfumature. I suoi scatti sembrano catturare dettagli di un pianeta lontano, testimonianze di un ecosistema estremo che trasforma batteri e sali minerali in colori incredibili, regalando uno spettacolo suggestivo di forme misteriose.
Spencer Tunick per il Dead Sea Museum
Questa precarietà ha spinto proprio questa settimana il fotografo Spencer Tunick a tornare, dieci anni dopo l’ultima volta, in uno dei suoi luoghi preferiti con le sue opere di nudo “vivo”. Come granelli di sale, 300 volontari provenienti da ogni parte del mondo, domenica hanno partecipato agli scatti immergendo il proprio corpo nella vernice bianca. La performance è un un grido commovente e riprende il lavoro in cui l’artista ha immortalato 1200 persone, in acque ora scomparse: “Tutto ciò che si vede nelle mie fotografie del 2011 non c’è più”. La protesta è stata una reazione alla chiusura dell’ennesima spiaggia, Mineral Beach, dove il crollo del terreno ha impedito l’accesso. Con questi lavori il fotografo inaugura la fondazione Dead Sea Museum, il museo, al momento virtuale, dove è possibile visitare gratuitamente la mostra di Spencer Tunick sul Mar Morto, inclusa di scatti inediti. Il progetto “combina una tradizione secolare di costruzione nel deserto con la tecnologia più recente” spiegano gli architetti del mueso, e punta a diventare un polo culturale dove l’arte sostiene e valorizza il territorio.
Le sculture di sale di Sigalit Landau
L’artista israeliana Sigalit Landau scolpisce le sue opere con l’aiuto del mare. I suoi lavori, sospesi per mesi nel bacino più salato del mondo, ne rivelano le proprietà ricoprendosi di finissimi cristalli di sale. I capi rimodellati dal mare mostrano il contrasto di una forza potenzialmente distruttiva, che cura le ferite dell’uomo dall’origine dei tempi. Scarpe e strumenti musicali sono i preziosi relitti di un luogo che ci parla di una trasformazione in atto.
Il mare diviso di Rayyane Tabet
Secondo il Piano di Partizione delle Nazioni Unite del 1947, il Mar Morto è diviso in tre parti. Gli effetti a catena che questa decisione ha prodotto sul territorio diventano per l’artista libanese Rayyane Tabet il soggetto dell’opera The Dead Sea in Three Parts. Qui le profondità del mare si spezzano in una scultura che rappresenta una geografia e delle politiche industriali ben lontane dalla bellezza del luogo.
La street art della Minus 430 Gallery
Nel 2018 alcuni urban artist provenienti da tutto il mondo si sono radunati per fondare la Minus 430 Gallery, un sito artistico a 30 minuti da Gerusalemme. Qui gli street artist uniti in un’unica causa hanno dato nuova vita all’ex rifugio giordano. Grazie a messaggi colorati, le strutture abbandonate da più di 40 anni tornano a risplendere in un omaggio al Mar Morto: un grido d’aiuto che racconta una bellezza da proteggere.