“La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella.”
Anthelme Brillat-Savarin
Scrive così Anthelme Brillat-Savarin – politico e gastronomo francese del 700 – in “Physiologie du Goût” (1825), il libro di cucina in cui mescola scienza, filosofia e storia a succulente meditazioni sui piaceri della tavola. Unopera che se riscritta oggi annovererebbe di sicuro il nome di Emily Griottes, la blogger francese appassionata di cucina, fotografia e decorazione che da anni lascia tutti a bocca aperta con il suo Griottes: un blog di cucina nato come cassetto di ricette e trasformatosi ben presto in una vetrina piena di squisitissime trovate. Come le Pantone Tarts, la serie di crostate alla frutta basate sui campioni di colore dellazienda americana Pantone che Emily ha messo a punto per “Fricote“, il magazine francese di food, design, fotografia e bons plans. Nove tavole ricche di gusto e colore che vi faranno venire lacquolina in bocca già dal primo assaggio.
La fotografia di Nicolas Polli cattura momenti imprevedibili dando vita agli oggetti della quotidianità. Non solo fotografo ma anche graphic designer ed editore, Polli sembra non fermarsi mai. Nelle sue still life non c’è niente di banale, ogni elemento prende vita assumendo significati nuovi.
Nel 2012 ha fondato insieme a Salvatore Vitale il magazine fotografico YET e nel 2016 Atelier CIAO – uno studio indipendente specializzato in editorial design e still life – sempre al lavoro con brand di lusso e design. Ora anche artista residente presso l’Atelier Robert di Bienne, in Svizzera, Nicolas Polli in questa fase si concentra sugli still life. Tutto questo, dopo essersi inventato una vera e propria spedizione su Ferox, un pianeta inventato, nel 2017.
Ferox, The Forgotten Files: A Journey to the Hidden Moon of Mars 1976–2010Ferox, The Forgotten Files: A Journey to the Hidden Moon of Mars 1976–2010
Se in Ferox, The Forgotten Files: A Journey to the Hidden Moon of Mars 1976–2010 Polli gioca con la nostra incapacità di discernere il reale dall’irreale, nei suoi still life riflette sul nostro fragile rapporto con gli oggetti quotidiani. Quando le sagome familiari di questi oggetti cambiano forma in maniera inusuale tutto cambia, anche la nostra percezione. In When Strawberries Will Grow on Trees, I Will Kiss U la combinazione di una buccia di banana, una brioche e qualche mozzicone di sigaretta assume un significato particolarmente disturbante ma il tutto funziona riuscendo a mostrarci gli oggetti banali da un punto di vista totalmente estraneo.
When Strawberries Will Grow on Trees, I Will Kiss U, 2020When Strawberries Will Grow on Trees, I Will Kiss U, 2020When Strawberries Will Grow on Trees, I Will Kiss U, 2020
Ph. courtesy Nicolas Polli
Per altri scatti di Nicolas Polli qui il suo profilo Instagram.
“Sei anni è la differenza d’età fra le mie figlie” ci racconta la fotografaElisa Roman (1976) che nel suo progetto Six years racchiude con poesia, istanti di vita quotidiana, osservando con un punto di vista voyeuristico le vite delle sue due figlie. “Una è leggera e spensierata, nel pieno della sua fanciullezza; l’altra al delicato debutto nell’adolescenza, velata di mestizia e grandi interrogativi.” continua Elisa, “Sei anni è un tempo sospeso, a metà fra orsacchiotti e smalti per unghie, in bilico fra la curiosità di crescere in fretta e il desiderio di rimanere a giocare ancora un po’.”
Con qualche passo indietro, Elisa Roman osserva le sue figlie da lontano e guarda il mondo attraverso i loro occhi, rievocando al tempo stesso il suo passato. I momenti del presente si incontrano con i suoi ricordi, talvolta mescolandosi, talvolta parendo così lontani e diversi. Lo scorrere del tempo è scandito dagli scatti di Roman, che documentano in qualche modo il percorso di crescita delle figlie. La loro trasformazione, il loro costruirsi un’identità, l’una affianco all’altra. Elisa ci racconta come non tutti gli scatti trasmettino spensieratezza ma che anzi, anche i litigi e i momenti di distacco sono oggetto di indagine. Le fotografie sono per la maggior parte ad unico soggetto, mostrando in modo esplicito la lontananza tra le due fasi di vita nonostante a volte sembrino invece così simili, tendendo l’una verso l’altra.
“Con curiosità, mista a meraviglia e commozione, lo osservo evolversi nel loro continuo divenire e ritornare. Mare calmo e tempesta.” La crescita dei nuovi denti o un orsacchiotto dimenticato su una poltrona, sono solo alcuni degli elementi che ricordano costantemente ad Elisa quanto il tempo sia veloce e come gli attimi siano fugaci. In questo modo, Six years diventa “una specie di antidoto contro il tempo che sfugge.”
Courtesy Elisa Roman Elisa Roman è allieva della scuola di fotografia di Irene Ferri, Arizona
Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec
Da quasi un anno, il Museo dell’Arte Recuperata (MARec) a San Severino Marche, accoglie centinaia di opere letteralmente salvate dai luoghi sacri del territorio marchigiano dopo il devastante sisma del 2016, una “casa temporanea” in cui poter riconsegnare al pubblico opere di arte sacra dal valore inestimabile datate tra il Duecento e il Settecento. Il contesto da cui queste opere sono state violentemente separate dal terremoto, è restituito attraverso una suddivisione per luogo di origine delle belle stanze del Palazzo Vescovile, ma non solo: a dispetto dell’antichità delle opere esposte, la direttrice del museo Barbara Mastrocola ha fortemente voluto un intervento capace di restituire la potenza delle opere attraverso uno dei linguaggi più contemporanei, ovvero quello della fotografia e del video. Ad accogliere la sfida, Luca Santese, fotografo e fondatore del collettivo Cesura, e Nicola Patruno, critico della cultura e curatore, attraverso la realizzazione di un documentario di ampio respiro che restituisce un paesaggio collettivamente vissuto, con una narrazione ricca di suggestioni, affetti e parole di chi di quel territorio è parte integrante. Nel mese di aprile, inoltre, è stata presentata una pubblicazione molto significativa per restituire la missione del museo: non un catalogo, ma un volume che “è un percorso dentro le opere – racconta Barbara Mastrocola – che sintetizza con immagini altamente evocative il senso di questo Museo, cioè quell’anelito di Rinascita che passa anche dal recupero delle opere d’arte, sorprendenti testimonianze dell’antica vivacità, anche economica, dei luoghi che oggi, soprattutto dopo le ferite del sisma, ad una superficiale lettura, ci apparirebbero un po’ emarginati rispetto allo sviluppo che, nelle terre marchigiane, sembra essere avvenuto solo nelle località costiere”. Abbiamo chiesto a Luca Santese di raccontarci in che modo la fotografia ha contribuito a definire l’identità del MARec.
L’esperienza editoriale non è nuova nella tua pratica, anche se qui ci troviamo di fronte a una pubblicazione ibrida che non è un catalogo, ma neanche una semplice guida. Eppure, la sua capacità di portare il pubblico all’interno del progetto MARec è molto alta, grazie a un equilibrato uso di testi e immagini. Come avete coordinato il lavoro tu, Nicola Patruno e Barbara Mastrocola? Quali sono gli obiettivi della pubblicazione? Come dici ho iniziato molto giovane con l’editoria indipendente attraverso Cesura, mio collettivo fotografico, e la sua casa editrice indipendente Cesura Publish con la quale mi sono occupato principalmente di libri di fotografia autoriale. Questo catalogo ha trovato una sua identità forte perché porta con sé questa mia esperienza unita alle competenze di Nicola Patruno, curatore e critico della cultura, di Giulia Fumagalli, grafica esperta e sperimentale e Barbara Mastrocola, Direttrice del museo MARec di cui conosce singolarmente tutte le opere e che ha curato, insieme a me e Patruno, il volume fin da principio.
Nel tuo caso, da fotografo di ricerca con una visione estremamente contemporanea, che taglio hai voluto dare alle immagini delle opere ritrovate? In che modo queste opere incredibili, ma appartenenti a un’altra epoca e ad altre ferite/storie sono riuscite a parlarti e come sei riuscito a darne conto? La Direttrice mi ha concesso il privilegio di poter interpretare fotograficamente le opere del museo lavorando sulla scultura con una luce non scientifica, dal punto di vista della catalogazione, ma drammatica. Luce che ha permesso di esaltare l’espressività delle opere, dando quasi vita ai soggetti. Anche per quanto riguarda la pittura ho potuto lavorare liberamente sulla scelta dei dettagli così da creare quasi dei quadri nei quadri. Lavorare fotograficamente a contatto con la pittura e la scultura medievale è un’esperienza potente che mette il fotografo in relazione intima e di conoscenza profonda con le opere stesse.
Quanto il fatto di aver diretto anche il documentario, e quindi di esserti addentrato maggiormente nel tessuto narrativo/esistenziale del territorio, ha influito sul tuo modo di scattare? Sicuramente molto perché l’esplorazione del territorio al fine di realizzare questo documentario con Nicola Patruno è stata approfondita e metodica e mi ha permesso di conoscere a fondo lo spirito del luogo che è conservato e vive anche nelle opere, nella loro funzione di culto e di memoria che le lega inscindibilmente agli abitanti.
Nella pubblicazione ci sono molte foto di dettagli, i punti di ripresa sono a volte inusuali, in alcune l’utilizzo della luce è teatrale, quasi a voler drammatizzare i soggetti fotografati: sicuramente una modalità di scatto più autoriale rispetto a quella dei meri cataloghi museali e che pone questa pubblicazione su un livello di lettura diverso.Credi che questa scelta riguardi anche i testi e i contributi degli altri professionisti con cui hai lavorato? A quale pubblico è destinata questa pubblicazione così particolare? Come dicevo ho potuto interpretare fotograficamente le opere del museo lavorando sulla scultura e la pittura con una luce e delle inquadrature non scientifiche dal punto di vista della catalogazione ma che ne sottolineasse l’espressività. Questo metodo è stato applicato da tutti i professionisti che hanno lavorato a questo progetto e, di conseguenza, su ogni aspetto del lavoro. Abbiamo insieme voluto valorizzare non solo la fondamentale funzione documentale del catalogo ma anche l’aspetto espressivo legato all’interpretazione curatoriale, grafica e fotografica. Un aspetto essenziale al nostro scopo: trasmettere con la maggior forza possibile la forza non solo delle opere ma di tutta la storia che le vivifica e le sorregge, dal salvataggio alla nuova vita.
Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec
Photography
Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec
Se la fotografia racconta l’arte del passato: Luca Santese per il MARec
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L’emotività secondo Alex Garcia
Gli scatti di Alex Garcia comunicano le emozioni in modo chiaro anche nella loro complessità. Raccontano questioni sociali e malinconia. Non solo fotografo ma anche musicista, Garcia riesce a fare sue queste discipline esprimendosi al meglio con la fotografia. L’empatia è una delle componenti fondamentali nei lavori di Garcia ed è il suo mezzo per comunicare con lo spettatore. L’emotività dei suoi scatti passa per sentimenti umani come la solitudine riuscendo a comunicarne la potenza ma anche la bellezza.
ordinary ghosts, 2023
Nonostante la giovane età, gli scenari creati da Alex Garcia comunicano qualcosa di forte. Mettono insieme luoghi evocativi a sentimenti di profonda tristezza come nel suo ultimo progetto, we get married in our heads.
we get mattied in our heads, 2023we get mattied in our heads, 2023
Solitamente, negli scatti di Garcia i soggetti sono immortalati da soli o in coppia e ogni componente della sua fotografia – dalla luce alle ombre passando per l’ambientazione – è pensata per comunicare un’emozione precisa. two people e sleep tight sono l’esempio perfetto della potenza comunicativa degli scatti di Garcia.
two people, 2022two people, 2022sleep tight, 2022sleep tight, 2022
Per scoprire gli altri progetti di Alex Garcia qui il suo profilo Instagram.