Il rientro dal Primavera Sound è duro da affrontare perché in un attimo ti sembra infinitamente ingiusto il non poter vivere per sempre col mare da una parte e una serie infinita di concerti dall’altra.
Ma tutto finisce e ad una certa età uno dovrebbe anche averci fatto il callo a questa problematica insita nello stesso senso della vita. Quello che rimane sono i ricordi e una manciata di foto fatte nei momenti di lucidità (più o meno).
Partiamo quindi con ordine per non perderci (o almeno solo un po’).
Day 1
Fa caldo. Non troppo in realtà, il clima è perfetto grazie alla brezza marina.
Il Parc Del Forum è proprio dove deve essere e la prima cosa da fare è senza dubbio correre in spiaggia. Quando ti ricapita di ascoltare il dj set di Four Tet mentre fai uno dei primi bagni dell’anno?
Mentre gli spritz e il sole cominciano a dare i loro effetti, decido di incamminarmi verso Nightcrawler che mi fa salire in un attimo la voglia di guidare a 200 all’ora in autostrada.
Guardando la distanza che mi separa dai palchi grandi (il Seat e il Mango) effettivamente l’idea non sarebbe malvagia. Ma purtroppo posso utilizzare solo le gambe quindi m’incammino pronta alla calca che andrà ad accumularsi per 2 dei live più attesi della serata: l’ipnotica Björk e il Semi-Dio Nick Cave.
Passando per l’area food (immensa) comincio a sentire un certo languorino che decido di colmare con un Asian Bao (quei panini super buoni cotti al vapore e ripieni di cose, tipo un hamburger in versione sana).
Rifocillata, approdo in quel campo di battaglia che si trova tra i due super palchi (i più lontani dalla spiaggia).
La tensione della folla, prima scomposta poi sempre più compatta, sale mentre si avvicina l’ora di Björk. Ormai è buio e tutti sembrano trattenere il fiato e contare i minuti (sì, perché la timeline è di una puntualità svizzera).
Il palco è buio e sui maxi schermi cominciano a sbocciare dei bellissimi fiori. Poi appare anche Lei, vestita da vagina con una maschera che ricorda qualche altro strano elemento botanico. Björk è magnetica e quasi tutti restano incollati ad osservare la performance mentre la voce della Dea invade il campo e conquista tutto quello che c’è da conquistare.
Prima delle ultime note decido di attraversare il mare di gente per avvicinarmi al palco dirimpettaio. Non voglio assolutamente perdermi l’attacco di Nick Cave, ho portato i kleenex apposta. Il live è super grintoso e i Bad Seeds sono sempre al top. Come tutti si aspettavano, viste le ultime performance, Nick fa salire alcuni fan sul palco ed è subito gioia e commozione. L’aura da Semidio è sempre più potente e Push The Sky Away dà finalmente un senso al mio pacchetto di fazzoletti.
Bella scossa da queste due bombe atomiche e dalla quantità indicibile di sassi nelle scarpe brancolo verso lidi più sereni tipo il Bacardi Live dove un bel praticello ti permette anche di stare comodamente seduto. Ci sono i Mount Kimbie e ad accogliermi c’è una delle mie preferite, Marilyn. Sono un po’ sottotono per i miei gusti ma ne approfitto per del sano e necessario riposo.
Ormai è tardi e il primo giorno è meglio non giocarsi tutte le energie ma – dopo il dj set spaziale – non voglio assolutamente perdermi il live dei Four Tet. Sono al Rayban che è una specie di anfiteatro con palchi dove sedersi e una grande cavea dove ballare.
Per arrivarci passo dal Primavera Apple e rimango ammaliata dalle note di Nils Frahm. Ascolto qualche brano e vado ad accaparrarmi un posto a sedere.
Four Tet non delude e riesce a rianimarmi malgrado la stanchezza: i brani (abbastanza rilassati) dell’ultimo album (New Energy) vengono remixati con maestria e diventano perfetti per l’orario e il pubblico, carichi e potenti.
Mi sembra la degna conclusione del Day 1 e, appagatissima, sono pronta a tornare a casa.
Day 2
Mi sveglio con calma all’ora di pranzo e – a parte una leggera fame – ho il pensiero fisso al dj-set di Floating Points che è già cominciato allo Xiringuito.
Decido di mangiare qualche tapas volante in un bar e di dirigermi in spiaggia. Immagino già i pezzoni dalle sonorità anni ’80 così diversi dai live del dj-nerd: perfetti con il caldo e uno spritz in mano.
Mi sdraio al sole cullata da tutto quello che volevo e pronta a ricaricarmi di energia e vitamina D per affrontare questo secondo giorno al top della forma.
Mentre studio il programma prendo atto delle rinunce a cui dovrò sottostare ma non mi abbatto. Oggi esplorerò la zona a cui si accede scendendo l’imponente scalinata di marmo, quella del Pitchfork e dell’Adidas.
Si parte con John Maus che è carichissimo e riesce a farmi ballare anche sotto al sole cocente. Tanto so che due passi più in là sta per attaccare Yellow Days con la sua voce potente e dolcissima al tempo stesso: perfetto con il sole che scende. Non c’è tregua da queste parti e – passando con agilità dall’uno all’altro di questi due comodissimi e vicinissimi palchi – cerco un posto buono per godermi lo spettacolo di Sevdaliza e allo stesso tempo esser pronta a sgattaiolare via al momento giusto. È giunonica e bellissima con le sue movenze…Ad accompagnarla un mazzo enorme di fiori e un performer straordinario.
Voi vi starete chiedendo “e allora perché te ne vuoi andare?”. Perché al Mango stanno per attaccare i The National e, dopo quel capolavoro di Sleep Well Beast, non voglio perdermeli per niente al mondo.
Corro al sentire le prime note di Nobody Else Will Be There e, malgrado la folla, riesco a raggiungere una transenna. Rimango incollata dal primo all’ultimo brano, incantata dalla voce di Matt Berninger.
Frastornata e felice, scappo al Rayban per non perdermi Thundercat e la sua incontenibile energia.
A fine live capisco che questo è il momento giusto per nutrirmi e decido di esplorare l’area vip vicina al Primavera Apple dove gli hamburger promettono molto bene.
Da qui, con un bicchiere di vino in mano, mi rilasso e ascolto Charlotte Gainsbourg comodamente seduta sul prato.
La voglia di continuare con questa sensazione di relax mi riporta al Rayban dove stanno per attaccare i Cigarettes After Sex. Moscissimi. Ma in fondo quello che volevo era stendermi a terra quindi tutto perfetto.
Ricaricate le batterie al punto giusto sento il bisogno di una scossa di energia e so bene dove trovarla. Ty Segall è pronto a violentare la sua chitarra al Primavera Apple. La mia malcelata anima punk gioisce di brutto e staccarsi – per sentire gli ultimi due pezzi di quel pazzo di Arca – è un po’ un trauma. Il Pitchfork però mi accoglie con tanta presa bene e gente che balla scatenata. La giusta preparazione per sbarcare al Bacardi dove c’è Âme II Âme. Un set ben dosato ma potente. Grande classe, qualcosa di simile ad andare ad un rave in giacca e cravatta.
La stanchezza comincia a farsi sentire ma al Rayban – che non è lontano dall’uscita – Black Madonna sta spaccando tutto e due salti sono più che d’obbligo.
Ora sì, posso andarmene con la coscienza a posto giusto giusto per l’apertura della metro.
Day 3
E anche l’ultimo giorno doveva arrivare ed è arrivato. In spiaggia ci sono i Dekmantel con Palms Trax e tutti mi stanno raccontando meraviglie, ma mi sono svegliata più tardi del solito e non ho alcuna voglia di correre. Arrivo con calma per i primi live ma so che quello che mi interessa davvero comincerà dopo il calar del sole.
Oggi non ho alcuna intenzione di passare dai grandi palchi. Non sono ancora mai entrata nella Warehouse, l’unico spazio al chiuso. Mi dicono che c’è Jonsi dei Sigur Rós e subito penso, perché no? Mi ritrovo in uno spazio completamente buio. Si vedono solo le luci di qualche telefonino. Poi partono dei proiettori e i suoni immersivi tipici dei Sigur. Un viaggio su un altro pianeta. Ma fuori c’è ancora il sole e la vita e non voglio perdermi gli ultimi raggi.
Dopo un Ariel Pink in forma ma troppo “rockeggiante vecchio stile” per i miei gusti, decido di sfamarmi subito perché poi non avrò un minuto libero. Un kebab accompagnato da delle leggerissime patatine fritte ricoperte di altra carne (sempre di kebab) mi sembra la scelta perfetta per avere energie till the very end.
Sento le prime note degli Slowdive mentre addento l’ultima patatina…per fortuna il Primavera Apple è proprio accanto all’area ristoro e con una corsetta raggiungo la folla già in estasi. Un live bellissimo, suonato e cantato come si deve. Sono emozionata e felice e – prima di trasferirmi al Bacardi per una tripletta da urlo – faccio un salto dai Grizzly Bear al Rayban che, purtroppo, non riescono a reggere il confronto.
Nel palco più danzereccio mi attendono 2 live e mezzo, per quello che ne so: Claro Intelecto, Onehotrix Point Never e Jon Hopkins (che vorrei abbandonare a metà per andare a sentire i Beach House, perché amo entrambi e Jon nell’ultimo anno l’ho visto più di mia madre).
Claro Intelecto comincia benissimo e, con il suo minimalismo, riesce a far ballare anche i sassi. Quando se ne va cominciano a preparare il palco per Onehotrix e, già da qui, la gente comincia a spalancare la bocca. Tastiere, batteria, un telo per le proiezioni. Ieri è uscito il nuovo album e il set che stiamo per vedere è qualcosa di inedito, di inedito e bellissimo. Le immagini, la sua voce, la tastierista: tutto è assurdo e stupefacente. Il pubblico è immobile e a bocca aperta: un incantesimo. L’unica consolazione, al finire di questo splendore, è che sta per arrivare Hopkins e – lo sappiamo – lui non delude mai. Infatti parte a bomba con dei visual da paura e un crescendo sempre potentissimo, così potente che non ce la faccio a lasciarlo per i Beach House.
A fine set, scossissima dalla tripletta più che esaltante, riattraverso il ponte per andare al Rayban dove alle 3 attaccheranno i The Blaze. Dal ponte comincio a sentire le note dei Beach House che fanno i due ultimi pezzi (i miei preferiti). Con questa magia nell’aria, scendo velocemente la gradinata: impossibile fermarsi ora. Un controluce pazzesco ed ecco i due francesi. Uno di fronte all’altro con delle luci bellissime, poi fiamme e volti e quel sound che nel giro di qualche mese ha conquistato tutti, ma proprio tutti tutti.
La serata potrebbe finire qui ma c’è il romano Donato Dozzy proprio in spiaggia, al Desperados Club. Per non farmi mancare niente faccio un giro ampio passando da Lindstrøm al Pitchfork con le sue sonorità eighties e dal fortissimo dj di punta della Warp, Vril, al Bacardi.
Tutto così bello da far piangere e anche l’alba collabora con questo festival che continua a rendere felici migliaia di persone, Primavera dopo Primavera.
Testo e Ph: Aurora Bartiromo