“L’Italia è il paese che amo”. Con queste parole, il 26 gennaio 1994, inizia il discorso di Silvio Berlusconi che annuncia il suo ingresso in politica e da quel giorno in Italia inizia un importante cambiamento. La trasformazione che il paese si ritrova ad affrontare è totale, riguarda senza dubbio il sistema politico, quello economico, sociale, culturale, di usi e costumi e ha delle conseguenze su intere generazioni. Ma come raccontare esattamente a chi non lo ha vissuto, l’immaginario estetico di una nazione? Come descrivere la zona oscura di un paese e il suo paesaggio visivo nazional-popolare?
Mettere insieme i simboli e i concetti presenti nella memoria e nell’immaginazione di una molteplicità di individui non è di certo un’impresa semplice, ma soprattutto riuscire a evocare un’impalpabile memoria collettiva attraverso le immagini è forse ancora più complesso.
Giacomo Felace, art director e brand designer italiano, classe 1989, pochi giorni fa ha reso pubblico il suo progetto di esplorazione culturale. Esatto, si tratta proprio di un progetto artistico evocativo e si chiama “L’Italia è il paese che amo”, ma non riguarda solo Silvio Berlusconi.
“L’Italia è il paese che amo” esplora digitalmente il conflittuale paesaggio visivo di segni, loghi e manifesti che circondano l’Italia e i suoi concittadini, è un lavoro progettato per essere “anti-desgin”, ovvero, intenzionalmente sregolato, disordinato ed iperbolico.
Attraverso messaggi e insegne stereotipate si mescolano le passioni e gli incubi di una nazione: il calcio, il lavoro, la politica, le ideologie contraddittorie di un sistema corrotto, i comportamenti contemporanei di una generazione discontinua, il divario culturale e socioeconomico della nazione.
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Giacomo Felace ricrea e mette insieme le influenze culturali di oggi e di ieri e rappresenta un passato scintillante di evasioni fiscali, corruzione, sonnolenza sociale, crollo demografico, difficili questioni di salari e divario tra Nord e Sud. Tutto con il carattere Helvetica. La scelta di questo font è un omaggio a Massimo Vignelli, uno dei protagonisti più importanti della storia del design e del graphic design italiano.