Da mercoledì 5 a domenica 30 maggio, lo Spazio CORNER MAXXI del Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, a Roma, aprirà le sue porte per ospitare la seconda edizione della mostra Re:Humanism – Re:define the Boundaries.
Dieci artisti indagheranno il rapporto tra Intelligenza Artificiale e arte contemporanea invitando a riflettere su un futuro sempre più legato alla tecnologia in ogni suo aspetto. Per questo motivo le opere toccheranno temi legati alla società, ma anche alla biodiversità, alla coscienza ecologica, all’identità di genere.
Gli artisti in mostra saranno gli Entangled Others, Yuguang Zhang, Johanna Bruckner, Irene Fenara, il collettivo Umanesimo Artificiale, il duo formato da Elizabeth Christoforetti & Romy El Sayah, Mariagrazia Pontorno, Egor Kraft, Numero Cromatico e Carola Bonfili, e i loro progetti in mostra sono i vincitori di Re:Humanism Art Prize.
Quello del rapporto tra l’arte contemporanea e l’Intelligenza Artificiale è un tema che non può essere ignorato e, oltre a farci scoprire mondi e tecnologie lontane dal nostro quotidiano, può far nascere un dibattito sano sul futuro dell’arte e non solo.
Noi di Collater.al abbiamo avuto la fortuna di poter fare qualche domanda a Daniela Cotimbo, curatrice e Presidente dell’associazione Re:Humanism, che ci ha raccontato cosa troveremo in mostra e il suo punto di vista sull’argomento. Non perdetevi l’intervista qui sotto e alcune immagini delle opere e per saperne di più visitate il sito ufficiale!
Beneath the neural wawes 2.0, Entangled Others Beneath the neural wawes 2.0, Entangled Others
Prima di parlare della mostra parliamo un po’ di te. Da sempre la tua ricerca si concentra sull’analisi e l’indagine di problematiche legate al presente attraverso diversi e nuovi mezzi espressivi e attraverso le nuove tecnologie. Da dove nasce l’interesse per questa materia e queste tematiche?
La fascinazione per il mondo delle tecnologie ha sempre fatto parte di me credo. Appartengo a quella generazione di persone che ha visto diffondersi internet e le successive tecnologie connesse tramite device quali smartphone, pc e altro. Dietro quelli che sembrano semplici strumenti leggo tutta la complessità del progresso umano e delle sue implicazioni sociali. Se l’arte mi ha accompagnato in tutta la carriera scolastica, la tecnologia è entrata in maniera importante nelle mie ricerche, a partire dal mio percorso di tesi triennale, dove esploravo i mondi dell’arte all’interno di Second Life. L’approccio all’intelligenza artificiale nasce invece dall’incontro con Alan Advantage, azienda promotrice del premio che fin dall’inizio mi ha stimolato con temi trasversali e con conoscenze tecniche più approfondite. Oggi credo sia davvero difficile tener fuori la tecnologia dai discorsi umanistici.
Dal 5 al 30 maggio aprirà le sue porte “Re:Humanism – Re:define the boundaries”, cosa troverà davanti a sé una persona che deciderà di visitare la mostra?
Bella domanda, sicuramente non una mostra canonica, nel senso che se ci si aspetta di essere circondati da robot, cavi e computer (sebbene io ami l’estetica della tecnologia) si potrebbe rimanere delusi. In realtà questo premio testimonia come i linguaggi tecnologici come quello dell’IA stiano pian piano penetrando sempre di più nel tessuto dell’arte contemporanea. Gli artisti li utilizzano sia in maniera fine a sé stessa, per capirne meglio la natura e le implicazioni, sia come strumento a supporto delle loro idee o immaginando nuove tipologie di interfacce. Così potrà capitare di vedere in mostra un arazzo che ci fa riflettere sul concetto di estinzione delle tigri (Irene Fenara), un acquario popolato da una barriera corallina generata da algoritmi (Entangled Others), un letto animato da una gestualità non umana (Yuguang Zhang) o il richiamo sonoro di un DNA modificato (Umanesimo Artificiale). Al contrario ci sono altre opere che raccontano come l’intelligenza artificiale ci aiuti a rivisitare linguaggi antichissimi come quello della pittura cinese (Egor Kraft), l’intraducibile manoscritto Voynich (Mariagrazia Pontorno) o i versi poetici contenuti negli epitaffi (Numero Cromatico). Infine, ci sono opere che sfruttano il linguaggio e la cultura che ruotano intorno all’IA per immaginare nuove forme di relazione tra specie (Johanna Bruckner), tra corpo e spazio (Elizabeth Christoforetti & Romy El Sayah) e di esistenza all’interno del digitale (Carola Bonfili).

Quando si cerca di mettere in relazione discipline distanti e separate, come l’arte e le nuove tecnologie, spesso nasce qualcosa di straordinario, ma che non tutti riescono a capire subito. Come spiegheresti a queste persone la necessità di creare nuovi modi di produzione artistica?
Su questo occorre fare una premessa, l’arte è sempre andata di pari passo con quella che prima chiamavamo tecnica e che oggi per mezzo dell’avanzamento tecnologico è diventato un vero e proprio linguaggio. Quando ad esempio è nata la pittura rupestre, qualcuno ha capito che poteva usare degli strumenti o il suo stesso corpo per comunicare con l’altro in un linguaggio simbolico. Se pensiamo questo in relazione alle tecnologie, ci rendiamo conto che quello a cui stiamo assistendo altro non è che un naturale processo di evoluzione dell’arte come espressione della realtà che ci circonda. Sicuramente la tecnologia oggi corre più veloce che mai e non è sempre facile stare al passo con le nuove scoperte e i più recenti sviluppi. Tuttavia, è uno sforzo che occorre fare perché le implicazioni, e qui mi riferisco soprattutto all’IA, sono tantissime e ci riguardano ormai molto da vicino. Forse è vero il contrario, ossia che è l’arte che, sovvertendo le regole del gioco, ci aiuta a comprendere meglio la tecnologia.
Tra le opere che saranno in mostra quella che ha attirato maggiormente la mia attenzione è “Epitaphs for the human artist” di Numero Cromatico. Si tratta di una sorta di epitaffio che decreta definitivamente la morte dell’artista umano. Pensi che questa figura in futuro scomparirà completamente o credi che l’artista umano resisterà nel tempo ma dovrà dividere il ruolo di creatore con apparati tecnologici, intelligenza artificiale e algoritmi?
L’opera dei Numero Cromatico agisce su più livelli semantici. Sicuramente ci aiuta a riflettere su come forme poetiche che si sono tramandate spontaneamente, come possono essere i versi normalmente contenuti negli epitaffi, in un futuro molto vicino saranno totalmente appannaggio degli algoritmi. Il punto, ancora una volta, non è se sarà l’artista umano a scomparire ma come si riverseranno su di noi queste forme di espressione. Siamo disposti ad affidare una memoria intima come quella che accompagna il nostro vissuto ad una IA? E in tal caso come ne faremo esperienza? Per rispondere ancor meglio alla tua domanda, gli algoritmi di IA hanno già un potenziale “creativo” molto sviluppato, la così detta Black Box, uno spazio semantico latente che non ci è ancora ben chiaro come sia in grado di elaborare i dati che gli forniamo. Tutto questo è molto affascinante ma la vera domanda che dovremmo porci è: a cosa “serve” l’arte e perché un’IA dovrebbe sostituirsi a un artista in questo senso? La risposta che so darmi oggi è che l’IA potenzia le possibilità creative di un artista in tanti modi che sono molto curiosa di esplorare.

Negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, stiamo notando come non solo la produzione artistica si stia legando sempre di più al mondo tecnologico, ma anche la vendita e la fruizione dell’arte si stiano digitalizzando.
Credi che in questo modo, a lungo andare, l’arte sarà più alla portata di tutti o al contrario diventerà più esclusiva?
Immagino che tu ti riferisca in particolare all’ascesa degli NFT (Non-fungible token) che in questo momento rappresentano un fenomeno molto interessante all’interno del mondo dell’arte e non solo. Personalmente non amo le settorializzazioni, credo che la tecnologia faccia ormai parte degli strumenti a disposizione degli artisti ma sicuramente, non essendo strumenti neutri, ogni volta che ne introduciamo uno dobbiamo ampliare lo sguardo al contesto di produzione. Cito gli NFT perché in effetti rappresentano un bel cambio di paradigma, ci spingono a concepire l’arte non più come un oggetto, qualcosa da possedere necessariamente in maniera fisica, nella maggior parte dei casi parliamo di formati digitali che possono essere presentati su schermi ma anche semplicemente essere conservati in una cartella sul nostro pc. Sicuramente una tecnologia di questo tipo sta rivoluzionando anche il modo di approcciarsi all’arte, favorendo l’ascesa di nuove tipologie di collezionisti e appassionati. Occorre però specificare che questi fenomeni collettivi potrebbero essere temporanei e dovuti all’entusiasmo iniziale, quello che facilmente potrebbe accadere è che tutto ritorni nei canoni del mercato dell’arte tradizionale. Dunque, per risponderti, devo dire che la complessità dell’arte contemporanea non è qualcosa a cui possiamo rinunciare e non è detto che le tecnologie facilitino l’accesso ai contenuti complessi, tuttavia credo in un più grande bisogno da parte degli artisti di misurarsi con i temi del nostro tempo e questo, probabilmente può davvero facilitare questo incontro con il pubblico.
Three Thousand Tigers, Irene Fenara Three Thousand Tigers, Irene Fenara


The Flute-Singing, Carola Bonfili The Flute-Singing, Carola Bonfili
Epitaphs For The Human Artist, Numero Cromatico Epitaphs For The Human Artist, Numero Cromatico Chinese Ink, Egor Kraft Chinese Ink, Egor Kraft Super Hu.Fo* Voynich, Mariagrazia Portorno Super Hu.Fo* Voynich, Mariagrazia Portorno ABCD1, Umanesimo Artificiale ABCD1, Umanesimo Artificiale