Installazioni, performance, archeologia, assume tanti aspetti la produzione dell’artista di Seoul (ora con base a Londra) Shan Hur. Le sue opere si possono leggere secondo molte sfaccettature, sfiorando la definizione di detrito, inserite all’interno di musei ordinati, come fossero errori o un percorso non previsto dal curatore.
A questo si attacca il tema della scoperta e dell’avventura, che Hur indaga incastonando oggetti comuni nel cemento, come fossero reperti archeologici portati alla luce. Questi stessi oggetti sono di uso comune, familiari ai visitatori, ma trasformati in nuove scoperte che rappresentano lo stadio di una nuova trasformazione.
Nascondere le opere nel muro significa ttivare un discorso sul significato degli edifici, capaci di mantenere e celare le illusioni degli uomini dentro i loro ambienti.


Shan Hur realizza anche composizioni di oggetti disposti in perfetto equilibrio, o ricercando il concetto di equilibrio, come quei totem di pietre che svolgevano una funzione sacra per alcune civiltà primitive. L’artista unisce oggetti come palle da basket o da baseball con pesanti blocchi di cemento, creando un forte contrasto surreale di strutture e riscrivendo un’idea di leggerezza e forza, che finisce per essere una sensazione soggettiva e non qualcosa di sperimentabile.
I muri e i pilastri con la loro rigidità sono un soggetto utile per stravolgere una certa idea di realtà, allora ecco che compaiono colonne corrose che sembrano sul punto di dover crollare e altre annodate come fossero fatte di gomma.
Il gioco e la lente d’ingrandimento puntata verso luoghi che ogni giorno non avrebbero molto da dirci, ma che nelle opere di Shan Hur diventano interessanti spioncini dentro i quali guardare.





