Gli scatti di Simona Salerno sembrano ricordi lontani, come quelle fotografie che rimangono per anni chiuse in una scatola e, una volta ritrovate, ci fanno emozionare.
Classe 1984, Simona è nata in Sicilia e oggi vive a Bologna. La sua ricerca artistica si è sempre alternata a studi di psicologia, due aree tematiche che si fondono nei suoi scatti per lo più analogici e nelle sue Polaroid.


Dalle atmosfere malinconiche e quasi surreali, le fotografie di Simona ci permettono di vedere il mondo con i suoi occhi.
Una selezione di scatti di Simona Salerno sarà in mostra a Torino per Ph.ocus – About Photography nella sezione “Please, Stay Home”. Noi ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda e conoscere meglio il suo lavoro. Non perderti la nostra intervista qui sotto!
Come hai scoperto la fotografia?

I primi contatti con la fotografia risalgono all’infanzia grazie alla curiosità per i luoghi, all’amore per mantenere vivi i ricordi di mio papà e all’interesse per lo strumento fotografico come mezzo-oggetto tramite cui scattare trasmessomi da mio zio. Così, un po’ per imitazione e, soprattutto, per un’evidente passione personale, presto ho iniziato a portare con me una macchinetta con la quale potevo, o almeno potevo provare, a imprimere e vedere realizzato il mondo con il mio sguardo.
Cosa vuoi raccontare con i tuoi scatti?
Con le mie foto voglio raccontare delle storie in cui l’osservatore potrà trovarsi spesso condotto in atmosfere oniriche ed impressionistiche con una nota spesso melanconica. Il corpo femminile, oggetto di ricerca, viene rappresentato attraverso le emozioni vissute che lo rendono una “cosa viva”. Se in alcuni scatti sembra di scontrarsi con il soggetto, in altri propongo uno sguardo che vuole distanziarsi dalla scena per inserirlo nei contesti poetico-romantici in cui vorrei condurre chi osserva.
Vari spesso tra digitale e analogico. Cosa influenza la tua scelta? Quali aspetti delle due tecniche apprezzi maggiormente?
Essendo figlia degli anni ’80, l’approccio alla fotografia è stato analogico. Nell’epoca delle reflex digitali ne ho acquistata una e per molto tempo ho sperimentanto dandomi la possibilità di sbagliare e fare le mie varie prove per potermi avvicinare sempre più a quello che volevo raccontare.
Dopo una pausa da ogni tipo di macchina fotografica e un po’ di amo et odi, negli ultimi anni ho ripreso in mano l’analogico e recentemente mi sono soprattutto avvicinata ad un mondo che è stato ed è tuttora una scoperta, quello Polaroid.
La scelta tra uno strumento o l’altro è influenzata da ciò che voglio rappresentare e dallo stato umorale in cui mi trovo, sicuramente la fotografia istantanea e la Lomography mi permettono di esprimere e imprimere le visioni che più si avvicinano al mio mondo interno e far percepire una realtà che vuole rasentare quella del sogno, dai confini spesso indefiniti.

La sperimentazione per me resta comunque alla base di tutto.
Quali fotografi e/o artisti influenzano la tua ricerca artistica?
Sono molto affascinata dalla visione silenziosa dei luoghi di Luigi Ghirri e dalle simmetrie e i colori pastello, oltre che dalle storie, del regista Wes Anderson. Sento un legame con l’immaginario estetico rappresentato nella pittura dell’Impressionismo, soprattutto mi ritrovo nelle atmosfere di Renoir, Monet e Degas. Non ultima, la musica ha un’influenza davvero potente nel mio lavoro in quanto mi aiuta a sostenere, entrare e approfondire l’entrata in alcuni stati umorali che voglio far percepire, ma qui si aprirebbe un capitolo davvero lungo!!
C’è uno scatto al quale sei particolarmente legata? Raccontacelo.

Sono molto legata ai lavori fotografici che ho prodotto durante il periodo del lockdown.
“L’attesa” è una fotografia che amo particolarmente, l’ho scattata la prima volta in cui sono uscita da casa e per me rappresenta la possibilità, voluta o forzata, di concedersi un tempo per aspettare, attendere, sperare, tendere a qualcosa, anche a costo di congelare la vita e il presente. Perché penso che ci siano dei momenti della vita in cui bisogna saper stare, nel proprio silenzio e non per forza fare o agire. Attesa dunque come possibilità e non come ostacolo.

