Che ruolo hanno il design e l’architettura nella definizione del tanto dibattuto concetto di “modello Milano“? In che modo si inserisce in quella che da alcuni studiosi è stata definita come una “campagna di marketing senza precedenti”, capace di spostare gli equilibri sociali e urbanistici di una città e ora arrivata (?) a un punto di non ritorno? Tante domande legate al ruolo del design per Milano vengono approfondite in questi giorni di Design Week attraverso talk, eventi e installazioni, ad altre Collater.al ha chiesto una risposta a una delle figure chiave per il design e per Milano, l’archistar Stefano Boeri, Presidente della Triennale di Milano e firma di alcuni dei progetti simbolo della città come il Bosco Verticale.

Cosa significa oggi per Milano la design week? E per l’Europa?
La Design Week è stata e rimane un evento imprescindibile per Milano, così come Milano è il luogo imprescindibile di riferimento quando si parla di design. Questa settimana per noi è sempre stata una grande riconferma nel ruolo di Milano; anche nei momenti più di crisi, il Salone ha rappresentato una spinta, la convinzione che l’energia e il lavoro di tutto il mondo trovassero un punto di condensazione per sprigionarsi con forza in tutta la città. E questa è anche Milano, una delle poche città nel mondo in grado di trovare uno spazio straordinario, come quello della fiera e di offrire una città che si trasforma, diventando completamente aperta e permeabile nei piani terra.
E trovo che queste due condizioni coesistano grazie alla loro individualità: il Salone e il Fuorisalone, Rho Pero e la Milano degli spazi pubblici, dei locali e delle corti; sono eccezionali proprio perché sono fortissime una indipendentemente dall’altra.
D’altro canto non bisogna mai dimenticare che arrivano in città energie da tutto il mondo, da territori importantissimi, e senza la rete di distretti, di piccole e medie imprese, non ci sarebbe il Salone o la storia del design italiano. Noi rappresentiamo la punta dell’iceberg, e siamo debitori a tutta la parte sommersa.

Cosa cambierebbe nel modo in cui il design viene raccontato durante questo evento?
Ho avuto l’occasione di curare il Supersalone, l’edizione speciale del Salone del Mobile 2021, che di fatto fu il primo grande evento pubblico post-pandemia. Insieme al team di Stefano Boeri Interiors, che ho fondato con l’architetto Giorgio Donà, e con i co-curatori – Andrea Caputo, Studio Folder, Anniina Koivu, Lukas Wegwerth, Maria Cristina Didero – abbiamo immaginato di trasformare il Salone non nella classica esposizione fieristica ma in un grande evento collettivo, con talk, incontri, spazi di convivialità, proiezioni video e aree dedicate alle eccellenze gastronomiche italiane. L’allestimento non era organizzato per padiglioni tradizionali ma a partire da un modulo fisso – ma flessibile e personalizzabile – comune a tutti i produttori e designer, grandi e piccoli: democratico, nel segno del design, della partecipazione e della sostenibilità. Una delle caratteristiche principali dell’esposizione riguardava l’uso di strumenti digitali, che accompagnavano i prodotti.
Il Supersalone, diluito nello spazio ma denso di prodotti e attività, è stato un successo. Con questi progetti speriamo di dare un segnale di speranza e di visione per il prossimo futuro del settore fieristico italiano e internazionale. Nella stessa prospettiva, sappiamo che nulla potrà sostituire l’esperienza visiva, tattile, sensoriale dell’esposizione vissuta in presenza, ma l’implementazione del virtuale mi sembra uno scenario sempre più vicino, ad integrazione (e non in sostituzione) dell’evento.

In termini di sostenibilità, in quali aspetti il design e l’architettura possono ancora migliorare?
In tantissimi aspetti, senza dubbio. Oggi stiamo vivendo un cambiamento epocale – a livello di geopolitica, clima, relazioni internazionali, trasformazioni sociali – che si riflette di conseguenza anche sulla nostra attività di architetti, progettisti, urbanisti. Spetta a noi il compito di anticipare le mutazioni in atto; abbiamo una specifica responsabilità nel progettare i prossimi luoghi di vita – che siano pubblici o privati – in relazione all’impatto antropico sul Pianeta e alle macro-trasformazioni in corso. Pensare a nuovi modi di abitare le case e le città del futuro, in una prospettiva di maggior integrazione con l’ambiente, minor consumo di risorse – penso al consumo di suolo e di energia, ma anche il consumo idrico è oggi un tema fondamentale – è la sfida che dobbiamo porci sempre di più e che il design e l’architettura devono cogliere con massima urgenza.

Con uno sguardo a un futuro indefinito, Stefano Boeri si immagina che la natura possa davvero arrivare a prendere il controllo della città, creando una foresta urbana?
Controllo, secondo me, è la parola sbagliata. Ormai sappiamo che le città giocano un ruolo importante nel plasmare il futuro del nostro Pianeta, essendo responsabili del 75% delle emissioni di CO2. E nelle città dobbiamo agire. Le grandi città hanno l’opportunità di diventare parte integrante della soluzione al cambiamento climatico e alle problematiche ambientali che stanno influenzano la nostra vita di tutti i giorni, integrando la natura, salvaguardando quella esistente e aumentando il numero di foreste, non lasciandole il completo controllo.
Il cambio di paradigma che dobbiamo intraprendere, che vede noi in controllo di una natura indomabile, non deve portare a un anti-antropocentrismo, a un ribaltamento, ma a una coabitazione. Il tema delle energie rinnovabili non basta più, va affiancato al tema della forestazione urbana. Gli alberi e le foreste potrebbero infatti interrompere questo ciclo: assorbono ogni anno quasi il 40 per cento delle emissioni di combustibili fossili prodotte in larga parte dalle nostre città. E se un unico albero può portare notevoli benefici alla città e ai suoi abitanti, una foresta urbana può essere un aiuto straordinario per migliorare la qualità della salute e della vita. In questo senso i Boschi Verticali diventerebbero una – non l’unica certamente – delle soluzioni per implementare la forestazione urbana: in una visione comune, promossa anche da politiche e incentivi si potrebbe dar vita a orti urbani, creare nuovi parchi e giardini, trasformare i tetti delle città in prati o i muri di cinta in facciate di piante, e i cortili e spazi vuoti in oasi verdi – basti vedere su questo innovativi sistemi agricoli urbani a Canberra, in Australia, i giardini comunitari a Berlino, in Germania.
Da un lato, quindi, dobbiamo agire collettivamente per trasformare l’economia, il rapporto con l’ambiente, la velocità di movimento dei nostri corpi nello spazio e nel tempo e le modalità di progettazione dello spazio urbano o degli edifici; dall’altro, progettare con gli alberi, portare gli alberi nelle città (e ristabilire un rapporto con l’uomo e la natura vivente) è senza dubbio un primo passo importante.
