Voi sapete cose sono le sospensioni? Se rispondete no o vi viene in mente solo Un uomo chiamato cavallo allora continuate a leggere.
Sono su internet dal 95, anno più anno meno, e in questi anni ho visto abbastanza cose orribili da poter affermare senza ombra di dubbio che ho una mentalità aperta, sì, io ho una mentalità aperta. Questo tuttavia non vuol dire che io approvi o capisca tutto ciò che mi trovo davanti, ad esempio non capirò mai lo sconfinato amore per i cantanti neomelodici, chi cita Fabio Volo e chi si appende con dei ganci infilati nel petto e penzola per una decina di minuti.
Ma se delle prime due passioni non sono interessato a sapere assolutamente niente, se non quando partirà una crociata per eradicare il problema alla radice, sulla terza un po di curiosità ce lho, perché tutto sommato mi pare più sana delle altre due. A darmi una mano nel mio tentativo di capire ci ha pensato Stefano Moscardini.
Stefano è un fotografo, e quando i fotografi sentono il bisogno di raccontare una storia non hanno il privilegio o la sfortuna di potersi accontentare di qualche telefonata e ciò che gli suggerisce la testa, la fotografia è lunica forma darte che ti richiede di essere sul posto, e lui sul posto cè andato, passando un bel po di tempo con i Suspension Team, ovvero i gruppi di persone che praticano abitualmente la sospensione corporale.
La sua esperienza è stata poi raccolta in Suspension of disbelief, in cui testo, ma soprattutto immagini, raccontano la nascita e lo sviluppo di un fenomeno che ha origine molto lontane, e che la cultura moderna ha assimilato e reinterpretato in molti modi.
Gli occhi e le parole di Moscardini ci raccontano il classico caso di apparenza che inganna, perché dietro tatuaggi, piercing e pelle tirata fin quasi a strapparsi ci sono persone normalissime, gentilissime e molto amichevoli, che hanno creato una comunità fondata sul rispetto di sé e degli altri, solo che il loro hobby è penzolare dal soffitto.
Il motivo? Ognuno ha il suo, ma Moscardini si limita a esporli, senza alcun giudizio. Daltronde quando si parla di ganci nella carne che senso avrebbe spiegare il perché? Per qualcuno il gancio è una chiave che apre qualcosa dentro di sé, chi si appende per moda, chi per estetica del dolore, chi per rilassarsi (avete letto bene) e chi semplicemente per dimostrare che può farlo.
Ci si appende per il petto, per le ginocchia, per la schiena, con molti ganci, con pochi ganci, assieme, da soli in una fiera del settore, in un bosco, cè chi lo fa una volta e poi mai più, chi non sta bene se non si appende ogni settimana.
Se fate parte di questo mondo, se vi incuriosiscono le pratiche estreme e se apprezzate uno stile di fotografia asciutto e documentaristico, potrete comprare Suspension of Disbelief in pdf direttamente sul sito di Stefano.
E voi? Avete mai provato la sospensione?