La storia e l’eredità di Patrick Kelly

La storia e l’eredità di Patrick Kelly

Andrea Tuzio · 3 anni fa · Style

Alla chiesa nera Battista la domenica, le donne sono impetuose quanto quelle alle sfilate di alta moda di Yves Saint Laurent“.

Patrick Kelly è stato un vincitore, uno che ha combattuto e che ha scardinato le fitte trame bigotte che la società americana ha intrecciato per anni, attraverso il suo lavoro permeato delle armi più potenti: coraggio, umorismo e audacia. I punti di riferimento del celebre stilista americano sono sempre state le donne nere del sud degli Stati Uniti, quelle con le quali è cresciuto e che gli hanno insegnato tutto. Il lavoro di tutta la sua vita, finita tragicamente troppo presto, era un divertente viaggio glamour impregnato di curiosità culturale e storica. Gli anni ’80 hanno visto la nascita e la morte di uno dei più significativi e culturalmente importanti stilisti del nostro tempo; Kelly ha lottato contro ogni forma di razzismo e omofobia fino a quando ne ha avuto le forze, e oggi più che mai è fondamentale richiamare alla memoria l’eredità che ci ha lasciato.

Patrick è nato a Vicksburg, Mississippi, nel 1954. Cresciuto dalla madre, insegnante di economia domestica e dalla nonna materna, dopo che il padre li abbandonò quando lui era ancora molto piccolo, si appassiona al mondo della moda sin da bambino. A 6 anni, sua nonna gli fa vedere una rivista presa in prestito dalla casa di una “signora bianca”, la prima osservazione del giovane Patrick fu: “nonna, non ci sono donne nere“.
La risposta fu altrettanto diretta e vera: “nessuno dedica loro del tempo“.

Quella fu la prima scintilla che accese l’animo e la coscienza di quel bambino che poco dopo mise a frutto gli insegnamenti della madre e della nonna, imparando a cucire già mentre frequentava le scuole elementari. 

Nel 1972 si diploma e per un breve periodo frequenta la Jackson State University del Mississippi prima di trasferirsi ad Atlanta in Georgia. Nello stesso anno riceve una borsa di studio per frequentare la Parsons School of Design di New York ma a quanto pare “una volta che il preside della Parsons scoprì che Patrick Kelly non era irlandese si rifiutò di dargli la borsa di studio“.
A raccontarlo è Bjorn Amelan, suo fidanzato e socio in affari che gli resterà accanto fino al giorno della sua prematura morte nel 1990.  Ad Atlanta, Patrick si guadagna da vivere lavorando in una boutique di abiti vintage dove per la prima volta ha la possibilità di avere tra le mani abiti firmati, alcuni dei quali modifica e vende in un piccolo corner in un salone di bellezza, fino a quando non apre il suo negozio a Buckhead, il quartiere alla moda della città.

Il 1979 è un anno decisivo nella vita di Patrick, inizia una forte amicizia con la top model nera Pat Cleveland che, stimando il lavoro del giovane stilista e apprezzando i disegni che realizzava, lo spinge a trasferirsi a New York.
Nella Grande Mela, Kelly prova a entrare nel settore del moda a qualsiasi livello, ma il muro di gomma sul quale si scontra si rivela enorme, “non riuscivano a credere che un afroamericano facesse domanda per un lavoro nel campo del design della moda“, spiega Amelan.

Dopo un anno orribile passato a New York, nel 1980 si trasferisce a Parigi, sempre su consiglio della Cleveland.

Nella capitale parigina la vita di Patrick prende una piega diversa. Grazie a un servizio apparso sulla rivista Elle il successo è immediato.
I suoi abiti erano pensati e progettati per le donne nere del sud, quelle che lo avevano cresciuto e ispirato per tutta la sua vita e che in maniera trasversale incarnavano l’eleganza degli anni ’80.

La Principessa Diana, Grace Jones, Naomi Campbell e Iman sono solo alcuni esempi delle donne che adoravano Patrick e il suo fantastico lavoro, che lo portarono a diventare il primo stilista americano e nero ad essere ammesso alla Chambre syndicale du prêt-à-porter des couturiers et des créateurs de mode, il prestigioso organo di governo dell’industria francese del prêt-à-porter.

Patrick Kelly ha sconvolto il mondo della moda dalle fondamenta, le sue collezioni sono state uno strumento per esplorare e combattere gli stereotipi razzisti. Ha suscitato anche polemiche l’approccio attraverso il quale neutralizzava l’immaginario razzista riappropriandosi di quegli stessi simboli che lo sostenevano (come fette di anguria, bambole nere per bambini, banane, etc.) grazie al gioco, all’esuberanza e all’ironia. Ciò che fa di Kelly un esempio che più di ogni altro merita di essere ricordato, sono le battaglie che ha combattuto per affermarsi in un’industria dominata da bianchi, le stesse che moltissimi designer di colore continuano a combattere ogni giorno.

Nel 2004 Robin Givhan scriveva sul Washington Post
Ogni contributo duraturo che Kelly ha dato al vocabolario della moda è dominato dal singolare significato della sua etnia. Kelly era afroamericano e questo fatto ha giocato un ruolo di primo piano nei suoi modelli, nel modo in cui li ha presentati al pubblico e nel modo in cui ha coinvolto il pubblico stesso. Nessun altro noto stilista di moda è stato così indissolubilmente legato sia alla sua razza che alla sua cultura.

L’inclusività era in tutti gli abiti che disegnava, nel 1987 alla rivista People dichiarò: “io disegno per le donne grasse, le donne magre, tutti i tipi di donne. Il mio messaggio è che sei bella così come sei.

All’apice della sua carriera nell’agosto 1989, mentre lavora contemporaneamente per Warnaco, Benetton e tanti altri, Kelly si ammala di AIDS e a causa di ciò non riuscirà a portare a termine i preparativi per lo show di quell’anno previsto per ottobre. La sua malattia rimase un segreto fino a parecchio tempo dopo la sua morte avvenuta il 1 gennaio del 1990.

Al suo funerale, la sua amica e cliente Gloria Steinem concluse il suo discorso affermando: “invece di dividerci con oro e gioielli, ci ha unito con bottoni e fiocchi.

Il suo lavoro ha aperto la strada a brand come FUBU e alle tecniche di Jeremy Scott

Il lascito culturale e artistico di Patrick Kelly dovrebbe essere, oggi ancora di più, un faro in grado di guidare l’intero fashion system nella lotta alle discriminazioni razziali in ogni ambito e a spingere tutti i soggetti coinvolti ad adoperarsi con progetti, idee forti e a lungo termine che puntino allo sconvolgimento di uno status quo ingiusto e per nulla inclusivo.

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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Ciò che viene nascosto
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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 8 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Andrea Torrei

Selezione di Andrés Juan Suarez

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