Super Bowl 2020: i migliori spot

Super Bowl 2020: i migliori spot

Giulia Guido · 3 anni fa · Art

Il Super Bowl 2020 ha visto trionfare i Kansas City Chiefs contro i San Francisco 49ers, ma come spesso accade durante un evento di grande richiamo come questo tutto ciò che gli fa da contorno finisce per essere più importante. E allora, rivediamo insieme gli spot migliori che hanno animato la serata! 

Microsoft – Be The One / Katie Sowers

Protagonista dello spot dell’azienda americana è Katie Sowers, Assistant Coach dei San Francisco 49ers e prima donna ad allenare una squadra durante il Super Bowl. 

I’m not trying to be the best female coach.
I’m trying to be the best coach.

Hyundai – Smaht Pahk

Chris Evans, John Krasinski, Rachel Dratch e David “Big Papi” Ortiz fanno scintille nello spot firmato Hyundai. Parcheggiare non è mai stato così facile e divertente! 

Jeep – Groundhog Day 

Bill Murray, 69 anni e più voglia di vivere di tutti noi messi insieme. 

Budweiser – Tipica American 

Sebbene in questo preciso momento storico potremmo trovare mille motivi per essere contenti di non essere americani, Budweiser ci mostra che non è così male e che, in fondo, un americano ha altrettanti motivi per essere orgoglioso del proprio Paese. 

Google – Loretta 

Google punta tutto sui ricordi e, ancora una volta, fa centro. 

MNT DEW Zero Sugar – “As good as the original” 

È Bryan Cranston il volto scelto da Mountain Dew per lo spot di quest’anno, in cui lo vediamo rifare la famosa scena di The Shining in cui Jack Nicholson spacca la porta con un’ascia. Chiusa in bagno c’è niente meno che Tracee Ellis Ross. Come finisce? Non ve lo spoilero, dovete vederlo! 

Porsche – The Heist 

Più che uno spot, quello di Porsche è un vero e proprio corto d’azione. C’è un furto, una spietata caccia al ladro, paesaggi mozzafiato e soprattutto auto da sogno. Fast and Furious?! Lasciate perdere, meglio questo!  

Pringles – Rick and Morty 

Rick e Summer scoprono di essere intrappolati in uno spot Pringles e circondati da dei Morty meccanici ossessionati dai nuovi gusti delle patatine. Morirete dalla risate! 

Hard Rock – Big Game Commerial

La regina indiscussa di questo Super Bowl 2020 è stata assoldata da Hard Rock per il suo spot. Il set è il nuovo Seminole Hard Rock Hotel & Casino e a fare da spalla a JLo niente meno che il marito A-Rod, DJ Hhaled, Pitbull e Steven Van Zandt

Rocket Mortage – Jason Mamoa

Come sarebbe Jason Mamoa senza il suo fisico statuario, senza i suoi muscoli e, soprattutto, senza la sua chioma selvaggia? Scoprirlo è stato divertente, ma fortunatamente è tutto frutto di effetti speciali. 

Genesis USA – Going Away Party ft. John Legend and Chrissy Teigen

Una delle coppie più amate di Hollywood e un suv di lusso. Impossibile non fare centro con una combo del genere. 

Audi presents: Let it go 

Il solo fatto di vedere Maisie Williams, la piccola di famiglia Stark, dietro a un volante fa già un certo effetto. Seguirla mentre canta Let it go di Frozen driblando il traffico è quasi surreale! 

Michelob Ultra – Jimmy Works It Out

Lo showman per eccellenza e il wrestler più conosciuto sono compagni di allenamento. E la differenza si vede, per fortuna alla fine di ogni sessione c’è una bella Michelob Ultra ad attenderli. 

Alexa

Ma come facevano le persone prima di Alexa? Ellen DeGeneres e Portia de Rossi si domandano all’inizio dello spot di Amazon. Non potete immaginarvi che cosa si sono inventati per dare una risposta a questo quesito. 

Super Bowl 2020: i migliori spot
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 5 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
Diego Dominici e il velo di Maya
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Diego Dominici e il velo di Maya
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6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

Tommaso Berra · 2 giorni fa · Photography

È stato prima un grande insegnante, educatore e saggista, poi anche un grande fotografo, che ha legato la propria carriera al ritratto e più avanti al mondo della moda. Nel corso della sua carriera di Rodney Smith (1947-2016) ha rappresentato scene meticolosamente costruite, umoristiche, paradossali, romantiche e divertenti, che verranno ora raccolte in un volume intitolato “Rodney Smith: A Leap of Faith“, contenente oltre duecento fotografie – alcune inedite – appena acquisite dal J. Paul Getty Museum.
Il progetto e l’acquisizione di Getty ripercorrono una traiettoria creativa che ha fatto della fantasia e dell’eleganza un vero filone fotografico. Gli spettatori sono invitati ad attivare un confronto con il surrealista René Magritte, il pittore che per temi e soggetti si avvicina maggiormente a Rodney Smith, mentre il curatore del Getty Museum Paul Martineau descrive Smith: “…come Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, le sue fotografie ci conducono nella tana del coniglio in un luogo fantastico che è appena fuori dalla nostra portata ma destinato a ispirarci a essere versioni migliori di noi stessi”.

Collater.al ha selezionato sei tra le più belle fotografie di Rodney Smith: A Leap of Faith, l’impressione è quella di avere davanti frame di un film fantastico o scene di un grande musical in costume, con i protagonisti che si trovano a ballare e baciarsi sopra il tetto di un taxi giallo di New York.

Rodney Smith | Collater.al
Figure 1 Twins in the Tree, Snedens Landing, New York, 1999 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 41 Self-Portrait with Leslie, Siena, Italy, 1990 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 86 A.J. Chasing Airplane, Orange County Airport, New York, 1998 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 110 Reed Leaping Over Rooftop, New York, New York, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 115 Wessel Looking Over the Balcony, Paris, France, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 126 Edythe and Andrew Kissing on Top of Taxis, New York, New York, 2008 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith
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Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Lise Johansson e la non-appartenenza ai luoghi

Giorgia Massari · 13 ore fa · Photography

Perché sentiamo di appartenere ad alcuni luoghi e non ad altri? Si interroga la fotografa danese Lise Johansson (1985). Da questa riflessione parte la sua ricerca, basata sull’analisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente che abita. Molto spesso le nostre case rappresentano ciò che siamo, sono il riflesso della nostra anima e del nostro carattere. Minimal o barocche, total white o colorate, ricche di oggetti oppure asettiche; in ogni caso, costruiamo ambienti su misura per noi, in cui sentirci a nostro agio e che diano forma alla nostra persona. Ma quando usciamo fuori casa e ci troviamo a rapportarci con altri ambienti, come il luogo di lavoro, uno studio medico o la casa di un nostro amico, entrano in gioco fattori esterni che non possiamo controllare e con cui siamo costretti a interfacciarci. Lise Johansson ragiona su queste dinamiche inconsapevoli che regolano la psicologia inconscia.

Nella serie intitolata I’m not here, la fotografa realizza una serie di autoscatti all’interno di un ospedale abbandonato. L’ambiente è asettico e di una desolazione inquietante in cui il bianco domina inesorabile. La luce del giorno entra dalle finestre, talvolta in contrasto con quella artificiale, accentuando la potenza cromatica del bianco, evidenziato ancor di più dalla carnagione lattiginosa della fotografa e dal suo abito lungo candido, tipico dei pazienti ospedalieri.
Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente non risulta essere rilassato. Si percepisce una tensione malinconica, tipica dei soggetti rinchiusi all’interno di un luogo. La figura sembra quasi vagare come uno spettro, il suo volto non è mai visibile a causa dell’inquadratura fotografica e, negli altri casi, è nascosto dentro o dietro un oggetto – come un lavandino o uno specchio. Questo particolare consente alla donna di essere presente nello spazio ma allo stesso tempo di non abitarlo, come se la sua mente provasse a evadere in altre direzioni, cercando una via di fuga. Così come il soggetto, anche l’ambiente è vulnerabile, fermo in un limbo e sottoposto a trasformazioni. Il luogo esiste, come la donna, ma sono entità dimenticate, senza status e completamente svuotati di un’anima.

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