Stareste mai legati da una corda ad una persona per un intero anno? O rinchiusi in una gabbia senza alcun tipo di intrattenimento? L’artista cinese Tehching Hsieh l’ha fatto. Hsieh ha incentrato la sua arte sulla performance, con l’intento di esplorare il tempo, documentando il tutto con video e fotografie. A partire dalla fine degli anni ’70, periodo in cui le performance artistiche contrastavano l’oggetto artistico, che andava via via mercificandosi, Tehching Hsieh ha messo in scena cinque performance dalla durata di un anno che sfidano la sopportazione umana.

Le one-year performance di Hsieh sono tutte basate sul concetto di privazione in un’ottica di esplorare il tempo. Oggi più che mai ci viene insegnato che il tempo è sacro, qualcosa da non sprecare ma anzi, da rincorrere. Viviamo con una costante pressione sociale che denigra l’ozio e ci impone il costante lavoro o l’impiego saggio del tempo. L’artista cinese forse estremizza in qualche modo l’esatto opposto, ma senza dubbio porta ad una riflessione che, a distanza di anni, rimane incredibilmente attuale.
Con il solo medium del tempo, convertito nella durata di un anno, Hsieh impone a sé stesso, in un atto che sfocia in una forma di egocentrismo, delle pratiche che definiremmo masochiste, riuscendo in delle “imprese” che, forse, nessuno di noi riuscirebbe a sopportare nemmeno per un mese.

La prima: One-year Cage (1978-79)
Tehching Hsieh costruisce una piccola gabbia all’interno del suo appartamento di New York, dotandola di una sola brandina e di un bagno, senza alcun tipo di intrattenimento. Rimarrà chiuso qui dentro per un anno senza parlare con nessuno. Per poter mangiare, chiese a un amico di portargli del cibo una volta al giorno, incaricato anche di scattargli una foto, per documentare il tutto. Le uniche visite che poteva ricevere erano una o due volte al mese, da parte di pochi sconosciuti curiosi di vedere la performance. Hsieh visse un anno che molti di noi considererebbero “buttato”, sprecato, con il solo intento di guardare il tempo passare.

La seconda: Time Clock piece (1980-81)
In questa seconda performance, Hsieh esplora ulteriormente il tema tempo imponendosi di timbrare un cartellino ad ogni scoccare dell’ora, per un intero anno. In questo modo diventa schiavo dello scorrere del tempo o meglio, del tempo scandito da noi esseri umani. Per un anno l’artista non dormì per più di 59 minuti consecutivi. Ma non riuscì del tutto nell’impresa, per 133 volte non timbrò.

La terza: Outdoor piece (1981-82)
Senza concedersi respiro, terminata la performance Time Clock Piece, Tehching Hsieh intraprese forse una delle più difficili performance della sua carriera: non entrare, sempre per un anno, all’interno di alcun posto al chiuso. L’artista visse per un anno all’aperto, tra l’altro in uno degli inverni più freddi per la città di New York. Anche quest’opera non riuscì ad essere compiuta, per 15 ore l’artista fu rinchiuso in cella a seguito di un arresto per rissa.

La quarta: Rope Piece (1983-84)
Tutte le performance di Hsieh sono solitarie, ad eccezione di questa. L’artista coinvolge infatti Linda Montano (1942), un’altra performance artist che non aveva mai conosciuto di persona. I due artisti si legarono l’uno all’altro con una corda lunga due metri e mezzo, e vissero insieme per un anno, condividendo tutti i momenti, da quelli più intimi a quelli più dolorosi, senza potersi mai toccare. L’opera esplora la comunicazione e la connessione umana, trasmettendo in un certo senso il bisogno umano di compagnia e l’impossibilità dell’uomo di vivere da solo.
“Volevo fare un’opera sugli esseri umani e sulla loro lotta reciproca. Non possiamo affrontare la vita da soli, senza persone. Ma siamo insieme e quindi diventiamo l’uno la gabbia dell’altro. Questo pezzo parla dell’essere come un animale, nudo. Non possiamo nascondere i nostri lati negativi. Non possiamo essere timidi. È più che una semplice onestà: mostriamo la nostra debolezza”, dichiarò Hsieh.

La quinta: No Art Piece (1985-86)
La quinta e penultima performance, sfida la concezione stessa dell’arte. L’artista infatti si impone di non parlare, fruire o fare arte per un anno. Per evitare contraddizioni, la performance non fu documentata. Tehching Hsieh fece arte senza poterla fare.
In realtà esiste una sesta e ultima performance, che durò 14 anni, dal 1986 al 2000. Per tutti questi anni Hsieh non disse a nessuno in cosa consistesse l’opera e poi, il 31 dicembre 1999, allo scoccare della mezzanotte pronunciò una semplice frase che recitava: “Io, Tehching Hsies, sono sopravvissuto.”
Hsieh riassume il suo studio sul tempo e, di conseguenza, le sue performance con tre frasi drammatiche ma pur sempre vere: “Life is life sentence. Life is passing time. Life is free thinking“.