Le one-year performance di Tehching Hsieh

Le one-year performance di Tehching Hsieh

Giorgia Massari · 4 settimane fa · Art

Stareste mai legati da una corda ad una persona per un intero anno? O rinchiusi in una gabbia senza alcun tipo di intrattenimento? L’artista cinese Tehching Hsieh l’ha fatto. Hsieh ha incentrato la sua arte sulla performance, con l’intento di esplorare il tempo, documentando il tutto con video e fotografie. A partire dalla fine degli anni ’70, periodo in cui le performance artistiche contrastavano l’oggetto artistico, che andava via via mercificandosi, Tehching Hsieh ha messo in scena cinque performance dalla durata di un anno che sfidano la sopportazione umana.

tehching hsieh | Collater.al

Le one-year performance di Hsieh sono tutte basate sul concetto di privazione in un’ottica di esplorare il tempo. Oggi più che mai ci viene insegnato che il tempo è sacro, qualcosa da non sprecare ma anzi, da rincorrere. Viviamo con una costante pressione sociale che denigra l’ozio e ci impone il costante lavoro o l’impiego saggio del tempo. L’artista cinese forse estremizza in qualche modo l’esatto opposto, ma senza dubbio porta ad una riflessione che, a distanza di anni, rimane incredibilmente attuale. 

Con il solo medium del tempo, convertito nella durata di un anno, Hsieh impone a sé stesso, in un atto che sfocia in una forma di egocentrismo, delle pratiche che definiremmo masochiste, riuscendo in delle “imprese” che, forse, nessuno di noi riuscirebbe a sopportare nemmeno per un mese. 

tehching hsieh | Collater.al

La prima: One-year Cage (1978-79)

Tehching Hsieh costruisce una piccola gabbia all’interno del suo appartamento di New York, dotandola di una sola brandina e di un bagno, senza alcun tipo di intrattenimento. Rimarrà chiuso qui dentro per un anno senza parlare con nessuno. Per poter mangiare, chiese a un amico di portargli del cibo una volta al giorno, incaricato anche di scattargli una foto, per documentare il tutto. Le uniche visite che poteva ricevere erano una o due volte al mese, da parte di pochi sconosciuti curiosi di vedere la performance. Hsieh visse un anno che molti di noi considererebbero “buttato”, sprecato, con il solo intento di guardare il tempo passare.

tehching hsieh | Collater.al

La seconda: Time Clock piece (1980-81)

In questa seconda performance, Hsieh esplora ulteriormente il tema tempo imponendosi di timbrare un cartellino ad ogni scoccare dell’ora, per un intero anno. In questo modo diventa schiavo dello scorrere del tempo o meglio, del tempo scandito da noi esseri umani. Per un anno l’artista non dormì per più di 59 minuti consecutivi. Ma non riuscì del tutto nell’impresa, per 133 volte non timbrò.

tehching hsieh | Collater.al

La terza: Outdoor piece (1981-82)

Senza concedersi respiro, terminata la performance Time Clock Piece, Tehching Hsieh intraprese forse una delle più difficili performance della sua carriera: non entrare, sempre per un anno, all’interno di alcun posto al chiuso. L’artista visse per un anno all’aperto, tra l’altro in uno degli inverni più freddi per la città di New York. Anche quest’opera non riuscì ad essere compiuta, per 15 ore l’artista fu rinchiuso in cella a seguito di un arresto per rissa. 

La quarta: Rope Piece (1983-84) 

Tutte le performance di Hsieh sono solitarie, ad eccezione di questa. L’artista coinvolge infatti Linda Montano (1942), un’altra performance artist che non aveva mai conosciuto di persona. I due artisti si legarono l’uno all’altro con una corda lunga due metri e mezzo, e vissero insieme per un anno, condividendo tutti i momenti, da quelli più intimi a quelli più dolorosi, senza potersi mai toccare. L’opera esplora la comunicazione e la connessione umana, trasmettendo in un certo senso il bisogno umano di compagnia e l’impossibilità dell’uomo di vivere da solo. 

Volevo fare un’opera sugli esseri umani e sulla loro lotta reciproca. Non possiamo affrontare la vita da soli, senza persone. Ma siamo insieme e quindi diventiamo l’uno la gabbia dell’altro. Questo pezzo parla dell’essere come un animale, nudo. Non possiamo nascondere i nostri lati negativi. Non possiamo essere timidi. È più che una semplice onestà: mostriamo la nostra debolezza”, dichiarò Hsieh.

tehching hsieh | Collater.al

La quinta: No Art Piece (1985-86)

La quinta e penultima performance, sfida la concezione stessa dell’arte. L’artista infatti si impone di non parlare, fruire o fare arte per un anno. Per evitare contraddizioni, la performance non fu documentata. Tehching Hsieh fece arte senza poterla fare.

In realtà esiste una sesta e ultima performance, che durò 14 anni, dal 1986 al 2000. Per tutti questi anni Hsieh non disse a nessuno in cosa consistesse l’opera e poi, il 31 dicembre 1999, allo scoccare della mezzanotte pronunciò una semplice frase che recitava: “Io, Tehching Hsies, sono sopravvissuto.”
Hsieh riassume il suo studio sul tempo e, di conseguenza, le sue performance con tre frasi drammatiche ma pur sempre vere: “Life is life sentence. Life is passing time. Life is free thinking“.

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Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie

Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie

Andrea Tuzio · 1 giorno fa · Photography

Dopo la sua performance al Coachella 2023 non priva di polemiche, si torna a parlare di Frank Ocean ma per questioni completamente diverse.

Homer, il brand indipendente di lusso lanciato due anni fa dallo stesso artista di Long Beach e che si occupa principalmente di realizzare e vendere gioielli come ciondoli, anelli, collane, orecchini diamantati, bracciali in argento riciclato e oro 18 carati, tutti prodotti artigianalmente in Italia e caratterizzati da forme divertenti e colori vivaci, ha pubblicato un libro fotografico.

Da pochi giorni infatti è possibile ordinare sul sito di Homer, al prezzo di 90€, Mutations, un libro fotografico di 48 pagine che rappresenta una retrospettiva di opere realizzate tra il 19 ottobre e il 22 dicembre 2022, per lo più foto scattate dallo stesso Ocean. 
Una serie di scatti che ci mostrano un lato del cantante statunitense nuovo, unico e che mostrano, ancora una volta, quanto sia raffinata e ricercata la sua estetica.

Se volete portarvi a casa una vera chicca da collezione come Mutations, il libro fotografico di Frank Ocean, vi basta cliccare qui.

Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie
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I paesaggi malinconici di Alana Celii

I paesaggi malinconici di Alana Celii

Anna Frattini · 11 ore fa · Photography

Alana Celii è una fotografa americana che ridefinisce tempo e significati scattando paesaggi e soggetti dall’aura malinconica e senza tempo. Ora photo editor del New York Times, precedentemente ha lavorato sia per il Wall Street Journal che per il TIME parallelamente alla sua carriera nella fotografia. La sua prima monografia, Paradise Falling, è una serie di fotografie che ridefinisce la sensazione di perdita mostrando cosa significa sentirsi persi attraverso metafore che guardano all’astrologia, al mito e al simbolismo.

Per Celii il punto di partenza è la natura, immortalata talvolta scattando senza soluzione di continuità e improvvisando. Dopo Paradise Falling, la fotografa americana ha iniziato un progetto nuovo alla scoperta dei paesaggi della West Coast dopo il suo trasferimento in California. In queste immagini è chiara la matrice californiana nelle textures e nei colori intensi riconoscibilissimi nei paesaggi sconfinati immortalati dalla fotografa.

Per scoprire altri scatti di Alana Celii qui il suo profilo Instagram.

Ph. courtesy Alana Celii

I paesaggi malinconici di Alana Celii
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La fotografia eterea di Matteo Zanin

La fotografia eterea di Matteo Zanin

Giorgia Massari · 5 giorni fa · Photography

“Ci sono ipotesi diverse su come siamo venuti al mondo, c’è chi dice dagli animali come conseguenza dell’evoluzione della specie e c’è chi dice per mano di Dio, ma di certo sappiamo che quando lasceremo questo pianeta, ciò che resterà di noi sarà solo polvere.” con queste parole il fotografo italiano Matteo Zanin (1986) riflette sul nostro destino attraverso una serie di scatti di nudo artistico. La polvere, le briciole, i detriti, le ceneri sono il punto di partenza del suo progetto fotografico POLVERE in cui la materia naturale e il corpo umano diventano una cosa sola.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al

In un’ambiente arido, privo di vegetazione, una donna nuda, dall’aspetto candido e leggero vaga nel desertico paesaggio, mimetizzandosi e amalgamandosi ad esso. “La donna è l’essere vivente che più si avvicina alla natura, perché come lei è l’unica che può creare un’altra vita.” riflette Zanin.

Gli scatti appartengono ad una sfera eterea, che rimanda lo spettatore ad uno scenario quasi apocalittico. L’ultima donna sul pianeta, una ninfa solitaria, in cerca di acqua, di una fonte di vita. Con il tempo il suo corpo si congiunge alla natura, fino a diventare parte della stessa. Contorcendosi imita le sue forme, abbracciandola le dimostra il suo amore.

La passione per la Street photography e il suo approccio cinematografico, oltre alla sua esperienza nel campo della moda, emergono particolarmente nella serie POLVERE, capace di riassumere l’identità artistica di Matteo Zanin e di restituire una serie di sentimenti contrastanti. La natura può dare ma può anche togliere.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al

Courtesy and credits Matteo Zanin

La fotografia eterea di Matteo Zanin
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Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Anna Frattini · 6 giorni fa · Photography

Classe 1980, J. Jason Chambers è un fotografo americano che racconta l’America attraverso i suoi scatti, viaggiando di stato in stato e ispirandosi al New Topographics Movement. Scorrendo fra gli scatti del fotografo sembra di vedere un’America molto diversa da quella che ci immaginiamo. Insegne al neon luminose, stazioni di servizio e vecchie automobili sospese in un’atmosfera quasi cinematografica. Chambers sembra essere in continuo movimento, dalla California fino a Wall Street passando per il deserto. Le fotografie scattate a New York fanno da contraltare alle suggestioni desertiche del New Mexico e ai panorami texani di Marfa.

La riflessione di J. Jason Chambers su una nuova topografia influenzata dall’uomo si ispira a una mostra risalente al 1975 a Rochester, New Topographics. In questa occasione furono esposti 10 fotografi alle prese con l’arrivo del Concettualismo e del Minimalismo nella fotografia degli anni ’70. Il SFMoMA, nel 2010, ha deciso di riportare in vita questa mostra rivelando il ponte pre-esistente fra il mondo dell’arte contemporanea e quello della fotografia.

Il punto di incontro fra la fotografia di J. Jason Chambers e New Topographics sta nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente. Stazioni di servizio, motel o parcheggi fanno ormai parte del nostro immaginario quando si parla di paesaggistica così oggi come negli anni ’70.

J. Jason Chambers

Per scoprire altri scatti di J. Jason Chambers qui il suo profilo Instagram.

Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America
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