The Last Dance Style Discrepancy

The Last Dance Style Discrepancy

Andrea Tuzio · 4 anni fa · Style

“Nel 1992 la NBA veniva trasmessa in 80 paesi. Ora, viene trasmessa in 215 paesi. Chiunque capisca il fenomeno di questa evoluzione sa che Michael Jordan e la sua epoca hanno avuto un ruolo fondamentale in essa.”
David Stern, Commisioner NBA dal 1984 al 2014.

“Ci sono grandi atleti che non hanno un impatto al di là del loro sport. E poi ci sono degli sportivi che diventano dei fenomeni culturali. Michael Jordan ha contribuito a spianare la strada a una nuova percezione degli atleti afroamericani e a una nuova idea di sport come parte del mondo dello spettacolo. È diventato uno straordinario ambasciatore all’estero non del basket, ma degli Stati Uniti e della cultura americana nel mondo. Michael Jordan e i Bulls hanno cambiato la cultura.”
Barack Obama, 44º presidente degli Stati Uniti d’America dal 2009 al 2017

Ho deciso di iniziare questo piccolo viaggio nel mondo dell’estetica di The Last Dance con due citazioni che esplicano inequivocabilmente quanto l’impatto di MJ e della dinastia dei Chicago Bulls di Phil Jackson, Scottie Pippen, Dennis Rodman e soci, sia stata epocale e abbia segnato indelebilmente più di una generazione sotto tutti i punti di vista (sportivo, culturale, estetico, etc.).
La docu-serie prodotta da ESPN e Netflix, le cui due ultime puntate sono state rilasciate ieri qui in Italia, è diventata la più vista di sempre, una sorta di cerimonia collettiva che sottolinea, in maniera ancora più marcata, la gigantesca influenza che tutti i protagonisti di questa vicenda epica e irripetibile abbiano avuto, e hanno tuttora, nell’immaginario collettivo. 
Guardando la serie è possibile accorgersi di alcune discrepanze dal punto di vista dello stile e ho scelto di metterle insieme per far luce su alcune cose poco chiare o semplicemente curiose.

Balenciaga, Jacquemus e Vetements vs i completi dei Bulls

Oversize.
Questo il termine più utilizzato e abusato degli ultimi 5anni. Il mondo della moda, soprattutto quello dell’high fashion e dello streetwear, ha riscoperto le sovradimensioni riempiendo le collezioni di giacche, pantaloni, capispalla, T-shirt, felpe e maglioni oversized. Un richiamo netto ed evidente all’estetica 90s che strizza l’occhio alla tendenza normcore che fa della comodità e dei colori tenui una prerogativa. 
Brand come Balenciaga, Vetements e Jacquemus, ad esempio, hanno definito e ridefinito la loro cifra estetica proprio attraverso il sovradimensionamento dei capi.
I brand che ho appena citato vengono spesso presi come esemplificazione della moda contemporanea, l’evoluzione all’interno della contemporaneità. 
I completi dei giocatori dei Bulls, Jordan e Pippen su tutti, potrebbero essere usciti da un editoriale di Balenciaga scattato l’altro ieri, dove le proporzioni vengono ampliate e l’architettura dei look portata quasi all’estremo. Per costruire un outfit degno dei Bulls di fine anni ’90 ma assolutamente contemporanei, qui trovate un paio di link:

GIACCA MONOPETTO BOXY LINEA STRETTA
CHECKED WOOL-BLEND BLAZER
NAVY PINSTRIPE RELAXED TROUSERS
GIACCA BOXY A DOPPIO PETTO LINEA STRETTA

Air Jordan 1 vs Air Ship

L’episodio numero V di The Last Dance si apre con un meraviglioso ricordo di Kobe Bryant e del suo primo incontro con Michael. Le parole di Kobe non possono far altro che rinnovare il dolore per la tragica scomparsa avvenuta troppo prematuramente della leggenda dei Lakers.
Nella ricostruzione del regista Jason Hehir, veniamo catapultati a New York l’8 marzo del 1998
I Bulls sono in trasferta e devono giocare contro i New York Knicks al Madison Square Garden, “the World’s Most Famous Arena“, l’attenzione è tutta su Jordan perché quella potrebbe essere la sua ultima partita in quel della Grande Mela dove MJ ha sempre regalato prestazioni di livello come il famoso “Doublenickle”, 55 punti messi a referto il 28 marzo del 1995. Il Madison era il suo palazzetto preferito e quindi scelse di indossare un paio di scarpe “speciali” per l’occasione, l’ultima visita alla Mecca. 
Michael racconta che optò per un paio di vecchie Air Jordan 1 “Chicago”, le scarpe che aveva indossato nella sua prima partita al Garden sarebbero state anche le ultime.

Ecco, qui dobbiamo fermarci un attimo e riavvolgere il nastro.
La prima apparizione di MJ al Madison Square Garden di New York risale all’8 novembre del 1984 e le immagini dell’epoca smentiscono la ricostruzione che viene fatta dallo stesso Jordan. Michael segnò 33 punti, prese 8 rimbalzi e piazzò 5 assist, un’ottima prestazione nel complesso ma c’è un però. Come vi dicevo, i filmati di quella partita mostrano Jordan indossare non un paio di Air Jordan 1 “Chicago” bensì un paio di Nike Air Ship, la silhouette che ispirò le Jordan 1.
Anche da un punto di vista della release troviamo delle incongruenze, nello spogliatoio prima della partita, Toni Kukoč chiede a Michael l’anno di uscita di quelle scarpe e Jordan risponde: “1984”. Peccato però che la prima release delle Air Jordan 1 ci fu nell’aprile del 1985. 
Il perché di tutta questa storia? Semplice, marketing. La vera stella cometa che ha illuminato il cammino di MJ con Nike, grazie alla quale si sono messe le fondamenta della più grande fortuna di tutti i tempi legata a un brand sportivo. 
Se vuoi portarti a casa un paio di Air Jordan 1 “Chicago” puoi acquistarle qui, se invece preferisci un paio di Nike Air Ship, puoi comprarle qui.

Dennis Rodman vs chiunque

Per approfondire il discorso su Dennis Rodman, vi rimandiamo a un articolo che abbiamo pubblicato un paio di settimane fa e che racconta come Dennis sia, ancora oggi, un’icona di stile intramontabile.

I pantolincini di John Stockton vs quelli di tutti gli altri

Questa è una piccola curiosità legata a un giocatore straordinario. Stiamo parlando di John Houston Stockton, playmaker degli Utah Jazz che per due anni consecutivi (’97 e ’98) hanno affrontato i Chicago Bulls alle Finals NBA
Michael Jordan non ha soltanto impattato sulla NBA in maniera deflagrante da un punto di vista tecnico ma anche da un punto di vista estetico, Michael ci mise poco a diventare l’epitome del cool in un campo da basket.
Negli anni ’80 i pantaloncini delle divise da gioco erano molto corti e rispecchiavano la moda dei tempi, a rompere gli schemi però fu proprio MJ che scelse di indossare dei pantaloncini più lunghi del normale. La cosa piacque moltissimo ai giocatori e alla lega al punto che tutti si adeguarono a questa scelta estetica, tranne uno, John Stockton. Il più grande assistman della storia del gioco rifiutò di omologarsi e per tutta la carriera continuò a indossare i pantaloncini corti classici degli anni ’80. 
Va ricordato che la moda dei pantaloncini più lunghi e più larghi sfociò rapidamente anche fuori dal parquet e tutti i ragazzini del mondo, quando andavano al campetto, portavano calzoncini di almeno due taglie up. Michael continuava a cambiare l’estetica della società americana e di tutto il mondo.
Qui potete acquistare la canotta di John Stockton del 1998.

Sonny Vaccaro vs The Last Dance

Un’altra enorme eredità che ci troviamo tra le mani e che il documentario approfondisce è il legame tra Michael Jordan e la Nike.
Viene raccontata tutta la storia: Michael che in realtà voleva firmare con adidas,  il cambio di strategia da parte di Nike che voleva iniziare a trattare i giocatori di basket come i tennisti da un punto di vista di marketing, ovvero come atleti singoli e non più come parte di una squadra; la trattativa e il ruolo fondamentale che rivestì la mamma di Michael, la signora Dolores; la gargantuesca offerta che l’azienda di Beaverton fece al giovanissimo Michael; insomma, ce l’hanno raccontata bene. 
O forse no.
C’è una persona che ha svolto un ruolo fondamentale e unico nella storia tra la Nike e Michael Jordan, Sonny Vaccaro. Un italoamericano che ha cambiato la storia del marketing, delle sneaker, di Nike e di Jordan per sempre grazie ad una “semplice” intuizione.
Verso la fine degli anni ’70, Vaccaro godeva di una certa visibilità e aveva acquisito una sicurezza invidiabile dovuta all’organizzazione di tornei estivi di basket per giovani liceali ai quali erano presenti i più importanti allenatori del college basket, il che gli permise di avere una certa qual conoscenza dell’ambiente. Ciò lo portò a fare un passo decisivo. Nel 1977 chiamò al telefono gli uffici della Nike a Portland, in Oregon, per proporre una sua idea per una nuova scarpa. La proposta fu gentilmente declinata ma Rob Strasser, uno dei massimi dirigenti dell’azienda, rimase ammaliato dei contatti che Vaccaro aveva messo insieme con tutti gli allenatori delle varie università del paese (all’epoca i contratti per le calzature dei giocatori dei college venivano chiusi dagli allenatori), capirete bene l’enorme influenza che Vaccaro poteva avere su quest’ultimi. Strasser assunse Vaccaro con la paga di 500 dollari al mese, gli mise trentamila dollari a disposizione su un conto, e gli chiese di far diventare i coach testimonial della Nike. Per lui fu un gioco da ragazzi: propose agli allenatori semplici contratti con l’azienda di Beaverton, firmò assegni e spedì loro scarpe gratis da far indossare ai giocatori.
Nel 1982 Vaccaro fu invitato alle Final Four NCAA che quell’anno si tennero a New Orleans. Le Final Four del 1982 furono quelle in cui, nel timeout decisivo a pochi secondi dalla fine nella finale tra North Carolina e Georgetown, sotto di uno, Dean Smith diede la possibilità ad un giovanissimo Michael Jordan e ai suoi Tar Heels di scrivere la prima parola di quello che sarà il più bel romanzo della storia dello sport. Gli disse testuale: “Knock it in, Michael!”Mettilo dentro, Michael.
L’ultimo tiro di quella finale lo prende Jordan, la lingua è fuori e la rotazione difensiva di Georgetown è lenta. Due punti. L’ultimo possesso di Georgetown finisce nel nulla e Carolina è campione. Il premio come miglior giocatore fu assegnato a James Worthy ma un altro aveva rubato la scena a tutti secondo Vaccaro e quel giocatore era il freshman di North Carolina con il 23 dietro la schiena che aveva messo il tiro decisivo, Michael Jordan. 
Vaccaro stravolse tutti i suoi piani, era successo qualcosa davanti al mondo intero e lui l’aveva percepito, avrebbe convinto la Nike a investire tutti i suoi soldi su quel singolo giocatore.
Avrebbero creato una scarpa apposta per lui, avrebbero creato un’intera linea di abbigliamento dedicata, insomma, tutto quello che vedete oggi con il logo Jumpman è frutto dell’intuizione di tale Sonny Vaccaro che, se avete visto The Last Dance, non viene citato nemmeno una volta. 
Il perché non è dato sapere ma se volete approfondire questa incredibile storia vi consiglio di leggere “Michael Jordan, la vita” di Roland Lazenby che potete acquistare qui

Qui finisce il nostro breve viaggio nell’estetica di The Last Dance ma non disperate, a breve ci sarà qualcos’altro da vedere. ESPN ha reso noto che mercoledì 20 maggio alle 21:00 trasmetterà “Game 6: The Movie”, la storica gara 6 del 1998 tra i Chicago Bulls e gli Utah Jazz in HD con l’aggiunta di filmati e inquadrature inedite riprese dalle 5 telecamere di NBA Entertainment, le stesse che hanno seguito Michael e i suoi Bulls durante tutto l’arco della stagione.
Nella giornata del 21, a partire dalle 9 del mattino, il contenuto dovrebbe essere visibile anche qui in Italia.

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Moncler sposa il futurismo di Rick Owens

Moncler sposa il futurismo di Rick Owens

Anna Frattini · 3 giorni fa · Style

La collaborazione annunciata oggi fra Moncler e Rick Owens ci porta in una dimensione nuova, vestita di capi meticolosamente progettati per adattarsi all’ambiente ricreato da Owens. Uno scenario sicuramente innovativo e fuori dal comune, uno “Sleep Pod” che fa da sfondo a tutti i look della campagna di lancio. Dalle foto sembra di vedere una tenda dal carattere arrivata dal futuro, un backdrop confortante e straniante allo stesso tempo.

Moncler x Rick Owens: i dettagli della collezione

Un progetto intimo, fortemente introspettivo, che ritroviamo nel concetto di silent sleeping pod ricreato da Owens. «A metà fra un meat locker e una tomba egizia» si legge sul comunicato stampa rilasciato dal designer americano. Un concept sicuramente accattivante che arriva con outfit matchy-matchy da indossare all’interno di questa realtà isolata da tutto ma non solo. In più, sullo sfondo delle foto di campagna è possibile intravedere il logo co-branded che vedremo su tutti i capi.

Usciamo un attimo da questo Sleep Pod e parliamo della collezione: le silhouette sono allungate e le imbottiture presentano un motivo a raggera interessantissimo. La palette, chiaramente, gioca su toni scurissimi con l’aggiunta di denim in cotone tinto e jersey di cotone organico insieme a nylon e cashmere sfumati dal blu al giallo acido. La varietà dei capi rimane uno degli aspetti più interessanti: flight jacket, puffer e piumini insieme a cappotti extra lunghi accompagnano gonne, pantaloni corti e top. Il denim, invece, è tagliato per realizzare tuniche, abiti e gonne, sciarpe ad anello e stivali shaggy insieme a una coperta trapuntata. Insomma, c’é tutto quello che potevamo aspettarci da una collaborazione di questo calibro in questa collezione.

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Tutti vogliono le UGG Palace Tasman per Natale

Tutti vogliono le UGG Palace Tasman per Natale

Collater.al Contributors · 2 giorni fa · Style

Abbiamo già parlato tantissime volte di UGG negli ultimi tempi. Prima in occasione della collab con Collina Strada poi per raccontarvi la partnership con Seth Rogen e The Elder Statesman fornita di dettagli cozy luxury irresistibili. Torniamo quindi a parlarvi del brand per una buonissima ragione: il drop della seconda collaborazione con Palace lanciato proprio oggi. Da un primo sguardo alle immagini non si può che sognare di indossare le UGG Palace Tasman insieme ai Mitten e portarsi a casa il tappeto pensato con l’iniziale del brand di skateboard per eccellenza. Insomma, vogliamo tutto.

Le grafiche ricamate su tutte le componenti di questa collab sono tutte divertentissime, pop e ci fanno subito pensare a Palace. In occasione di questo lancio pre-natalizio, il brand londinese ha pensato a tutto, anche a un cortometraggio diretto da Adam Todhunter dove Alexis Taylor si cimenta in qualche canzone natalizia mentre attorno a lui i componenti dello skate team di Palace si scambiano regali di natale. Ci sono tutti: Lucien Clarke, Dino da Silva, Lloyd Hodgson e Cece Asembo.

La collab sarà disponibile nei negozi Palace e online su PalaceSkateboards.com.

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L’activewear di BEA studio si può indossare anche sulle piste

L’activewear di BEA studio si può indossare anche sulle piste

Anna Frattini · 2 giorni fa · Style

Beatrice Sammarco ha pensato a tutto: tute, body, top e biker da indossare in ogni occasione. Nelle nuove immagini di campagna anche sulle piste da sci. L’unicità di BEA studio non sta solo nella versatilità dell’every-wear ma anche nei pattern unici che si ispirano alla Natura toccando un tema incredibilmente attuale: gli animali appartenenti a specie protette o in via di estinzione. Ma non solo, scopriamo qualcosa in più sull’every-wear e su tutte le capsule di BEA studio, tutto Made in Italy.

Cosa significa every-wear?

Dalle tute ai leggings passando per body, top e biker tutte le collezioni pensate da Beatrice Sammarco sono state immaginate per essere trasversali: per ogni fisicità e ogni contesto. Sembra una missione difficile da compiere quella di BEA studio ma il team dietro a questo progetto sembra avercela fatta. Tutto nasce dal beachwear, il nucleo fondamentale del marchio che è alla base di tutti i capi pensati per ogni collezione.

 
 
 
 
 
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Ogni modello è realizzato da Yara De Freitas, una talentuosissima artista e graphic designer italo-brasiliana che vive e lavora a Roma, precisamente a Trastevere. Sono tantissime le fantasie immaginate da De Freitas sia per BEA-st mode che per Tokyo Nostalgia, due capsule collection speciali che ci proiettano subito nel mondo di BEA studio con vivacità e tenerezza.

Insomma, siamo pronti per indossare le tute (ma anche i body, i top e i leggings) di BEA studio sulle piste ma non solo. L’intera collezione di BEA studio é disponibile online sull’e-commerce bea-studio.com.

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Swatch rende omaggio al mondo dei Simpson

Swatch rende omaggio al mondo dei Simpson

Collater.al Contributors · 4 giorni fa · Style

I donut dei Simpson, i preferiti di Homer, sono entrati nel nostro immaginario come le ciambelle iconiche per eccellenza. Tanto da convincere Swatch a riprodurle su un orologio. SECONDS OF SWEETNESS é un omaggio al mondo dei Simpson e ai donut tipicamente americani amati da Homer. Insomma, questo Swatch ci fa subito venir voglia di fare il rewatch del diciannovesimo episodio dalla nona stagione dei Simpson dove Homer viene processato da Giant Donut.

Parliamo dell’orologio. Si tratta di un oggetto che gioca con il tema donut diventando immediatamente riconoscibile per gli amanti della serie tv. Il quadrante a forma di ciambella morsicata aggiunge un tocco divertente al modo in cui indossiamo Swatch, in questa occasione vestito di zuccherini. In più, l’orologio é disponibile anche con la funzionalità SwatchPAY!, utilissima nella vita di tutti i giorni.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è The_Simpsons_and_Swatch_Seconds_of_Sweetness_PR_2-1024x1024.jpg

Disponibile a partire dal 2 novembre, proprio in concomitanza con l’arrivo della 35esima stagione dei Simpson. Ma le sorprese non finiscono qui, i fan di Swatch e della serie animata saranno sorpresi da altri progetti che coinvolgeranno tutti i protagonisti della serie tv. Questo orologio arriva insieme al lancio di altri due prodotti sempre ispirati al mondo dei Simpson: WONDROUS WINTER WONDERLAND e TIDINGS OF JOY. Il primo riunisce i personaggi del cartone in versione pan di zenzero mentre danzano sul cinturino tempestato di neve, mentre il secondo immortala la famiglia Simpson mentre canta insieme in occasione della stagione natalizia. I due modelli sono già disponibili nei negozi Swatch e sul sito.

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