Con la sua VI edizione, torna Videocittà, il festival dedicato alla visione e alla cultura digitale. Ideato da Francesco Rutelli, con la direzione di Francesco Dobrovich, Videocittà animerà – dal 13 al 16 luglio – la più grande area archeologica industriale d’Europa, il Gazometro di Roma. Gli eventi in programma sono svariati ed eterogenei: talk, eventi musicali, mostre collettive e opere site-specific affronteranno il tema della Transizione, scelta quest’anno come argomento di discussione. Il festival esplorerà, come ogni anno, le forme più avanzate dell’audiovisivo e dei linguaggi digitali nel contesto culturale nazionale e internazionale.

A dare il via all’edizione di quest’anno sono due opere audio-visive monumentali, realizzate appositamente per la location da due collettivi artistici. La prima è Mater Terrae firmata dallo studio Sila Sveta, che proietterà sul cilindro metallico del Gazometro un visionario vortice digitale posto in dialogo con le musiche del produttore Mace. La seconda opera invece – GIGA – è realizzata da None Collective, pronta a valorizzare l’Altoforno e a fare da quinta immateriale ai Live e ai DJ set di grandi artisti come il duo francese The Blaze, il pioniere della musica house Dixon, l’americana Lyra Pramuk e gli artisti italiani Bawrut, Ginevra Nervi, Bnkr44, Ginevra ed Elasi.
Per l’occasione, abbiamo deciso di incontrare i tre membri di None Collective – Gregorio Comandini, Saverio Villirillo e Mauro Pace – per approfondire la loro esperienza da Videocittà e fargli qualche domanda sulla loro pratica artistica.

Innanzitutto, è interessante per noi capire il rapporto tra l’arte video-installativa e i vari contesti in cui viene inserita. Secondo voi, come cambia la percezione delle vostre opere all’interno di un festival rispetto a un contesto più istituzionale, come quello di una galleria?
In generale, la restituzione del nostro lavoro è un momento fondamentale per la nostra ricerca. Fino a che non confronti le tue idee con le reazioni delle persone, non hai mai un riferimento del tuo “mondo interno” con il pubblico. Soprattutto per i contenuti audio-visivi come i nostri che, estranei a questi contesti, possono essere fruiti solo in modo frontale e individuale. Qui invece, come a Videocittà, acquistano una cornice determinante. Lo spettatore si trova immerso in una massa di corpi con una percezione multidimensionale dello spazio, che comprende anche i suoni e le luci scelte. Rispetto all’esposizione in galleria o in altri spazi espositivi, il festival custodisce senza dubbio l’effetto wow, o a sorpresa. I visitatori spesso sono attratti dalla musica o da altre attrazioni e per questo non si aspettano di vedere le nostre opere. Anche il fatto di non essere un’esperienza replicabile o visitabile durante un periodo prolungato, rende questi contesti il contenuto perfetto per vivere vere e proprie esperienze uniche, effimere, del “qui e ora”.
Le opere che avete pensato per Videocittà – la video-installazione GIGA e la performance Against Nature, parlano di qualcosa in particolare o hanno una funzione prettamente estetica?
Senza dubbio le nostre opere vogliono comunicare un messaggio. Il fatto di essere riprodotte in loop durante le varie serate, permette allo spettatore di vederle più volte e quindi assimilare il contenuto, accorgendosi dei dettagli più nascosti. Oltre all’effetto iniziale, che può essere quello dello stupore, le nostre opere sono estremamente critiche e riflessive. Possono anche essere considerate disturbanti. La nostra performance è sicuramente disturbante. L’installazione GIGA esplicita al meglio questo termine. Il video mostra infatti un futuro catastrofico, con le rovine industriali di una civiltà in decadenza. La Terra è invasa da organismi sconosciuti, creature meravigliose, esseri troppo grandi per essere compresi. Sono giganti, proprio da qui il titolo GIGA.

Osservando le vostre opere, emerge quanto sia importante per voi il contesto nel quale vengono inserite ma, soprattutto, spiccano l’allestimento, il percorso espositivo e l’aspetto scenografico. Considerate questi fattori come parte integrante dell’opera o invece possono essere tranquillamente separati da essa?
Lo spazio per noi è fondamentale. Disegnamo le installazioni per quello spazio nello specifico. Ad esempio, la luce non proviene solo dal video ma usiamo tantissime fonti di luci. Le condizioni e gli eventi che si creano all’interno di un luogo, che viene vissuto dallo spettatore da diversi punti di vista, come ad esempio da sdraiato, creano un’alterazione dello spazio, sia a livello visivo che sonoro. Il fatto di utilizzare diversi media e di approcciarci in modo transdisciplinare alla nostra ricerca è il tratto caratterizzante del nostro operato e dunque della nostra restituzione. È l’esperienza che viene messa al centro della nostra pratica. Non realizziamo meramente file da inserire in uno schermo, ma l’opera è un vero e proprio organismo, fatto di diversi elementi che si intrecciano dinamicamente tra loro. In questo modo manteniamo l’attenzione, giocando con i confini percettivi. Ad esempio, usiamo molto spesso l’elemento dell’oscurità affiancati a flash, effetti strobo o comunque abbaglianti, creando un’altalenanza emotiva nello spettatore che aumenta la percezione degli eventi che vogliamo trasmettere.
Ma ora, vorremmo sapere qualcosa in più sul vostro percorso. Da dove viene il nome del vostro collettivo? Come mai avete sentito la necessità di lavorare insieme?
In generale, quando si fanno installazioni, è quasi necessario riunirsi in gruppo. Ci siamo conosciuti lavorando e, trovandoci subito bene, abbiamo portato avanti una ricerca univoca. Il nostro nome nasce in realtà da tanti motivi. Quello più didascalico e immediato è il fatto che “none” è la scritta di default che appare sempre in tutti i menù a tendina di tutti i software. Mentre quello che ci piace più raccontare è legato al nostro attaccamento nei confronti della cultura greco-romana, in particolare alla sfera mitologica. Ci rifacciamo infatti alla storia di Polifemo quando, trovandosi accecato, chiede “chi è stato?” e gli viene risposto “nessuno”, che è per l’appunto la traduzione italiana di “none”. Questo ci piace come ossimoro: siamo un collettivo fatto di tante persone e da nessuno.
Qui un’anteprima delle opere di None Collective presenti durante Videocittà.
Per più informazioni sui ticket e sugli orari del festival, consultare il sito o la pagina Instagram.