Art Istituire un rifugio nella selva è necessario
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Istituire un rifugio nella selva è necessario

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Giorgia Massari

«La selva è in questo racconto sia un luogo selvaggio sia una dimensione caotica, che rimanda alla folla, alla frenesia della società odierna», così i curatori Riccardo Vailati e Giulia Mariachiara Galiano introducono la mostra ora in corso alla Traffic Gallery di Bergamo. Il titolo, Istituire un rifugio nella selva, pone in dialogo due termini che possono essere sì agli antipodi, ma anche altrettanto complementari. Rifugio e selva, da un lato il rimando alla dimensione domestica, a un luogo di pace, dall’altro c’è invece il caos e l’ignoto. Il denominatore comune è però la dimensione selvaggia, animalesca e primordiale, che costudisce sotto la sua sfera entrambi gli elementi. Partendo da questa riflessione si costruisce l’esposizione collettiva che trova la sua espressione visuale e teorica nei lavori di quattro giovani artisti, Anna Marzuttini, Nera Branca, Stefano Ferrari e Gabriele Longega, oltre a una long performance di Matteo Bianchini durante la giornata inaugurale.

istituire un rifugio nella selva
Ph Erik Falchetti, opera di Stefano Ferrari

La nostalgia del primordiale

Sebbene le opere in mostra siano in grado di trasportare immediatamente il visitatore in una sfera apparentemente lontana da quella a cui è abituato, è altrettanto evidente che i discorsi parlano a un lato di noi che è oggi soffocato e represso. Di fronte a opere come Guardiani della soglia di Nera Branca o Domani nascerò e sarò qualcun altro in un altro luogo di Gabriele Longega, è inevitabile che emerga in noi un sentimento nostalgico, dal sapore dolce-amaro. È il nostro istinto primordiale a essere interpellato. Le ossa che Nera Branca recupera nel suo rifugio espanso, ovvero i boschi della Valle d’Aosta, così come il linguaggio esoterico di Longega, riaccendono nell’individuo un ricordo collettivo, andando ad agire su una lacuna contemporanea non poco dimenticata.

Ph Erik Falchetti, opera di Nera Branca

Ancora, sono le opere di Stefano Ferrari e Anna Marzuttini a completare l’evocazione, osservando l’universo floreale e faunistico con una lente di precisione. Da un lato c’è Ferrari che il suo rifugio lo istituisce per gli altri, o meglio, dà vita a sculture che possano essere dei veri e proprio luoghi di accoglienza per gli insetti, sostituendo – nell’ideale rapporto di empatia tra uomo e animale – la presenza umana con un costrutto artificioso, ma che qui si svuota della sua componente egoica per diventare conscio di un’esigenza. Dall’altro lato invece, Anna Marzuttini «fissa nell’opera l’intimo incontro con il paesaggio organico», come ci spiegano i curatori. Nei suoi dipinti, disegni e sculture restituiscono le forme, le vibrazioni e le consistenze nelle quali la stessa artista si è immersa ricercando una sensibilità primordiale di cui oggi siamo nostalgici.

Ph Erik Falchetti, opera di Gabriele Longega

Risvegliarsi dall’amnesia collettiva

Ecco che quindi Istituire un rifugio nella selva diventa un percorso necessario in un contesto contemporaneo e urbano che tende a soffrire di una sindrome cronica di amnesia collettiva, non solo da un punto di vista teorico bensì corporeo. Tutti gli artifici, le agevolazioni e le semplificazioni che nichilizzano i nostri comportamenti e pensieri contribuiscono a rafforzare un nuovo corpo entro cui la sfera primordiale non trova più spazio. La selva che gli artisti in mostra abbracciano – pensiamo ai disegni a bic di Nera Branca che nell’accogliere il caos si tramutano in rifugio salvifico -, diventa lo specchio della frenesia entro cui siamo sommersi senza accorgerci che sotto gli strati di indifferenza esiste altro oltre a noi.

Ph Erik Falchetti, opere di Anna Marzuttini
Ph Erik Falchetti, opera di Stefano Ferrari
Ph Erik Falchetti, installation view, opera di Nera Branca
Ph Erik Falchetti, installation view, opere di Anna Marzuttini (sinistra) e Nera Branca (destra)
Ph Erik Falchetti, dettaglio opera di Anna Marzuttini

Ph credits Erik Falchetti
Courtesy gli artisti e Traffic Gallery

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Scritto da Giorgia Massari
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