Una delle parti che preferisco di questo lavoro, parlo dello scrivere, è sicuramente il momento dedicato alla ricerca. In questa fase, oltre al predisporsi ad essere estremamente ricettivi – cosa che fa bene alla mente ma anche all’anima – si scoprono una quantità di aneddoti, fatti e storie che prima di tutto non si conoscevano e che sorprendono per la loro unicità.
Una di queste storie (faccio ammenda, non la conoscevo) è quella della rocambolesca vita, vissuta sempre e comunque controcorrente di Azzedine Alaïa.


Azzedine Alaïa è stato un couturier – guai a chiamarlo stilista, a lui questa definizione non piaceva – tunisino, nato nella capitale del paese nord africano nel 1935 da due agricoltori. Azzedine aveva una sorella gemella Hafida (sarta e che gli ha insegnato ad usare ago e filo), da lui amata più di ogni altra cosa al mondo e che ha rappresentato la sua più grande fonte di ispirazione per intraprendere la strada che poi diventerà la sua vita, insieme alla lettura di Vogue che un suo caro amico gli passava sottobanco.
L’infanzia di Azzedine a Tunisi fu semplice, umile e allo stesso tempo ricca da un punto di vista della condivisione. La madre abbandonò la famiglia abbastanza presto, il padre lavorava praticamente tutto il giorno coltivando i campi mentre lui cresceva con il nonno, con il quale spesso andava al cinema e con la nonna, l’altra figura decisiva della sua vita. Dalla nonna imparò l’accoglienza, l’apertura e la condivisione. Era solita infatti accogliere tutti nella sua cucina, dove cucinava sempre in quantità maggiori rispetto agli effettivi commensali perché se all’ultimo minuto fosse arrivato qualcuno, avrebbe comunque avuto il suo piatto a tavola.

I primi risparmi li guadagna da giovanissimo aiutando la sua levatrice, madame Pineau, nel suo studio dove era solito sfogliare Vogue. Fu proprio lei a stimolare Azzedine a intraprendere gli studi artistici. Si iscrisse infatti all’accademia di Belle Arti di Tunisi, presso la quale portò avanti lo studio della scultura, iniziando a interessarsi maggiormente alle forme del corpo umano.
Una volta terminati gli studi, decide di trasferirsi a Parigi con le pochissime risorse che era riuscito a mettere da parte e prende in affitto un piccolissimo appartamento (una “chambre de bonne”, monolocale tipico di Parigi) condividendolo con una sua amica con la quale era partito.

Aver imparato ad utilizzare molto bene ago e filo, aver approfondito le forme del corpo grazie ai suoi studi ed essendo tormentato, nel senso buono del termine ovviamente, dal drappeggio e dal taglio di sbieco di Madeleine Vionnet – di sicuro una delle precorritrici più decisive della moda del XX secolo – trova un lavoro da Dior, dove però dura soltanto 5 giorni, il motivo? Pare gli facessero cucire solo le etichette dei capi.
Per guadagnarsi da vivere inizia a fare anche il baby sitter per donne facoltose e della mobilità parigina, come la marchesa Mazan e la contessa di Blégiers. Durante le pause però, cuciva gli abiti che quelle stesse nobildonne dell’alta borghesia cittadina, indossavano regolarmente durante gli eventi mondani.


Un’altra sua grande qualità era l’affabilità. Grazie alle sue doti di networking, come diremmo oggi, riuscì a costruirsi una rete di amicizie e legami che gli permisero di allargare in modo molto importante la sua clientela e naturalmente la sua fama.
Tra tutti gli incontri di questo periodo ce n’è uno più importante degli altri, quello con il pittore tedesco Christoph von Weyhe che sarà da quel momento in poi il suo compagno per tutta la vita, fino alla scomparsa del couturier tunisino avvenuta nel novembre del 2017.
Il suo nome inizia a girare e a diventare una certezza: inizia a ricevere le più importanti donne parigine e non nel suo primo atelier in Rue de Bellechasse, Greta Garbo, Marlene Dietrich e Léonie Bathiat in arte Arletty, solo per citarne alcune. Le accoglieva in cucina, come faceva sua nonna con gli ospiti, e cuciva gli abiti direttamente sui corpi costringendo spesso le clienti/amiche a restare per parecchio tempo in piedi, ma lo facevano con gioia.


“Per conoscerlo (ndr. il corpo femminile) bisogna amarle, le donne, e interessarsi a loro fino a dimenticarsi di se stessi”, ha avuto di modo di ribadire più volte Azzedine dichiarando il suo amore incondizionato e sublime nei confronti delle donne.
Non ha mai voluto entrare nel mondo patinato e “ufficiale” della moda, cosi come avevano fatto ad esempio Saint Laurent o Pierre Cardin, lui rimase fedele a se stesso rinnegando le regole del mondo fashion. Sfilava quando voleva lui e quando si riteneva pronto, non prendendo mai in considerazione il calendario, ha cambiato per semper lo status delle modelle rendendole quelle che sono oggi, delle superstar, si pensi a una giovane Cindy Crawford e Naomi Campbell ad esempio.
Ha lavorato per Guy Laroche e Thierry Mugler ma il suo essere “contro” non gli ha mai permesso di scendere a compromessi e quindi di sottostare a determinate dinamiche.
Gli ultimi 15 anni di carriera sono stati difficili, prima un oblio profondo e poi la rinascita grazie al gruppo Prada, a quello Richemont ma soprattutto alla sua amica fraterna Carla Sozzani.
Un uomo semplice, diretto, sincero, coerente e con un talento senza eguali, Azzedine Alaïa ha lasciato una legacy cruciale per l’intero mondo della moda.
