Desert X AlUla: 15 installazioni nel deserto dell’Arabia Saudita

Desert X AlUla: 15 installazioni nel deserto dell’Arabia Saudita

Giulia Guido · 2 anni fa · Art

Ha inaugurato lo scorso 11 febbraio l’edizione 2022 del Desert X AlUla. La mostra, alla sua seconda edizione, è la “versione saudita” del tradizionale Desert X ospitato ogni due anni nella Coachella Valley nel sud della California. Ospitata infatti ad AlUla, antica regione desertica dell’Arabia Saudita, l’appuntamento di quest’anno è stato curato da Reem Fadda, Raneem Farsi e Neville Wakefield seguendo il tema del “Sarab”. 

15 artisti hanno presentato le loro opere che esplorano le idee di miraggio e di oasi, trasformando le idee di sogno, finzione, illusione e mito in qualcosa di concreto che dialoga con il deserto. In questo modo gli artisti hanno realizzato delle installazione site-specific basate sul rapporto tra mondo naturale e mondo artificiale. 

Dana Awartani

La scultura di Dana Awartani trae ispirazione dall’architettura vernacolare di AlUla, prendendo la forma di una scultura geometrica concava che fa riferimento alle tombe nabatee e imita le formazioni rocciose.

Claudia Comte

L’opera di Claudia Comte presenta una progressione di muri che impongono la loro presenza architettonica all’interno dell’ordine naturale dei canyon di AlUla.

Jim Denevan

Il land artist Jim Denevan crea disegni effimeri i cui modelli a incastro parlano degli spostamenti di grandezza e di scala che così spesso modellano la nostra esperienza del deserto e i nostri tentativi di posizionarci all’interno della vastità dello spazio sconfinato.

Sultan bin Fahad

Quella di Sultan bin Fahad è una struttura di fango a forma di un aquilone del deserto.

Alicja Kwade

Le strutture architettoniche di Alicja Kwade riflettono e incorniciano i manufatti naturali che ha incontrato sul suolo del deserto, che ha riorganizzato e integrato per creare prospettive sempre diverse a metà tra realtà e illusione.

Abdullah AlOthman

L’opera di Abdullah AlOthman è realizzata con plinti in acciaio inossidabile che interagiscono con la luce e creano uno spazio radioso che cerca di manifestare l’esperienza di catturare il miraggio per la prima volta.

Desert X AlUla

Monika Sosnowska

L’esplorazione scultorea della memoria di Monika Sosnowska parla della posizione storica di AlUla come centro e passaggio del commercio e del suo più recente risveglio culturale; usando le rotaie della ferrovia dell’Hejaz. Le forme lineari in acciaio sono state trasformate in gigantesche erbe secche piene di possibilità di crescita e trasformazione.

Desert X AlUla

Shadia Alem

L’installazione scultorea di Shadia Alem adatta l’arte degli origami, applicando i principi base della geometria e della bellezza per creare forme che fanno riferimento alla letteratura, alla matematica e alla mitologia del deserto arabo.

Desert X AlUla

Serge Attukwei Clottey

L’installazione di Serge Attukwei Clottey affronta l’esperienza della globalizzazione, della migrazione e dell’equità dell’acqua avvolgendo lastre di roccia in arazzi meticolosamente realizzati con galloni di kufuor giallo, che sono contenitori di plastica usati in Ghana per conservare e trasportare l’acqua.

Desert X AlUla

Shezad Dawood

Il lavoro di Shezad Dawood esplora le idee di tempo profondo e la relazione geo-biologica tra il suolo del deserto e il vicino Mar Rosso attraverso una coppia di forme simili a coralli le cui superfici sensibili alla temperatura riflettono gli effetti del cambiamento climatico e la continua lotta dell’uomo per trovare una relazione sostenibile con un ecosistema in rapido cambiamento.

Desert X AlUla

Stephanie Deumer

Lavorando all’intersezione tra natura e tecnologia Stephanie Deumer ha creato una serra sotterranea dove una grande serie di pannelli solari cattura l’energia del sole che viene immagazzinata e trasformata attraverso la fotosintesi.

Desert X AlUla

Zeinab AlHashemi

La scultura interattiva di Zeinab AlHashemi usa pelli di cammello scartate su una base astratta e geometrica, che assomiglia a una formazione rocciosa nel deserto; come un camuffamento, queste sculture di pelle di cammello si fondono con le montagne.

Desert X AlUla

Shaikha AlMazrou

Le lunghe strutture gonfiate in acciaio di Shaikha AlMazrou sono incastrate nei vuoti delle rocce occupando lo stato liminale tra stasi e movimento, creando una composizione silenziosa ma imponente sospesa nell’inerzia.

Desert X AlUla

Khalil Rabah

Khalil Rabah crea il miraggio di un frutteto di ulivi, che stanno qui nel deserto come esseri viventi allontanati dalla loro terra indigena e desiderosi di essere rimpatriati, come un’esplorazione del territorio, della sopravvivenza e della cittadinanza.

Desert X AlUla

Ayman Zedani

L’installazione soundscape di Ayman Zedani in una caverna rocciosa comprende fili scultorei orizzontali e una proiezione audio di musica, voci e passi, creando una cacofonia di suoni che si aggiungono ai rintocchi della natura.

Desert X AlUla
Desert X AlUla: 15 installazioni nel deserto dell’Arabia Saudita
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Desert X AlUla: 15 installazioni nel deserto dell’Arabia Saudita
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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 2 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Lorenzo Catena
Dimpy Bhalotia
Giuseppe Scianna
Federico Verzi
Andrea Torrei

Selezione di Andrés Juan Suarez

Cinque foto scattate al momento giusto
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Disponibile online il catalogo di “Collater.al Photography 2023”

Disponibile online il catalogo di “Collater.al Photography 2023”

Giulia Guido · 3 giorni fa · Photography

Domenica 24 settembre si è conclusa la nostra mostraCollater.al Photography 2023” che per il secondo anno di fila ha portato all’interno della Fondazione Luciana Matalon in Foro Buonaparte 67 oltre 150 scatti di altrettanti fotografi nazionali e internazionali. 

Durante tutto il periodo della mostra è stato possibile acquistare il catalogo che, vista l’esperienza decennale di Collater.al, fin da subito voleva essere più di un semplice catalogo, ma un vero e proprio magazine. Al suo interno, infatti, si potevano trovare 144 pagine di interviste ad alcuni dei fotografi in mostra, ma anche approfondimenti su svariati temi legati alla fotografia, da come approcciarsi al ritratto, alla fotografia di moda, fino alla sottile linea che divide fotografia e immagini realizzare con l’intelligenza artificiale. Inoltre, sapendo bene che anche l’occhio ha bisogno della sua parte, quest’anno abbiamo deciso di realizzarlo con tre copertine differenti, dando spazio ai lavori di più fotografi: Simone Bramante, Yosigo e Derrick Boateng. 

Sebbene ormai la mostra abbia chiuso le sue porte, abbiamo deciso di continuare a dare la possibilità a chi non è riuscito a esserci lo scorso weekend di acquistare il magazine.

Disponibile online il catalogo di “Collater.al Photography 2023”
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Marta Blue e l’Anatomia del Male 

Marta Blue e l’Anatomia del Male 

Giorgia Massari · 3 giorni fa · Photography

Quando si parla di Male, non si può far altro che parlare anche di Bene. Un’antitesi indagata fin dai tempi più remoti. Da un punto di vista metafisico, filosofi come Platone e, molto tempo dopo, George Wilhelm F. Hegel, consideravano il Male come totale negazione del Bene. Altre scuole di pensiero, come quella di Thomas Hobbes o Immanuel Kant, introducono invece il soggettivismo, ponendo il Bene e il Male nella sfera dell’esperienza umana. Non sono realtà indipendenti, ma si sviluppano sulla volontà, o meglio, sul desiderio umano. Da un punto di vista letterario, è significante in questo discorso citare il poeta italiano Giacomo Leopardi e la sua affermazione «Tutto è male» ovvero tutto è ordinato dal Male. O ancora di più, una prova di estremizzazione la dà Ugo Foscolo che, ne Le Ultime lettere di Jacopo Ortis, conduce il protagonista a reagire al Male negandogli ogni possibilità di Bene. Il suicidio diventa qui un atto positivo, di estrema libertà. 

Se filosofi, letterati e poeti hanno provato a concretizzare in forma scritta due entità tanto astratte quanto tangibili, la fotografa Marta Blue prova invece a restituirne un’immagine, più precisamente, un’anatomia. Il suo linguaggio oscuro e surreale, a tratti esoterico, riflette sul rapporto tra la vita e la morte, tra l’amore e il dolore e, ancora di più, tra la natura e l’occulto. È evidente come Marta Blue scelga di ricercare quanto più un’anatomia del Male, che non prescinde dall’esistenza del Bene, ma ne esalta la sua stessa negazione. Attraverso una serie di scatti che la vedono spesso come protagonista, la fotografa rincorre ossessivamente la natura del Male, ricercandola nella materia del corpo, negli ossimori e nelle simbologie. Secondo Marta Blue, il Male risiede nell’intimo, nei dolori subiti e inflitti, che cullano a ritmo costante l’esistenza umana. L’impassibilità dei soggetti, talvolta trafitti, talvolta segnati da un precedente dolore, contribuisce a creare un forte contrasto che comunica una diffusa atrofizzazione nei confronti del Male. Immobili, non curanti, i soggetti osservano il dolore defluire, pronti ad accoglierne una nuova dose.

Marta Blue ragiona sul concetto di Male inteso come oscurità. «Letteralmente significa mancanza di luce.» – riflette la fotografa – «Con il tempo ho capito che non posso produrre un concetto migliore di questo. Non posso lavorare sulla gioia di vivere se so che esiste un limbo nella nostra mente, una zona d’ombra, che contiene tutte le nostre paure. Una zona indefinita tra buio e luce, dove tutti i nostri peggiori incubi si confondono». La serie Anatomy of Evil diventa una sorta di archivio emozionale, intimo e personale, in cui Bene e Male coesistono, si sfiorano, quasi corteggiandosi, fino ad amalgamarsi in un’unica immagine. «La solitudine, la morte e la paura dialogano con temi ingenui come la giovinezza, l’occultismo e la seduzione». Il confine tra piacere e dolore, tra amore e odio, si fa labile. Il fiore, spesso ricorrente negli scatti di Marta Blue, esplicita al meglio questo concetto. Se da un lato il gambo della rosa trafigge il ventre, come si osserva in Forget me not, o le labbra, come in Circle of Love, dall’altro la sua forte accezione positiva e la sua simbologia di rinascita “spezzano” la funzione occupata, diventando un prolungamento del corpo, in un atto di liberazione. 

Nelle opere di Marta Blue il Male va ricercato su due piani, spesso inconsci. Il primo è astratto, intangibile, dalle molteplici manifestazioni, come l’assenza e la non-presenza, che diventa percepibile solo attraverso l’anima. Il secondo invece è visibile, materico. Emerge dalle viscere e si esplicita attraverso innesti sottocutanei che l’artista tenta di rimuovere, inserendo strumenti chirurgici. In entrambi i casi, Marta Blue tenta di trasporre, e allo stesso tempo di liberare, timori e ansie intrappolate nella psiche umana, creando segni e anatomie tanto surreali e oniriche quanto reali e condivise.

Courtesy Marta Blue

Marta Blue e l’Anatomia del Male 
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Lo straordinario quotidiano di Yosigo

Lo straordinario quotidiano di Yosigo

Giulia Tofi · 4 giorni fa · Photography

Quando si inizia a provare interesse per la fotografia e a scattare, l’ambizione ci porta a voler realizzare fotografie belle da vedere. Accade sempre, accade a tutti. È così che comincia la ricerca ostinata di ciò che per definizione è ritenuto bello. C’è chi dedica un’intera carriera a questa indagine e chi invece sente il bisogno di spingersi oltre il tradizionale concetto di bellezza per trovare nuove sfumature. Tutto a un tratto non ci si chiede più «cos’è bello?», ma «cosa lo rende bello?». Una domanda decisiva perché è proprio a questo punto che entra in gioco un fattore fondamentale nella fotografia, la sensibilità di ciascuno nel cogliere il bello in un determinato soggetto rispetto a un altro o, per tornare alla domanda di prima, nel rendere bello un soggetto piuttosto che un altro. E se almeno una volta nella vostra vita avete preso in mano una fotocamera, immaginerete quanto sia difficile costruire diversi livelli di lettura in una fotografia, figuriamoci se il soggetto in questione appartiene al nostro quotidiano ed è considerato ordinario.

Una sfida, ma non per tutti. Basta un attimo infatti per capire che per José Javier Serrano, in arte Yosigo, non lo è mai stata perché è proprio nei luoghi che abitiamo da sempre e che la routine ci porta a guardare distrattamente che ha trovato i soggetti ideali per la sua ricerca. Nel suo caso si tratta della spiaggia di La Concha a San Sebastián, un punto di riferimento per chi come lui è cresciuto nella costa nord della Spagna, ma soprattutto il luogo in cui tutto ha avuto inizio. È proprio lì che Yosigo ha mosso i suoi primi passi nella fotografia e, ricordando la poesia scritta dal padre che lo incoraggiava a non fermarsi mai e ha poi ispirato il nome «Yosigo», letteralmente «vai avanti», ha raggiunto la consapevolezza di dover mettere fine al suo percorso come graphic designer per intraprendere quello come fotografo. 

Oggi quella stessa spiaggia e quello stesso mare fanno da sfondo a gran parte dei suoi scatti, questo perché con le sue foto José Javier vuole farci comprendere che non è tanto quello che si guarda, ma come lo si guarda, spingendoci così a cambiare il modo in cui vediamo un luogo nel tempo. Lui per primo, osservando La Concha quotidianamente, ha potuto approfondire la sua indagine fino a individuare degli schemi che si ripetevano: i bagnanti in riva al mare, i bambini intenti a giocare, i nuotatori, i fanatici di tuffi. Quel tempo gli ha poi permesso di scoprire che è esattamente dove la terra e il mare s’incontrano che le persone si lasciano andare, mostrando chi sono davvero e diventando più vulnerabili. 

E così, giorno dopo giorno, quelle persone che abitualmente passano inosservate sono diventate elementi fondamentali nella poetica di Yosigo e hanno trovato spazio nelle sue meticolose inquadrature – figlie indiscusse del suo passato da graphic designer – dove l’equilibrio tra pieni e vuoti è perfettamente studiato. Ripresi da soli o in gruppo, vediamo i bagnanti intrecciarsi al paesaggio che stanno momentaneamente invadendo, diventando macchie di colore nell’azzurro del mare e nell’ocra della sabbia rovente. 

A caratterizzare ulteriormente le sue fotografie sono infatti i colori pastello che enfatizzano le qualità formali dei soggetti e l’utilizzo la luce che trasforma di volta in volta la spiaggia di La Concha. Questa commistione di colori e luci dà poi vita ad atmosfere sospese, al di là del tempo, che portano gli occhi dell’osservatore a scovare, nascosta nei paesaggi più comuni, una bellezza inedita che da un lato ritrae fedelmente la società contemporanea, dall’altro si lascia plasmare dalla sua personale percezione di quegli spazi. E chissà, forse è per questa ragione che il fotografo spagnolo ha confessato di non riuscire ad allontanarsi da quella spiaggia, da quel mare.

Ph Credits Yosigo

Lo straordinario quotidiano di Yosigo
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