Nella raffinata città di Como, un gioiello affacciato sull’omonimo lago, c’è una galleria che promuove con grande cura e attenzione l’arte contemporanea emergente, creando nuove forme di dialogo con il pubblico e i collezionisti. Si chiama Galleria Ramo ed è fondata da due giovani professionisti: il curatore anglo-svizzero Simon J.V. David e l’architetta Benedetta De Rosa. Lo scorso sabato 13 maggio, Galleria Ramo inaugura la nuova mostra “In the flesh: intimate perspectives on the collective” con protagoniste le opere di tre giovani artiste donne, Lucrezia Costa, Ilaria Cuccagna e Gianna Dispenza.
Nell’ambiente bianco e immacolato della galleria, riecheggiano le opere delle tre artiste, che quasi conducono implicitamente lo spettatore in un’azione di silenzio. Come emerge dal titolo e dal testo curatoriale di Edoardo Durante, la mostra vuol essere un tentativo di interpretare la figura umana e la sue varie sfaccettature, con un particolare focus sui sentimenti umani, spesso celati, spesso allontanati.

Fin dalla prima sala, in cui dialogano le opere di Ilaria Cuccagna e Gianna Dispenza, si percepisce un’aria primordiale, che promuove un ritorno al passato e alle origini dell’umanità. Attraverso archetipi della storia dell’arte, che in Dispenza si traducono in forme scultoree, talvolta classiche, talvolta dal sapore preistorico, e in tele fortemente materiche, avviene un incontro tra memoria personale e collettiva, tra passato e presente.




Ciò è visibile in maniera ancor più dominante nelle opere di Cuccagna, che utilizza in maniera del tutto esplicita riferimenti all’arte scultorea greca e romana, con un particolare riguardo verso le teste. Questi elementi vengono ricontestualizzati, attraverso l’accostamento di elementi più contemporanei, come nell’opera “Lake Sculpture” nella quale un volto infantile maschile è posto sulla sommità di due palloni da calcio impilati. Quest’opera funge da collegamento tra la prima e la seconda sala, che vede un’intera parete dedicata all’opera di Lucrezia Costa dal titolo “trentatré ovvero tre rampe da undici gradini” anche conosciuta come “Archivio del dolore”.





Soprattutto in Costa emerge quello che è l’incontro ravvicinato tra opera e spettatore. L’opera di Lucrezia Costa è infatti un archivio partecipativo del dolore, in cui lo spettatore è chiamato a rispondere a tre domande poste dall’artista su un cartoncino (alle quali è possibile rispondere anche online), poi riposto dentro un archivio chiuso a chiave, in modo da garantire riservatezza. L’artista chiede al singolo visitatore quale sia la sua paura più grande, in quale parte del corpo la metabolizza e che forma animale avrebbe se fosse altro. Le risposte del pubblico sono tradotte visivamente da Lucrezia Costa in delle maschere di terracotta dipinte di nero. Così, dalla bianca parete emergono i dolori personali che, uno di fianco all’altro, acquistano una collettività, una parvenza di unione. Un cinghiale, poi un pesce palla, un delfino, una capra. Animali che custodiscono quei dolori spesso occultati, quei sentimenti da eliminare “perché, secondo la società contemporanea, ostacolano la produzione”.



Così come in Costa, tutto il dialogo che viene a crearsi all’interno della mostra, che acquista una sorta di dilatazione del tempo, restituisce al pubblico la necessità di ascoltarsi, di dare forma e suono ai sentimenti più remoti, spesso dati per scontati, spesso dimenticati.
La mostra è visitabile fino al 16 luglio da Galleria Ramo a Como in via Borsieri 4D.
Images courtesy of the artists and Galleria Ramo, 2023