Intimi e misteriosi, gli scatti di Giorgia Bellotti

Intimi e misteriosi, gli scatti di Giorgia Bellotti

Giulia Guido · 3 anni fa · Photography

Non è la prima volta che parliamo di Giorgia Bellotti: qualche tempo fa siamo rimasti affascinati dei suoi scatti, ci siamo persi nel suo mondo fatto ti stanze spoglie, di carte da parati, di fiori e di delicatezza. 

Cresciuta circondata dalla bellezza e dai paesaggi offerti dall’Appennino Tosco-Emiliano, Giorgia porta l’atmosfera di quei luoghi e dei ricordi nei suoi scatti, scatti che noi guardiamo accompagnati da una figura femminile, colta sempre di spalle, col volto celato e che solo in un secondo momento scopriamo essere la stessa Giorgia, autrice e protagonista delle sue fotografie. 

L’ora di scienze

Una selezione di scatti di Giorgia Bellotti sarà esposta a Ph.ocus – About Phorography nella sezionePlease, Stay Home. Aspettando di scoprire le nuove date della mostra, noi ci siamo fatti raccontare da Giorgia come è nata la sua passione, ma non solo.

Non perderti la nostra intervista!

Qual è il tuo primo ricordo legato alla fotografia?

Il primo ricordo legato alla fotografia risale alla mia infanzia. Da bambine, io e mia sorella festeggiavamo il compleanno a casa della nonna, e a fine pranzo scattavamo sempre la foto di rito con una Polaroid rossa. Magico era il momento in cui l’immagine si rivelava sulla pellicola nera. La conservo ancora, e conservo ancora tutte quelle fotografie, sono un ricordo bellissimo. 

Guardando i tuoi scatti, soprattutto quelli realizzati in casa, si percepisce un’atmosfera eterea e surreale al tempo stesso. Come avviene la loro preparazione?

In realtà non preparo nulla. Sono tutti scatti che avvengono in totale spontaneità e naturalezza, semplicemente mi lascio ispirare da quello che trovo. Nella maggior parte dei casi sono stanze di appartamenti nei quali càpito quando vado in vacanza, in altri sono case abbandonate, in altri ancora stanze di casa mia.

Macerie

Gli ambienti sconosciuti sono di grande stimolo per me; di solito mi focalizzo su un elemento caratteristico presente nell’abitazione, per esempio una lampada, una tenda, una tappezzeria, un divano, dopo di che gioco a nascondermi con esso. Nel mio modo intimo di intendere l’autoritratto sono il gesto, l’atteggiamento, il dialogo con l’ambiente, il rapporto con l’assenza,  che  forse rendono efficace la comunicazione.

Com’è nata l’idea degli autoritratti con il volto nascosto? Com’è stare sia davanti che dietro l’obiettivo?

Non è stata una vera e propria idea, semplicemente avevo voglia di esprimermi, in qualche modo, e la fotografia è stata il mezzo che mi ha permesso di farlo. Il volto ha un impatto potente nelle fotografie che lascia poco spazio all’immaginazione, non mostrarlo invece permette alle persone di immedesimarsi in una situazione e di lasciare campo a diverse interpretazioni, per questo lo preferisco.

Fotografare per me è un atto liberatorio, mi aiuta a sconfiggere le paure, a sentirmi e vedermi. Probabilmente la fotografia sono le parole che non so scrivere, la sicurezza in me stessa che non trovo, la confidenza che fatico a dare alle persone, la libertà che fuori è soggezione. È, soprattutto, divertimento.

Che ruolo ha la natura e l’ambiente nei tuoi scatti?

Direi fondamentale. Mi piace, ovunque mi trovo, cercare una connessione. Che siano fiori bellissimi di un giardino curato o piante infestanti sul ciglio di una strada, che sia un luogo elegante o un ambiente fatiscente, con gli spazi mi piace creare empatia. Ho sempre un occhio di riguardo verso tutto ciò che è solitamente considerato insignificante, inutile, che nemmeno viene visto perché scontato. Mi piacciono i difetti, gli oggetti rotti, i grovigli, i cumuli di cose, i piatti svuotati. Il mio concetto di bellezza è molto astratto. Nella natura, specialmente, trovo il collante giusto su cui far aderire le mie visioni.

Come hai vissuto il periodo del lockdown?

L’ho vissuto bene. Fortunatamente la nostra non è stata una zona molto colpita, quindi ero abbastanza serena. Ho la fortuna di vivere nello stesso palazzo insieme a  mia sorella con la sua famiglia, e mia madre. Io e mio figlio non siamo, per questo, mai stati soli. Le fotografie che sono nate in quel periodo e che esporrò a Paratissima sono, sempre in un’ottica di rappresentazione personale, abbastanza spensierate. Purtroppo non posso dire lo stesso adesso di questa nuova fase, che a differenza della prima, sto vivendo con molta più ansia e apprensione. 

Intimi e misteriosi, gli scatti di Giorgia Bellotti
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Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?

Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?

Giorgia Massari · 2 secondi fa · Photography

Il fotografo Ramak Fazel (1965), nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti, arriva a Milano nel 1994. Attratto dalle voci che la definivano “una città difficile da vivere”, sceglie il capoluogo lombardo come sua nuova casa. Arriva in Stazione Centrale con un solo borsone e fin da subito inizia a lavorare su Milan Unit. Un progetto che si concluderà nel 2009, anno in cui Fazel lascerà la città per tornare negli States. «Avevo il desiderio di chiudere qualunque cosa fosse successa a Milano in un contenitore» ci dice Fazel via Zoom mentre ci racconta di come sia riuscito a nascondere questa “scatola” per tutto questo tempo. Oggi l’opera emerge dalla sua dimensione privata e inaccessibile per essere esposta al pubblico, pur mantenendo intatta la sua aura di mistero. È stato proprio questo aspetto che ci ha incuriosito durante l’ultima edizione di Artissima, quando Viasaterna l’ha presentato in un booth monografico. Un archivio verde fluo fatto di faldoni, scatole e raccoglitori che racchiudono gli anni milanesi di Ramak Fazel.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al

Cosa raccoglie Milan Unit?

Milan Unit non vuole avere una dimensione autobiografica ma piuttosto vuole documentare un periodo. «Non volevo che fosse un racconto della vita di Ramak», ci spiega il fotografo. «Milan Unit è un racconto di un periodo specifico, a cavallo tra due epoche. Allo stesso tempo, è anche un omaggio a Milano, che con me è stata molto generosa». Fazel infatti viene subito accolto a braccia aperte dalla città, che stava vivendo un periodo di sperimentazione artistica. Il fotografo è assorbito dalla scena culturale milanese, frequenta i locali e i giri giusti. Tra gli altri stringe amicizia con designer del calibro di Ettore Sottsass e Enzo Mari, dei quali sono presenti alcuni scatti. Oltre ai ritratti, Ramak Fazel ha una fascinazione per la street photography. L’archivio è denso di scatti urbani – in strada, sui mezzi pubblici, nei bar – tutti rigorosamente realizzati con la stessa metodologia e con la stessa luce cinematografica. In questi scatti, che Ramak Fazel sceglie di mostrarci e di condividere, è evidente la ricerca di un linguaggio unificato, nel quale l’unica variante concessa è il soggetto. 

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

Di formazione sono ingegnere e quindi tutto l’apparato meccanico della fotografia mi interessava molto. Utilizzare le luci nello studio e poi portarle fuori era molto stimolante per me. Volevo che tutte le foto fossero uguali, con la stessa luce, con la stessa macchina fotografica e pellicola. A variare era solo il soggetto, non la tecnica. Questo è stato un po’ una modalità di lavoro di quegli anni, che si è rivelata nel tempo e nella pratica. 

Perché il verde fluo?

Milan Unit non è solo un archivio fotografico, «è un incrocio tra la fotografia e la vita, racchiude varie cose, come bigliettini e fatture, oscurati in cartelle e sottocartelle», ci racconta. Tutto raccolto in un contenitore che si è rivelato nel tempo, assemblato dallo stesso Ramak e colorato di verde fluo. Un colore che contribuisce a creare un ulteriore strato di mistero. «La scelta del colore è stata dettata dal desiderio di avere una cromia difficilmente riproducibile. Come le foto che sono nascoste, anche il colore volevo che fosse inaccessibile».

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Sketches from Milan Unit, 2017, cm 60,5 x 50,5, stampa inkjet su carta Canson © Ramak Fazel, courtesy Viasaterna-1

Una dimensione privata nell’epoca della condivisione

Milan Unit è sempre stato privato. Tanto che, quando Fazel lascia Milano, decide di murare l’archivio nel suo studio, destinato all’affitto. Letteralmente sepolto, Milan Unit ci appare come una scatola delle scarpe che raccoglie le nostre memorie più intime. E, come ogni cosa privata che si rispetti, scegliamo di condividerla solo con chi vogliamo. Con questo concetto di hiding emerge un aspetto nostalgico, insolito per la nostra epoca, abituata invece all’oversharing. Ancor più atipico se lo pensiamo in relazione alla fotografia, che si presuppone sia al servizio e in rappresentanza di qualcosa. In questo senso Ramak Fazel va in controtendenza. Lui stesso ci racconta che ha dovuto “resistere” alle varie richieste di condivisione del suo archivio. Da fondazioni che richiedevano gli scatti dei designer ad amici, ai quali mostrava l’archivio solo fisicamente e mai online.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit , 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

«Milan Unit può essere più vicino a delle fotografie in una shoe box più che a un Archivio Getty» afferma Ramak, divertito dal nostro parallelismo. «Lo scopo di Milan Unit non è la condivisione. Non deve essere un archivio funzionale ne tanto meno digitalizzato, non dev’essere accessibile a tutti con facilità», continua «è qualcosa che devi toccare con mano, guardare nelle buste, cercare tra i faldoni. Devi faticare per esplorarlo. Non dev’essere una cosa che con un click puoi consultare digitalmente». Ecco che in un’epoca della condivisione, con Milan Unit Ramak Fazel ha la capacità di riportarci a considerare la sfera privata e materiale, suggerendoci di averne cura. Quasi creando una sorta di nostalgia che ci spinge a “rimuovere le nostre memorie dal cloud e riportarle alla realtà”.

Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel,Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
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Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
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Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009, © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel Milan Unit | Collater.al
Ramak Fazel, Experiments in Chrome from Milan Unit, 1994-2009, © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna Gallery

Courtesy Ramak Fazel & Viasaterna Gallery

Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?
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Dovremmo tutti nascondere i nostri ricordi nelle scatole da scarpe?
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Il mondo mondano di Nicolò Rinaldi

Il mondo mondano di Nicolò Rinaldi

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il fotografo italiano di street e lifestyle Nicolò Rinaldi compie una vera e propria esplorazione del mondo quotidiano in chiave fotografica. Dopo aver iniziato con la fotografia di paesaggi e esterni, Rinaldi si specializza nel campo della fotografia documentaristica e street, identificando cliché e abbracciando l’ordinario in situazioni affollate. Nella serie Mondo Mondano, Rinaldi si addentra nel cuore della movida sociale. Il vivace tessuto delle feste e dei festival vibra nei suoi scatti e riflette l’eccentricità del contemporaneo. Glitter, drink, luci stroboscopiche, occhiali da sole, si mescolano a tatuaggi, baci, grida e cappelli stravaganti in un’affascinante indagine sociale. Tutto è realizzato in analogico, trascendendo il tempo e scegliendo una narrativa più autentica.

Courtesy Nicolò Rinaldi

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Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang

Strano è bello, gli scatti NSFW di Fish Zhang

Claudia Fuggetti · 6 giorni fa · Photography

Fish Zhang, conosciuta su Instagram con l’account fiiiiiish, è una giovane fotografa di Tokyo che racconta il mondo che le gravita intorno. Il suo sguardo è molto particolare e spesso le immagini che propone al pubblico generano un sentimento di incertezza e destabilizzazione, che in inglese si riassumono benissmo con il termine “weird”. Le pose vengono smorzate da un mood narrativo che tende più a cogliere l’attimo che a illustrare ogni singolo momento di una storia. La sessualità trova ampio spazio nella sua produzione fotografica, che ci ricorda in parte lo stile di Ren Hang, del quale abbiamo precedentemente parlato qui. La donna è rappresentata senza artifici, ma con semplicità e realismo, nonostante negli scatti ci sia un grande senso compositivo.

Visita il sito di Fish e dai un’occhiata ai suoi lavori nella gallery.

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Courtesy Fish Zhang

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Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar

Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar

Claudia Fuggetti · 7 giorni fa · Photography

Lou Escobar è una fotografa e film-maker francese con base in California che realizza splendide immagini caratterizzate da uno stile fortemente cinematografico. Le atmosfere glam e patinate sono la sua passione e tutti i suoi scatti, anche quelli NSFW, sembrano estrapolati dalle scene di un film hollywoodiano. Le donne immortalate da Lou Escobar sono a loro agio con il proprio corpo e diventano icone di un tipo di sessualità audace, che trasmettono libertà e sensualità, anche solo attraverso lo sguardo.

Tra le sue pubblicazioni non mancano nomi di magazine di moda come Schon e Cake Magazine, mentre il Marsatac festival lo ha scelto per l’adv dell’edizione 2018. I suoi racconti visivi sono ipnotici e non ci si stanca mai di guardarli; se vuoi conoscere altri lavori puoi dare un’occhiata al suo profilo Instagram che trovi qui.

Lo stile cinematografico e NSFW degli scatti di Lou Escobar
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