Non è la prima volta che parliamo di Giorgia Bellotti: qualche tempo fa siamo rimasti affascinati dei suoi scatti, ci siamo persi nel suo mondo fatto ti stanze spoglie, di carte da parati, di fiori e di delicatezza.
Cresciuta circondata dalla bellezza e dai paesaggi offerti dall’Appennino Tosco-Emiliano, Giorgia porta l’atmosfera di quei luoghi e dei ricordi nei suoi scatti, scatti che noi guardiamo accompagnati da una figura femminile, colta sempre di spalle, col volto celato e che solo in un secondo momento scopriamo essere la stessa Giorgia, autrice e protagonista delle sue fotografie.

Una selezione di scatti di Giorgia Bellotti sarà esposta a Ph.ocus – About Phorography nella sezione “Please, Stay Home”. Aspettando di scoprire le nuove date della mostra, noi ci siamo fatti raccontare da Giorgia come è nata la sua passione, ma non solo.
Non perderti la nostra intervista!
Qual è il tuo primo ricordo legato alla fotografia?
Il primo ricordo legato alla fotografia risale alla mia infanzia. Da bambine, io e mia sorella festeggiavamo il compleanno a casa della nonna, e a fine pranzo scattavamo sempre la foto di rito con una Polaroid rossa. Magico era il momento in cui l’immagine si rivelava sulla pellicola nera. La conservo ancora, e conservo ancora tutte quelle fotografie, sono un ricordo bellissimo.
Guardando i tuoi scatti, soprattutto quelli realizzati in casa, si percepisce un’atmosfera eterea e surreale al tempo stesso. Come avviene la loro preparazione?
In realtà non preparo nulla. Sono tutti scatti che avvengono in totale spontaneità e naturalezza, semplicemente mi lascio ispirare da quello che trovo. Nella maggior parte dei casi sono stanze di appartamenti nei quali càpito quando vado in vacanza, in altri sono case abbandonate, in altri ancora stanze di casa mia.

Gli ambienti sconosciuti sono di grande stimolo per me; di solito mi focalizzo su un elemento caratteristico presente nell’abitazione, per esempio una lampada, una tenda, una tappezzeria, un divano, dopo di che gioco a nascondermi con esso. Nel mio modo intimo di intendere l’autoritratto sono il gesto, l’atteggiamento, il dialogo con l’ambiente, il rapporto con l’assenza, che forse rendono efficace la comunicazione.
Com’è nata l’idea degli autoritratti con il volto nascosto? Com’è stare sia davanti che dietro l’obiettivo?

Non è stata una vera e propria idea, semplicemente avevo voglia di esprimermi, in qualche modo, e la fotografia è stata il mezzo che mi ha permesso di farlo. Il volto ha un impatto potente nelle fotografie che lascia poco spazio all’immaginazione, non mostrarlo invece permette alle persone di immedesimarsi in una situazione e di lasciare campo a diverse interpretazioni, per questo lo preferisco.
Fotografare per me è un atto liberatorio, mi aiuta a sconfiggere le paure, a sentirmi e vedermi. Probabilmente la fotografia sono le parole che non so scrivere, la sicurezza in me stessa che non trovo, la confidenza che fatico a dare alle persone, la libertà che fuori è soggezione. È, soprattutto, divertimento.
Che ruolo ha la natura e l’ambiente nei tuoi scatti?
Direi fondamentale. Mi piace, ovunque mi trovo, cercare una connessione. Che siano fiori bellissimi di un giardino curato o piante infestanti sul ciglio di una strada, che sia un luogo elegante o un ambiente fatiscente, con gli spazi mi piace creare empatia. Ho sempre un occhio di riguardo verso tutto ciò che è solitamente considerato insignificante, inutile, che nemmeno viene visto perché scontato. Mi piacciono i difetti, gli oggetti rotti, i grovigli, i cumuli di cose, i piatti svuotati. Il mio concetto di bellezza è molto astratto. Nella natura, specialmente, trovo il collante giusto su cui far aderire le mie visioni.
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Come hai vissuto il periodo del lockdown?
L’ho vissuto bene. Fortunatamente la nostra non è stata una zona molto colpita, quindi ero abbastanza serena. Ho la fortuna di vivere nello stesso palazzo insieme a mia sorella con la sua famiglia, e mia madre. Io e mio figlio non siamo, per questo, mai stati soli. Le fotografie che sono nate in quel periodo e che esporrò a Paratissima sono, sempre in un’ottica di rappresentazione personale, abbastanza spensierate. Purtroppo non posso dire lo stesso adesso di questa nuova fase, che a differenza della prima, sto vivendo con molta più ansia e apprensione.
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