La nostra intervista a Stephen Ajao, fondatore di Uneasyness

La nostra intervista a Stephen Ajao, fondatore di Uneasyness

Giulia Pacciardi · 4 anni fa · Style

Quando si parla di brand emergenti, in un mercato in continua evoluzione e che appare quasi saturo come quello dello streetwear, lo si fa sempre con una certa dose di scetticismo.
Per ogni brand che nasce ce ne sono già due che combattono per fare la differenza, per risultare voci soliste in un coro arrogante che urla tantissimo.
Ma non è questo il caso di Uneasyness, brand fondato da Stephen Ajao, che con tre collezioni all’attivo, e una che sta per nascere, sa bene cosa vuole e come raccontarlo.
Con le sue tre collezioni passate, Elusive Beauty, Lost in the World e Altered Existence ha iniziato un lavoro che, come ci ha raccontato, non si focalizza solo sul prodotto ma sul voler trasmettere l’intera cultura, visione e filosofia che si nasconde dietro i suoi capi.

Per sapere di più su Stephen e sul suo brand, non ti resta che leggere la nostra intervista e dare un occhio alle sue collezioni che trovi qui sotto.

Raccontaci di te, del tuo background e di tutto quello che hai fatto prima di decidere di avviare un tuo brand.

Mi sono diplomato come geometra, poi mi sono iscritto all’università e ho cambiato totalmente, ho deciso di studiare Medicina. Poi ho avuto un crollo esistenziale e ho mollato. 
Al tempo avevo 20 anni e ho iniziato a farmi i miei viaggetti per capire cosa volevo fare, così sono approdato al product design. Avendo fatto gli studi tecnici ero abbastanza bravo nel disegnare al computer e mi occupavo prettamente di prototipi in 3D. Quello del 3D era un mercato super emergente, la situazione era abbastanza dinamica solo che, anche lì, dopo un anno mi sono stufato perché non avere la possibilità di usare la propria creatività è un po’ come essere sempre legati a una sedia. 
Essendo sempre stato un grande appassionato di vestiti, per provocarmi mia mamma mi disse di farmi fare qualche camicia su misura dalla nostra sarta di famiglia.
Ho seguito il suo consiglio e ho cominciato a disegnare e a farmi confezionare questi pezzi unici. 

Ero appena tornato a Mantova e con i miei amici organizzavo eventi di musica elettronica ed entrò nel nostro gruppo un ragazzo che a quel tempo aprì un negozio in centro città e aveva quasi tutti i brand d’avantgarde. Fatalità, durante una serata gli piacque una mia camicia, mi chiese di chi fosse, io gli dissi che era mia e da quel momento cominciò a prendere le mie camicie e venderle da lui.
Così senza motivo mi sono detto che se la facevo funzionare a Mantova potevo farla funzionare anche a Milano dove potevo lavorare a un mio brand e così, dall’oggi al domani, è stato.

Il mondo dello streetwear è in continua evoluzione e il mercato diventa sempre più competitivo, quali credi siano gli elementi in grado di determinare il successo di una collezione o, più in generale, di un brand?

È difficile a dirsi. Per quello che è la storia io penso che sia essenziale per un brand cercare di trasmettere un certo tipo di cultura, di filosofia o un certo tipo di visione che abbia senso e si differenzi dagli altri.
Credo che per avere successo sia essenziale che la gente riesca a percepire tutto quello che sta al dì fuori del brand che non è il prodotto.

Quindi tutto il suo contorno, ci deve essere una base a livello culturale, una visione comune. 

Sì, poi è più complicato perché adesso se uno fa un bel lavoro di marketing o di product placement comunque il brand viene conosciuto, però è una cosa che va a snaturare tutto quello che è il mondo dello streetwear. Secondo me, per far sì che un brand prosperi nel tempo, è essenziale che ci sia un rapporto diretto tra le persone che lavorano nel brand e quello che loro trasmettono e fanno a livello culturale. 
Quello che voglio e spero di fare io con il mio brand è fare qualcosa di innovativo, ed essere innovativi non vuol dire fare sempre cose nuove. Essere reali perché, alla fine, la persona che ti compra non compra solo perché gli piace il tuo capo, lo fa anche per la filosofia e quello che trasmette il brand.

Quali sono le tue principali fonti d’ispirazione e come funziona il tuo processo creativo?

Beh l’ispirazione è un po’ strana, io guardo sempre a tutto ciò che può essere considerato nuovo.
La mia prima fonte è sicuramente la musica, fino a rompere le scatole a tutti. Io sono quello che si sveglia, fa colazione, si lavo i denti e ha già la traccia che vuole ascoltare in testa. Poi la storia, leggo un sacco di libri che raccontano di storie di artisti, designer, stilisti, ecc. storie di prodotti, storie di come i prodotti sono entrati nella nostra vita quotidiana. 
La musica elettronica, quadri, più o meno questo. 

Cosa succede quando ti approcci alla creazione di una collezione? 

È come se sentissi delle cose a pelle, nello stomaco e cercassi di dar loro un senso il più largo possibile.
Inizio sempre interrogandomi su qualcosa, la domanda mi gira in testa tutto il giorno e comincio a cercare delle risposte, è il mio punto di partenza.

L’idea di Lost in the World, che è anche la canzone di Kanye West, nasce in un periodo in cui facevo un sacco di graffiti per strada, avevo iniziato a ristudiare un po’ la storia dei graffiti, delle crew che mi interessavano di più come i 1up di Berlino e i più grandi come Banksy, Bansky in realtà no (ride). Quelli più conosciuti della nostra era e poi essendo uno che ha un sacco di dilemmi esistenziali mi sono detto “beh secondo me l’idea di incappucciarsi di notte e andare a scrivere sui muri, vuol dire che devi sentirti proprio solo nel mondo”. Da questo pensiero è nata questa collezione. In quel periodo lì ascoltavo sempre l’album Oxymoron (Schoolboy Q) e sulla copertina c’è lui tutto bendato, all’inizio era famoso perché si vestiva old school, allora sono andato a vedere quali erano i cinque capi più utilizzati negli anni ’80, quando partì il movimento, e mi venne l’idea di ridare lustro a questi capi, di fargli fare un upgrade a livello di tessuti e di qualità, di dargli il mio taglio personale, quella verve classica che deve avere Uneasyness, e così nasce la collezione. 

C’è un personaggio iconico, del passato o del presente, che vorresti vedere indossare i tuoi capi? 

Non saprei, così su due piedi ti direi che forse non c’è perché magari ancora non esiste.

E un personaggi che magari rispecchia il tuo stile e che sarebbe perfetto per le tue creazioni?

Forse Moodymann, perché anche come personalità sento che è un artista abbastanza affine alla mia personalità, che ha fatto un lavoro culturale super interessante, lui è nella prima schiera di quelli che hanno lanciato la musica elettronica nel mainstream mondiale, che è sempre stato ai margini della scena dei media, suona quasi sempre col volto coperto ed è uno che se ne frega di tutto e quando suona non segue mai le direzioni artistiche ma suona per il piacere di suonare quello che lui vuole. Anarchico al 100%. Lui potrebbe essere uno che mi piacerebbe vestire. 

Progetti futuri?
Beh, far sfondare il brand è il primo. 
Poi io sono un grafico, faccio graffiti, tag e sono innamorato delle lettere mi piace un sacco l’arte della parola in tutti i sensi, quindi la mia idea sarebbe quella di fare un’esposizione delle mie grafiche su larga scala, vediamo se riuscirò a farlo, sicuramente non sarà quest’anno, e se dovesse essere quest’anno vuol dire che mi è andata davvero di culo. Questo è il mio progetto parallelo più forte al momento. 
Cominciare a far qualcosa con l’azienda con cui sto collaborando Wonderglass, con cui mi misuro con i migliori designer del prodotto del mondo quindi credo che ci vorrà diverso tempo. 

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Oltre Petra, la Giordania attraverso le foto di Federico Feliciotti

Oltre Petra, la Giordania attraverso le foto di Federico Feliciotti

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Stati come il Perù, la Thailandia, l’India e la Giordania sono spesso sinonimo di vacanza per gli occidentali, Paesi in cui fare viaggi mozzafiato e di cui si conoscono solo due o tre località “da sogno”. Ma ogni nazione conserva la propria identità storica e culturale così come risvolti crudi e drammatici, spesso ignorati. È il caso della Giordania, meta turistica molto in voga negli ultimi anni e associata in primis a Petra, la suggestiva città scavata nella roccia. Ma cos’altro si conosce di questo stato arabo? Come vive il suo popolo? Ce lo racconta in esclusiva il fotografo italiano Federico Feliciotti attraverso una serie di scatti inediti realizzati in Giordania nel febbraio 2023. 

Il viaggio di Feliciotti in Giordania inizia proprio con intenzioni turistiche. Immediatamente però decide di uscire dalle zone più frequentate e scoprire le tradizioni, le abitudini e le condizioni attuali del popolo giordano.
La Giordania è stato il primo paese del medio Oriente che ho visitato. Paesaggi mozzafiato, deserto e città ferme nel tempo. Questo era quello che mi ero sempre immaginato tra una foto e l’altra nel web. Non immaginavo che fosse molto, ma molto di più.” – ci racconta il fotografo – “ad esempio, non sapevo che la Giordania ospitasse rifugiati da circa 20 anni. Parliamo di una popolazione totale composta da dieci milioni di persone, fra cui mezzo milione di siriani rifugiati.

Federico Feliciotti mette il luce gli effetti che la crisi economica e il cambiamento climatico hanno avuto sulla vita del popolo giordano. I suoi scatti racchiudono l’essenza delle persone che ogni giorno si sforzano di sopravvivere, in mancanza di acqua, di cibo e di una casa confortevole in cui abitare. Il velo di nebbia che avvolge alcune fotografie concorre nel creare un’atmosfera drammatica, in altre invece il cielo azzurro e la luce gialla del sole illuminano la composizione, evidenziando la capacità delle persone di apprezzare la vita nonostante le difficoltà. La felicità e la spensieratezza si vede sui volti dei bambini ritratti da Federico: alcuni giocano a pallone in strada, altri lo guardano divertiti.
L’alternanza emotiva che i suoi scatti propongono crea una sensazione pesante, che stringe il cuore dello spettatore, ora perso con la mente nelle lande aride e desolate della Giordania.
Federico Feliciotti è stato ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas

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La quotidianità autentica delle foto di Tom Johnson

La quotidianità autentica delle foto di Tom Johnson

Tommaso Berra · 3 giorni fa · Photography

C’è qualcosa nelle foto di Tom Johnson che porta i soggetti ad essere sempre protagonisti fieri del momento immortalato. Che si tratti di progetti commerciali o di produzioni personali, il soggetti rappresentati dall’artista inglese sono sempre celebrati nella loro quotidianità e unicità.
Partito come fotografo per l’agenzia Magnum, ora Tom Johnson è un apprezzato fotografo con pubblicazioni e progetti internazionali, nei quali porta la sua predilezione per ambienti isolati come nuclei unici per i quali vale la pena raccontare storie al singolare.
Questa ricerca di imprimere storie autentiche si trasmette anche attraverso la narrazione dei momenti davanti ai quali si trova l’autore. Sul suo profilo Instagram con qualche riga ti testo è spiegato il momento in cui si è trovato davanti un buffo ragazzino con una cuffia da nuoto in testa, lo sguardo in camera di un signore che tiene in braccio un’oca finta o i passatempi di due gemelle vestite interamente di rosa.
Il movimento è senza dubbio un altro degli aspetti che non manca mai nelle fotografie di Johnson. Di questo prende l’espressività imprevista che crea nei soggetti e il momento, ancora una volta, unico, che non si ripeterà con la stessa esattezza o inesattezza, ma resterà una storia autentica.

La quotidianità autentica delle foto di Tom Johnson
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Le migliori fotografie dell’anno secondo Sony 

Le migliori fotografie dell’anno secondo Sony 

Giorgia Massari · 1 secondo fa · Photography

Tra meno di un mese, il 14 aprile 2023, a Londra inaugurerà l’annuale mostra di fotografia Sony World Photography Awards, giunta alla sua 16° edizione. Il progetto nasce da una collaborazione tra Sony e World Photography Organisation con l’obiettivo di celebrare i migliori fotografi provenienti da tutto il mondo, dagli emergenti ai professionisti. In attesa dell’inaugurazione che si terrà da Somerset House, SWPA annuncia i vincitori della categoria Open Competition, che concorreranno per aggiudicarsi il premio di Open Photographer of the Year 2023 e i cinque mila dollari in palio.
I giudici del concorso Open hanno ricevuto più di 200 mila immagini, il più alto numero di iscrizioni ricevute in sedici anni. Tra i numerosi scatti ne sono stati selezionati dieci, uno per ogni categoria stabilita. Natura e fauna selvatica, Ritrattistica, Street photography, Travel, Architettura, Lifestyle, Motion, Object, Natura morta, Paesaggio e Creatività sono i temi affrontati quest’anno.
Non dev’essere stata una scelta facile per i giudici e in particolare per Eric Scholsser, direttore artistica della Tbilisi Art Fair, giudice della competizione Open. Il risultato delle difficili scelte prese è la presenza di una varietà di stili, di luoghi e di colori che caratterizza ogni fotografia.

Tra i nomi internazionali in concorso c’è Giorgos Rousopoulous, che vince il premio per il miglior paesaggio, trasportando lo spettatore in Grecia, più esattamente nel Parco Nazionale di Pindus. Il miglior scatto Lifestyle di Azim Khan Ronnie mostra invece dei bambini di un villaggio in Bangladesh, ritratti in un momento di spensieratezza. Il premio per la categoria Architettura è vinto invece dal fotografo inglese Mark Benham con lo scatto The Silos, dai colori caldi e l’atmosfera metafisica.
Sono quattro gli scatti in bianco e nero che si aggiudicano i premi di categoria: Max Vere-Hodge con Ghosts (Viaggi), Dinorah Graue Obscura con Mighty Pair (Natura e fauna selvatica), Boris Eldagsen con Pseudomnesia (Creatività) e Andreas Mikonauschke con lo scatto Exhausted per la categoria Street Photography. Il bianco e nero si riconferma autentico e ribadisce che “una buona immagine non ha bisogno di colore”.
Sono invece preponderanti e brillanti i colori dello scatto vincitore della categoria Motion, aggiudicatosi da Zhenhuan Zhou, in cui il fotografo ritrae una cowgirl in sella a un cavallo in corsa, intento a frenare bruscamente per affrontare la curva. Dall’armonia cromatica sulla scala dei marroni è il ritratto di Charlie realizzato da Sughi Hullait (Ritratti) che racconta la storia di un gruppo di ragazzi inglesi che durante la pandemia costruirono uno skate park fai da te.
Il tema del riciclo e del rispetto ambientale è affrontato da Mieke Douglas nello scatto Recycled, vincitore della categoria Oggetto. Il suo scatto fluttuante ed etereo raffigura dei fiori fatti di carta e nastri che probabilmente galleggiano negli abissi, mettendo in luce una tematica delicata e attuale.
Il vincitore assoluto di questo concorso verrà annunciato il 13 aprile 2023 e darà il via alla mostra fotografica dell’anno, visitabile fino al primo maggio. 

Le migliori fotografie dell’anno secondo Sony 
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10 foto da vedere in attesa del Fotografia Calabria Festival

10 foto da vedere in attesa del Fotografia Calabria Festival

Giorgia Massari · 6 giorni fa · Photography

Sta tornando Fiumefreddo Photo Festival, che per il 2023 propone il tema del cambiamento, così come a cambiare è anche il Festival stesso, che sceglie come nuovo nome Fotografia Calabria Festival. Dal 21 luglio al 20 agosto 2023 infatti non sarà solo il comune di Fiumefreddo Bruzio (CS) ad ospitare le mostre fotografiche, ma anche il comune di San Lucido (CS) si unirà all’iniziativa.
I due borghi del basso Tirreno accoglieranno mostre, eventi, talk e workshop dedicati alla fotografia, ospitando fotografi italiani e internazionali che affronteranno il tema osservando l’epoca contemporanea e le sue trasformazioni. Ogni fotografo coinvolto proporrà la propria visione di cambiamento, secondo sfumature differenti. Per scoprire meglio il primo festival dedicato alla fotografia in Calabria Collater.al ha selezionato 10 fotografie che saranno presenti all’evento.

Il cambiamento viene inteso dalla fotografa argentina Gabo Caruso come trasformazione del corpo, affrontando il tema dell’identità di genere attraverso la storia di transizione della piccola Cora. Anche Arianne Clément, fotografa inglese, approfondisce il concetto di cambiamento legato al corpo, fotografando corpi nudi femminili di diverse generazioni, concentrandosi in particolare sulle figure anziane.

Calabria Photo Festival | Collater.al
Gabo Caruso – Cora’s Courage
Calabria Photo Festival | Collater.al
Arienne Clément – The Art of Aging (2)

Klaus Pichler mette in luce gli effetti devastanti che gli interessi economici e gli interventi di ingegneria genetica stanno provocando alla biodiversità. Sulla stessa scia, il collettivo Climate Visuals evidenzia le conseguenze del cambiamento climatico attraverso il progetto Ocean Visuals, una raccolta di immagini su oceani e coste.
Dal punto di vista sociale, il cambiamento è evidenziato dalle nuove generazioni e dalle tecnologie che ne modificano le strutture. Ne parlano il fotografo tibetano Xiangyu Long, concentrato sulla globalizzazione provocata dai social media, e la fotografa inglese Laura Pammack che invece evidenzia i parallelismi tra i giovani che vivono in luoghi opposti del mondo.

Legato al territorio è invece il progetto Far South di Michele Martinelli, così come il progetto site-specific del collettivo Vaste Programme di Giulia Vigna e Leonardo Magrelli.
In questa seconda edizione del Fotografia Calabria Festival parteciperà anche l’Archivio Luce – Cinecittà, con la sua prima mostra in Calabria dal titolo Anni Interessanti, per raccontare gli anni di cambiamento sociale, economico e culturale del nostro paese dal 1960 al 1975.

Calabria Photo Festival | Collater.al
Xiangyu Long – TikTok in Kham
Calabria Photo Festival | Collater.al
Laura Pannack – Island symmetries
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