Kiev Fashion and Arts Days. Fotografi, moda e rave party

Kiev Fashion and Arts Days. Fotografi, moda e rave party

Collater.al Contributors · 2 anni fa · Style

Dal 7 al 10 ottobre si sono svolti i Kiev Fashion and Arts Days, un festival che celebra l’arte, la moda, la fotografia e le performance.
Il progetto è figlio di un’idea di Sofia Tchkonia, fondatrice della Mercedes Benz Fashion Week di Tbilisi. Lo scopo è quello di consolidare la posizione dell’Ucraina come capitale culturale dell’Europa orientale ma soprattutto di creare una piattaforma per tutti i creativi ucraini.

Noi di Collater.al abbiamo affidato il racconto di questi 4 giorni all’editor e fotoreporter Mattia Ruffolo, che ha realizzato un photo-diary del suo viaggio a Kiev.

Ho trascorso quattro giorni a Kiev dove sono stato invitato ad incontrare e conoscere i lavori della nuova generazione di creativi ucraini. Kiev Fashion and Arts Days è una nuova iniziativa che ha come scopo quello di rafforzare, connettere ed esportare all’estero le più vive personalità di questo paese.
Il reportage fotografico che ne è scaturito non vuole essere una rappresentazione totale ed esaustiva del fitto programma proposto alla stampa internazionale in queste giornate, ma una personale e soggettiva lettura di quello che ho visto in questi giorni.
Questo lavoro a Kiev, città che non avevo mai visitato, non sarebbe avvenuto senza il prezioso e lungimirante talento di Sofia Tchakonia, motore e mente propulsiva dietro la Tbilisi Fashion Week in Georgia. Sofia è stata inserita nel 2019 tra le persone più influenti nel mondo della moda.

L’arrivo è come me l’aspettavo. Sulla strada dall’aeroporto verso la città, una serie di palazzi brutalisti altissimi disegnano il paesaggio della periferia di Kiev. Man mano che che ci avviciniamo verso il centro città vedo il fiume Dnepr, sul quale affaccia il mio albergo. Il Fairmont è un palazzo storico imponente. I corridoi sono lunghissimi e tutti uguali.

Lesha Berezovskiy è una delle prime persone che incontro. Ci diamo appuntamento a Khreschatyk Street, la strada principale e commerciale per i kieviani. Khreschatyk Street è andata completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale dall’Armata Rossa in ritirata, ricostruita con i criteri architettonici del classicismo socialista e rinnovata nel periodo di indipendenza dell’Ucraina.

È pomeriggio, c’è il sole, il cielo è terso e soffia un vento freddo e ci dirigiamo verso lo studio di Lesha.
Dobbiamo arrivare prima delle 6 perché dice che nel suo studio, a quell’ora, c’è una luce bellissima.
Mi racconta che tra qualche giorno raggiungerà sua moglie a Mosca e che tra due settimane inaugurerà una sua mostra fotografica ad Almaty, in Kazakhstan, di scatti prodotti a distanza con una sua amica durante l’isolamento.
Arriviamo in studio, una ex ufficio amministrativo (forse una scuola) che al momento la municipalità mette in affitto ad artisti a circa 10 dollari al metro quadro.

Mi mostra i lavori che esporrà e alcune stampe fotografiche su carta vintage sovietica comprata su eBay. Mi regala un libro di fotografia dove sono incluse delle sue foto. Sono ritratti di giovani nelle loro camere e immagini prese di sfuggita nelle serate a CXEMA, un rave ucraino di cui parlerò più avanti.
Lesha è un ciclista e nelle sue immagini è molto presente la natura. Mi mostra le foto di famiglia in campagna dai nonni, dove è cresciuto. Sono molto intime e tenere. Gli chiedo se è una serie che sta portando ancora avanti ma dice che ai nonni non piace molto farsi fotografare. Nel dettaglio di una sua foto si vede della sabbia nera che a me ricorda quella di Stromboli e gli consiglio di vedere Stromboli (Terra di Dio) di Roberto Rossellini.

Andiamo in esplorazione dello stabile, nei corridoi ci sono ancora gli attaccapanni dove gli studenti (?) riponevano le giacche. Esposti tutti insieme sono molto belli; facciamo degli scatti lì, ma Lesha è timido davanti l’obiettivo, preferisce star dietro. Ci salutiamo guardando una cartina dell’Europa su un foulard di seta appeso nel suo studio e pensiamo di rivederci nelle prossime sere per un drink prima di ripartire.

Situationist è un marchio fondato nel 2016 a Tbilisi, orgogliosamente Made in Georgia. 
Forbidden Family è un corto diretto da Davit Giorgadze e Salome Potskhverashvili con le musiche di Nika Machaidze. Un video di sei minuti che porta sui monti georgiani, in una foresta innevata, architetture decadenti di influenza sovietica e locande di legno logore. Durante queste giornate dedicate alla moda e all’arte, Situationist presenta a TSUM–il più importante department store di Kiev–la collezione e il libro di questo viaggio sui monti della Georgia.

“Abbiamo provato a rappresentare la varietà di stili e personaggi diversi. Il modo di vestire e tutti i dettagli importanti che rendono importanti le nostre tradizioni. Dalla costa del Mar Nero alle alte montagne degli Svaneti osservando e definendo ogni importante dettaglio che forma il nostro marchio”.

“L’attuale situazione mondiale ci sta dimostrando l’importanza dell’insieme, del prendersi cura della vita selvaggia e della natura che ci circonda. Speriamo di mostrare la bellezza grezza e selvaggia del nostro paese. Le cose pi importanti della vita sono sempre intorno a noi“.

Incontro Ivan Frolov nel suo atelier di mattina. Gran parte delle cose qui sono rosse: scatole, gusci di vestiti e un neon a forma di cuore all’ingresso. Sembra esserne ossessionato.
È umile e determinato, mi racconta del suo inizio nel 2014 e che ora il suo team è composto da quasi 30 persone.

Alle pareti trovo disegni erotici di ballerine di pole dance o giovani ragazzi nudi che indossano solo corsetti.
Ivan è specializzato in corsetteria, ricamo e creazioni couture-to-wear. Anche se sesso e bondage sono le cose che più ispirano il suo lavoro, alla provocazione estetica segue una profonda ricerca delle tecniche sartoriali e dell’anatomia umana. Rita Ora, Gwen Stefani e Due Lipa hanno indossato Frolov.

All’interno del bar dove ci eravamo dati appuntamento, vedo seduto al bancone Misha Buksha, un giovane uomo molto bello ed elegante che sorseggia un caffè. Con lui, il suo cane Sara, un podenco canario che indossa un cardigan colorato fatto a mano per proteggerlo del freddo.
Ordino anche io il mio caffè e andiamo fuori a berlo. Con Misha sento subito un buon feeling e iniziamo a confrontarci per trovare cose in comune: stessa età, stesso ambito (editoria / fotografia) e anche lui, come me, ha adottato un cane con il suo ex compagno, Yaroslav Solop, col quale continua a lavorare.

Avevo sentito parlare di Misha e del suo lavoro, ma non sapevo molto altro: Misha ha 29 anni ed è cofondatore e direttore creativo della casa editrice Booksha. Mi aveva incuriosito perché avevo letto di questa importante pubblicazione sulla fotografia contemporanea ucraina di nome UPHA Made in Ukraine.
UPHA (Ukranian Photographic Alternative) è il loro primo libro. La ricerca di Misha e Yaroslav è iniziata nel 2017 e ha richiesto quattro anni di lavorazione, soprattutto per la questione legata ai diritti. Nel libro sono presenti 57 fotografi che, secondo la ricerca dell’editore, documentano l’importante metamorfosi sociale, politica, culturale e storica in Ucraina e nel mondo, e descrivono come si sta evolvendo la fotografia in Ucraina. Questo libro ha la missione di esplorare, presentare e archiviare il patrimonio fotografico ucraino. Le immagini, analizzate dal team di ricercatori della casa editrice, evidenziano una riflessione sui cambiamenti politici e sociali, e documentano le fasi critiche dello sviluppo della società ucraina, la guerra, l’impatto religioso sulla coscienza, le conseguenze della crisi economica, gli studi di genere, del corpo e della sessualità.

Per sfogliare il libro siamo andati nel coffee shop di una una galleria d’arte e fotografia contemporanea, The Naked Room, fondata dalla curatrice Lizaveta German, Maria Lanko e dal regista Marc Raymond Wilkins.
Nel tragitto mi parla di un suo viaggio a Venezia con sua madre, interrotto solo dopo 24 ore per un imprevisto che li ha riportati immediatamente in Ucraina. Il desiderio di ritornare ci fa salutare con la speranza di rivederci presto in Italia e il suo consiglio di vedere un film del regista russo Aleksandr Galin intitolato Il mantello di Casanova.

Qualche giorno prima prima del mio arrivo a Kiev scrivo un messaggio a Slava Lepsheeev dicendogli che sarei stato qualche giorno in città. Lui mi risponde subito dandomi appuntamento al Kosatka, un piccolo bar hipster nel centro di Kiev. Slava arriva con un monopattino elettrico, ci salutiamo e iniziamo a parlare. È di poche parole e sembra timido, ma sa ascoltare bene.
Conosco Slava perché i-D, la testata che dirigevo, aveva prodotto un documentario sulla scena del clubbing ucraino. Slava è la mentre dietro CXEMA, un rave techno itinerante che si svolgeva nelle zone industriali di Kiev.
CXEMA nasce a ridosso delle rivoluzioni violente del 2014 a Kiev, culminate con la cacciata dell’allora presidente dell’Ucraina, Viktor Janukovyč. Dopo che le proteste sono diventate delle vere sommosse, le autorità hanno aperto il fuoco contro i civili provocando almeno 82 morti, di cui 13 poliziotti, e più di 1.100 feriti. Con un presidente spodestato, la Russia che invade la Crimea e le intere milizie di oppositori che insorgevano in tutta l’Ucraina, i giovani hanno reagito a modo loro portando o dimenticando in pista tutte le loro delusioni e le insoddisfazioni che solo una politica così precaria può far scaturire.

Con Slava andiamo subito al dunque, gli chiedo com’è al momento la scena a Kiev e mi dice che, come ovunque, il lockdown ha rellentato le cose. Mi parla che vorrebbe aprire un locale tutto suo, piccolo, per massimo 100 persone. Sta vedendo degli immobili in affitto e forse ne ha trovato uno. Gli chiedo di descrivermi come se lo immagina e mi risponde con un lungo bancone, arredamento vintage e bella gente.
Mi dice che prima del lockdown avrebbe voluto fare un viaggio in Italia, in Sicilia, e che ancora sogna di farlo. Mi chiede consiglio se andare a Palermo o a Catania e io gli rispondo di vederle entrambe, ma che Catania negli anni ’90 era musicalmente iper al passo col resto del mondo, che era la Seattle d’Italia – nella mia testa giravano nomi come il produttore discografico catanese Francesco Virlinzi che in qualche modo aveva creato un terreno fertile per artisti come Michael Stipe, Peter Baks, Natalie Merchant che trascorrevano le estati lì e che nei locali si ballavano i Pixies, Sonic Youth, The B-52s – ma mi sembrava di allontanarmi troppo dalla conversazione.
Usciamo dal bar e prima di salutarci facciamo una passeggiata nel parco vicino. Mentre parliamo di viaggi, io gli faccio qualche scatto, e ci lasciamo consigliandomi di andare ad Erevan, in Armenia.

Siamo al Nosorog, uno strip club nella zona ovest di Kiev per la presentazione del secondo numero di “Hrishnytsia”, una zine erotica fondata da Julie Poly.
Yulia Polyashchenko AKA Julie Poly è una fotografa e art director che vive a Kiev. Ha studiato alla School of Photography di Kharkiv e oggi scatta per Vogue, L’Officiel, Harper’s Bazaar, Dazed & Confused e i-D. Nel suo lavoro prevalgono l’erotismo, la moda e la bellezza non convenzionale. L’artista afferma di trovarsi costantemente ispirata da “cose banali, eventi quotidiani, storie di vite di amici e esperienze personali”.

Julie indossa una felpa rosa di Balenciaga con su scritto GAY PRIDE. Con lei il suo pluripremiato barboncino di nome Pushok, che in italiano vuol dire soffice. Pushok ha 21 mesi ed è già comparso su una cover di Vogue Ucraina. Ha vinto diversi premi di bellezza come: Campione Junior dell’Ucraina; Junior Grand Champion dell’Ucraina; Campione d’Ucraina; Gran Campione d’Ucraina; Campione del club del Barboncino; e ancora gareggia per vincerne altri. Alla festa sembra molto infastidito.
Sul palco si esibiscono 3 performer: una ipnotica cantante drag che sembra esser uscita da un film di David Lynch e due danzatrici di pole dance. Una delle ballerine è l’insegnante Julie, che pratica pole dance regolarmente tre volte la settimana. Il tema di questa zine sono i tatuaggi: all’interno del club gli invitati possono farsi tatuare da due tatuatori professionisti.

Vic Bakin è un fotografo e regista autodidatta originario del Turkmenistan ma che ora vive a Kiev.
Ci incontriamo nella sua casa-studio dove mi mostra il suo archivio fotografico degli ultimi anni. Vive nella parte alta della città e dice che in quel quartiere si sente tranquillo perché ha tutto a portata di mano.
Entrando nel suo studio mette della musica techno di sottofondo e inizia a mostrarmi le sue fotocamere, i suoi libri dei fotografi preferiti – alcuni di questi anche autografati – il suo archivio di lavori stampati e perfettamente ordinati nei cassetti. Scatta di continuo e adesso sviluppa le sue foto autonomamente nel suo bagno di casa. Durante il lockdown non potendo incontrare persone ha rimaneggiato le sue vecchie foto con stratificazioni di pittura che hanno rarefatto le immagini. Una selezione di queste immagini è ora in mostra al club K41.

Il K41 è una delle serate al momento più interessanti di Kiev.
In realtà non ha un nome fisso, è nominata K41 perché si trova a Kyrylivska St, 41. La serata è meglio identificata con il simbolo matematico “∄” che equivale a “non esiste”. Non puoi cercarli su google e non hanno nemmeno i social media. Al momento la serata si svolge in un ex birrificio e la musica va avanti giorno e notte per tutto il weekend. Quello che dall’esterno sembra un edificio abbandonato è ora un club LGBTQIA+ friendly che ospita DJ locali insieme a grandi nomi. La fila e la door selection non sono molto diverse da quelle del Berghain. Dopo l’approvazione, prima di entrare, devi sottoporti al test Covid, 15 min di attesa e se sei negativo, entri.

Dopo qualche minuto il suo parquet è cosparso da centinaia di immagini di giovani uomini in bianco e nero. Durante la conversione, senza volerlo, inizio a fare una selezione di quelle che più mi colpiscono. Vic si stranisce con quanta velocità guardo e seleziono le foto. Lo guardo e gli dico: “lo so, scorro velocissimo. È una quesitone di istinto, la foto deve piacermi al primo impatto”.
Nel mentre parliamo del suo rapporto con il corpo e con i suoi modelli. Mi racconta della sua musa, un ragazzo di nome Roma visto per caso in metropolitana che incontra regolarmente. Scatta con una 4×5 pieghevole americana da fotogiornalismo utilizzando pellicole di grande formato.
Una volta selezionate le immagini, le prendiamo da terra e le appendiamo sulla parete che lui usa come fondale per i suoi modelli. Intanto che facciamo questo cerchiamo di trovare un nesso tra Aby Warburg e Tumbler.

Prima di andar via prende una copia del sul libro fotografico intitolato “Heavy Clouds” e me ne regala una copia, scrivendomi come dedica “A Mattia, i ricordi sembrano svanire”.

Un ringraziamento speciale a Sofia Tchkonia, Julia Kostetska, Maria Mokhova (White Rabbit Agency), Vladyslav Tomik, Daniela Battistini.

Photographers:
Rōman Himey
Vic Bakin
Kris Voitik
Mattia Ruffolo

Articolo di Mattia Ruffolo

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Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie

Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie

Andrea Tuzio · 1 giorno fa · Photography

Dopo la sua performance al Coachella 2023 non priva di polemiche, si torna a parlare di Frank Ocean ma per questioni completamente diverse.

Homer, il brand indipendente di lusso lanciato due anni fa dallo stesso artista di Long Beach e che si occupa principalmente di realizzare e vendere gioielli come ciondoli, anelli, collane, orecchini diamantati, bracciali in argento riciclato e oro 18 carati, tutti prodotti artigianalmente in Italia e caratterizzati da forme divertenti e colori vivaci, ha pubblicato un libro fotografico.

Da pochi giorni infatti è possibile ordinare sul sito di Homer, al prezzo di 90€, Mutations, un libro fotografico di 48 pagine che rappresenta una retrospettiva di opere realizzate tra il 19 ottobre e il 22 dicembre 2022, per lo più foto scattate dallo stesso Ocean. 
Una serie di scatti che ci mostrano un lato del cantante statunitense nuovo, unico e che mostrano, ancora una volta, quanto sia raffinata e ricercata la sua estetica.

Se volete portarvi a casa una vera chicca da collezione come Mutations, il libro fotografico di Frank Ocean, vi basta cliccare qui.

Frank Ocean ha pubblicato un libro di sue fotografie
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I paesaggi malinconici di Alana Celii

I paesaggi malinconici di Alana Celii

Anna Frattini · 9 ore fa · Photography

Alana Celii è una fotografa americana che ridefinisce tempo e significati scattando paesaggi e soggetti dall’aura malinconica e senza tempo. Ora photo editor del New York Times, precedentemente ha lavorato sia per il Wall Street Journal che per il TIME parallelamente alla sua carriera nella fotografia. La sua prima monografia, Paradise Falling, è una serie di fotografie che ridefinisce la sensazione di perdita mostrando cosa significa sentirsi persi attraverso metafore che guardano all’astrologia, al mito e al simbolismo.

Per Celii il punto di partenza è la natura, immortalata talvolta scattando senza soluzione di continuità e improvvisando. Dopo Paradise Falling, la fotografa americana ha iniziato un progetto nuovo alla scoperta dei paesaggi della West Coast dopo il suo trasferimento in California. In queste immagini è chiara la matrice californiana nelle textures e nei colori intensi riconoscibilissimi nei paesaggi sconfinati immortalati dalla fotografa.

Per scoprire altri scatti di Alana Celii qui il suo profilo Instagram.

Ph. courtesy Alana Celii

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La fotografia eterea di Matteo Zanin

La fotografia eterea di Matteo Zanin

Giorgia Massari · 5 giorni fa · Photography

“Ci sono ipotesi diverse su come siamo venuti al mondo, c’è chi dice dagli animali come conseguenza dell’evoluzione della specie e c’è chi dice per mano di Dio, ma di certo sappiamo che quando lasceremo questo pianeta, ciò che resterà di noi sarà solo polvere.” con queste parole il fotografo italiano Matteo Zanin (1986) riflette sul nostro destino attraverso una serie di scatti di nudo artistico. La polvere, le briciole, i detriti, le ceneri sono il punto di partenza del suo progetto fotografico POLVERE in cui la materia naturale e il corpo umano diventano una cosa sola.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al

In un’ambiente arido, privo di vegetazione, una donna nuda, dall’aspetto candido e leggero vaga nel desertico paesaggio, mimetizzandosi e amalgamandosi ad esso. “La donna è l’essere vivente che più si avvicina alla natura, perché come lei è l’unica che può creare un’altra vita.” riflette Zanin.

Gli scatti appartengono ad una sfera eterea, che rimanda lo spettatore ad uno scenario quasi apocalittico. L’ultima donna sul pianeta, una ninfa solitaria, in cerca di acqua, di una fonte di vita. Con il tempo il suo corpo si congiunge alla natura, fino a diventare parte della stessa. Contorcendosi imita le sue forme, abbracciandola le dimostra il suo amore.

La passione per la Street photography e il suo approccio cinematografico, oltre alla sua esperienza nel campo della moda, emergono particolarmente nella serie POLVERE, capace di riassumere l’identità artistica di Matteo Zanin e di restituire una serie di sentimenti contrastanti. La natura può dare ma può anche togliere.

Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
Matteo Zanin Polvere | Collater.al
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Courtesy and credits Matteo Zanin

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Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Le fotografie di J. Jason Chambers raccontano l’America

Anna Frattini · 6 giorni fa · Photography

Classe 1980, J. Jason Chambers è un fotografo americano che racconta l’America attraverso i suoi scatti, viaggiando di stato in stato e ispirandosi al New Topographics Movement. Scorrendo fra gli scatti del fotografo sembra di vedere un’America molto diversa da quella che ci immaginiamo. Insegne al neon luminose, stazioni di servizio e vecchie automobili sospese in un’atmosfera quasi cinematografica. Chambers sembra essere in continuo movimento, dalla California fino a Wall Street passando per il deserto. Le fotografie scattate a New York fanno da contraltare alle suggestioni desertiche del New Mexico e ai panorami texani di Marfa.

La riflessione di J. Jason Chambers su una nuova topografia influenzata dall’uomo si ispira a una mostra risalente al 1975 a Rochester, New Topographics. In questa occasione furono esposti 10 fotografi alle prese con l’arrivo del Concettualismo e del Minimalismo nella fotografia degli anni ’70. Il SFMoMA, nel 2010, ha deciso di riportare in vita questa mostra rivelando il ponte pre-esistente fra il mondo dell’arte contemporanea e quello della fotografia.

Il punto di incontro fra la fotografia di J. Jason Chambers e New Topographics sta nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente. Stazioni di servizio, motel o parcheggi fanno ormai parte del nostro immaginario quando si parla di paesaggistica così oggi come negli anni ’70.

J. Jason Chambers

Per scoprire altri scatti di J. Jason Chambers qui il suo profilo Instagram.

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