In questi giorni l’Arch Week milanese pone l’attenzione sulle periferie. In particolare, si chiede cosa possiamo imparare da queste aree marginali e affronta l’argomento attraverso una serie di talk, tavoli di lavoro e workshop diffusi sul territorio, coinvolgendo designer e architetti provenienti da tutto il mondo. Dal 2 al 11 giugno 2023 il capoluogo lombardo va alla scoperta di quelle aree di confine spesso taciute ma che fanno parte di un discorso urbano e sociale indispensabile per la crescita di una città. Tanti furono i fallimenti, attuati soprattutto a partire dagli anni ’60 e ’70, quando l’aumento demografico e la migrazione dal sud comportarono un’espansione della città di Milano. Ma oggi, su questa scia di “Around Peripheries”, vogliamo parlarvi di uno dei successi urbani e architettonici di Milano, una storia felice proprio come il suo nome. Si tratta del quartiere satellite San Felice, compreso tra i comuni di Segrate, Pioltello e Peschiera Borromeo, e progettato dalle menti geniali degli architetti Vico Magistretti e Luigi Caccia Dominioni.

C’è da dire che gran parte del suo successo è dovuto al suo scopo originario. San Felice fu infatti concepito per essere un’oasi di pace lontano dal caos del centro, destinato alla borghesia cittadina in cerca di tranquillità. È doveroso sottolineare che gli abitanti del quartiere furono scelti. 50 mila persone ricevettero una lettera di invito per abitare a San Felice e solo chi apparteneva a questa “élite” aveva effettivamente la facoltà di comprare. Alla fine, 7 mila persone, tra cui intellettuali, artisti e uomini di cultura acquistarono la loro abitazione in quello che oggi possiamo definire un progetto utopico-architettonico alto-borghese.

Come molti di questi quartieri satellite, anche qui vige la regola dell’autosufficienza. Il quartiere era, ed è ancora, dotato di tutti i servizi necessari ai suoi abitanti, tra cui scuole, negozi, ristoranti, bar e una grande quantità di parchi e aree verdi. Infatti, gran parte della campagna era incentrata proprio sul concetto di evasione dal cemento e dallo smog cittadino che invadeva la Milano degli anni ’70. Uno dei volantini vedeva due bambini giocare sull’asfalto e lo slogan recitava “Mamma, che cos’è un prato?” Con l’intento di spingere, soprattutto le famiglie, a spostarsi in questa oasi di verde alle porte di Milano.

Tutto il complesso fu progettato magistralmente in un’ottica di comunità felice. Un altro slogan recitava “Non l’ha creata Walt Disney”. Effettivamente, dai modellini e dai bozzetti, si nota una progettazione sinuosa, in forte contrasto con la rigidità milanese, e una forte attenzione all’aspetto di unione e di comunità. Ogni complesso abitativo, tra cui torri, condomini e villini monofamiliari, è facilmente collegato agli altri e ai servizi attraverso sentieri pedonali intervallati da grandi prati, chiamati golfi verdi, permettendo in questo modo una fluidità negli spostamenti e garantendo un senso di sicurezza.

Oggi Milano San Felice è ancora attiva e appare come cristallizzata nel tempo, con le facciate e gli interni ancora originali, capaci di portare i visitatori nel passato. Negli ultimi mesi questo quartiere, in realtà poco conosciuto dai milanesi stessi, è posto sotto i riflettori grazie all’uscita dell’enorme libro Golfi verdi e parquet Panga Panga, curato da Elisa Di Nofa e Francesco Paleari. Dalle meravigliose fotografie, ciò che salta subito all’occhio sono gli interni, curati con attenzione e disegnati appositamente per San Felice. Dai bellissimi pezzi di design, tra cui i lampadari Lyndon disegnati da Magistretti in color lilla alle sedie di Cassina, o le cucine realizzate su misura in “rosso Caccia”.
Nella terza parte del libro invece, è interessante leggere le testimonianze degli abitanti che si trasferirono negli anni ’70 a San Felice, dalle quali emerge il loro entusiasmo e il loro spirito visionario. Furono capaci di vedere l’utopia degli architetti e abbracciarne l’idea, per cambiare vita ed essere cittadini milanesi ma in mezzo al verde.





Credits Francesco Paleari
Golfi verdi e parquet Panga Panga, curato da Elisa Di Nofa e Francesco Paleari