La sedia bianca in plastica dura, dai braccioli pronunciati e dallo schienale accogliente, impilabile e monoblocco, è un oggetto tanto neutro quanto ampiamente diffuso. Presente nei bar di periferia, nei cortili delle scuole e in diversi luoghi di aggregazione, è prodotto in numerose varianti da migliaia di produttori. La sua presenza su larga scala, deriva dal fatto che il progetto originale non sia mai stato brevettato, nessuno infatti sa chi sia il suo ideatore.
Pierre Castignola (1995), giovane designer olandese laureato alla Design Academy di Eindhoven, sceglie proprio questa sedia senza proprietà intellettuale come oggetto di studio, diventando la protagonista del suo progetto Copytopia. Attraverso un processo creativo, fatto di tagli e di scomposizioni, l’artista riassembla tra loro parti di sedie con forme diverse, creando un oggetto di design unico e dall’aspetto cubista.
Pierre Castignola ragiona sul principio del copyright ed esamina il difficile rapporto tra la legge sui brevetti e la libertà di creare. Secondo il designer, i creativi sono limitati dal diritto d’autore, per la maggior parte di proprietà delle grandi aziende, reclamando così la libertà degli artisti.
Selezionando anche altri oggetti di uso quotidiano e inserendoli nei propri progetti, Castignola idea design critici che uniscono la quotidianità alla ricerca.




L’attenzione che Pierre riserva alla semiotica e alla simbologia è resa esplicita nella scelta della sedia in plastica, che suscita nel pubblico una sensazione nostalgica, colpendo il nostro bacino di ricordi. Lo spettatore riconosce immediatamente la forma e la interpreta facilmente grazie alla vicinanza emotiva che l’oggetto evoca.
Tra i diversi ricordi, non può mancare quello della sedia scheggiata o senza una gamba, rotta o crepata che, senza esitare, veniva buttata per poi essere sostituita. L’aspetto precario e fragile è posto in luce da Castignola, che realizza i suoi pezzi attraverso l’uso di elementi che appaiono come rotti, poi uniti tra loro da grosse viti. Le opere assumono una forma quasi robotica, meccanica, che proietta l’archetipo moderno nel futuro. In questo modo, il designer olandese riesce ad attivare l’attenzione sul consumismo e sulle sue conseguenze, sottolineando la necessità di avvicinarsi alle pratiche di riuso che, attraverso l’arte e la creatività, possono assumere sfumature stimolanti.





