Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Inoki sul suo nuovo album “Medioego”. Inutile dirvi chi è, cosa ha fatto o cosa rappresenti per la scena italiana, dovreste già saperlo.
L’intenzione è di partire non di arrivare.
18 tracce, 4 feat, 9 produttori. “Medioego” è il suo ritorno a sei anni abbondanti dal precedente lavoro. Un ritorno in grande stile per un artista “che viene da giù, dal basso, da dove si suda ogni pasto” e ora è pronto a partire e prendersi tutto ciò che gli spetta.
“Medioego” non rappresenta solo un periodo storico, ma il nostro stato d’animo. È il modo in cui esistiamo oggi. Questo disco non presenta la soluzione, come potrebbe? Cerca però di indicare il problema e invitare tutti a lavorare insieme, verso un miglioramento che speriamo sia ancora possibile.

L’intenzione è quella di avere un sound del 2023 non del 2021, nuovo e all’avanguardia.
Fabiano Ballarin, classe 1979, non è ripartito dalle parole se non da quelle che si incastrano sul beat e l’ha fatto in modo oculato, con un progetto strutturato e ricercato.
Un viaggio lungo 55 minuti che segna appunto una partenza, ma anche una nuova scoperta, quella di un Inoki 3.0, voglioso di sperimentare, sporcarsi le mani e uscire da questo lungo silenzio durato anni.
Un album che mette a confronto diverse generazioni, che rimette tutto al proprio posto, dove Inoki si mette a nudo mettendo dentro tutto sé stesso.
Adesso lasciamo spazio alle sue parole, nell’intervista che ha rilasciato in esclusiva per Collater.al Mag.
Partiamo dall’inizio, per così dire. Medioego, il tuo nuovo album segna il tuo ritorno nel panorama musicale. Una parola composta, una con un’accezione storica l’altra invece più personale, come mai hai scelto questo titolo?
In certi momenti, in questo anno, mi sono sentito di vivere nel Medioevo, quindi con questa parola volevo raccontare appunto quello che sto vivendo io. Medioego invece è quello che stiamo diventando, nella voglia di riscattarci individualmente ma poi alla fine ci ritroviamo ad essere tutti uguali nella povertà mentale e culturale.
Guardando tutta la tua discografia una delle tue caratteristiche è senza dubbio quella di fare un album con molte tracce. Soprattutto per il genere che fai tu, oggi siamo abituati a standard diversi, poche tracce, molti feat, possiamo dire che con quest’album sei andato come sempre controcorrente?
Sì sì assolutamente, sono sempre andato controcorrente, non faccio un album all’anno, motivo per cui mi sembra giusto poi farlo molto molto pieno.
Di tracce ne avevo molte di più, poi qualcosa l’abbiamo ovviamente scartata. Non sono stato molto produttivo quindi mi è sembrato giusto dare un po’ di ciccia alla gente che aspettava da tempo un mio disco. Comunque sì, sono un po’ come Colle Der Fomento, faccio un disco ogni tot di anni e giustamente non posso darti solo dieci tracce, cerco di dare sempre il più possibile.
Riallacciandoci appunto alla tua risposta, non sei solito pubblicare album di anno in anno, è un po’ un ritorno sulla scena per te, e nel frattempo, come dicevamo, la musica e il mercato sono cambiati, ma anche tu e il tuo modo di fare musica. Cosa significa per te quest’album?
Significa rimettere tutto dove merita di stare, significa dare valore al mio nome, al lavoro di tanti anni. Ma in particolare significa riuscire a far un lavoro strutturato, come si deve, discograficamente di alto livello. Significa ritornare dal basso per cercare di essere dove devo stare. Significa la voglia di essere un “pro”, lo sono sempre stato e lo voglio dimostrare.
Con “Medioego” infatti ti riprendi un po’ non quello che ti è stato tolto, ma quello che è mancato in tua assenza. È un disco completo, pieno di rime affilate, dove non risparmi nessuno e come sempre riesci a dire la tua, senza fronzoli, senza peli sulla lingua. Nella traccia “Hype” infatti c’è un passaggio controverso, una sorta di dissing verso Carl Brave?
No ma va’ (ride ndr), non è un dissing verso nessuno, è un troll, è più una presa in giro verso quei ragazzi che vanno ad un rave poi appunto tornano e ascoltano quel genere lì. In realtà è molto scherzosa quella traccia lì, più che altro è un prendere per il culo la gente che usa questi slang americani e tutte quelle robe lì. Anzi mi sta simpatico Carl Brave, apprezzo il suo lavoro, non c’è nessun dissing verso nessuno in questo album. È un album che cerca la pace con me stesso, con l’universo, con la musica e con tutto quello che c’è intorno.
Abbiamo detto e ripetuto che è un album bello corposo, dalla prima alla diciottesima traccia sembra esserci molto di te dentro, è così?
In quest’album, ma in realtà come in tutti i miei pezzi, c’è tutto me stesso, la mia persona, io faccio fatica a raccontare storie altrui o di scrivere cose che non mi appartengono o che non sento, sia a livello emotivo, che di sensazioni o di immagini. Quello che vedo dentro di me cerco sempre di trasmetterlo al mio pubblico, quindi sì c’è assolutamente tutto me stesso dentro come negli altri miei lavori.

Dentro Medioego troviamo 9 produttori diversi, è come se avessi fatto un viaggio su e giù per l’Italia. Sono tutti nomi importanti e pesanti senza dubbio nella scena di oggi, ma su tutti ti chiediamo com’è lavorare con Salmo? Siamo sicuramente abituati a vederlo in una veste diversa, però anche come produttore diciamo che sa il fatto suo.
Lui è un fenomeno del multitasking, fa pure il regista, fa qualsiasi cosa. È senza dubbio una macchina da guerra a livello creativo infatti mi sono trovato benissimo, tantissimi stimoli, spero di poterci lavorare ancora. Le sue produzioni tra l’altro sono riuscite a farmi tirare fuori dei flow che non ero mai riuscito a fare quindi top della gamma. Spero di lavorarci anche in altri rami visto che lui fa 200 mila cose, se lui avrà tempo mi piacerebbe sviluppare altre collaborazioni con lui.
Le produzioni di Salmo infatti sembrano essere un po’ più elettroniche, diverse da quelle cui siamo abituati a sentire. Hai ricercato tu questa nuova dimensione o è stato lui a instradarti verso questa direzione?
Lui mi ha mandato una decina di basi, io ne ho rappate circa cinque. Poi alla fine abbiamo scelto “Underground” e “Hype” perché erano quelle che senza dubbio giravano meglio. Ma ti dirò, in generale in tutto l’album a parte la traccia con Shocca (che è quella un po più old school) mi diverto a sperimentare le cose della nuova scuola. Io ho cercato di avere un sound “più nuovo” possibile, cercavo di avere un suono del 2023 non del 2021, l’intenzione era quella.
Alla fine le cose vecchie, old school le ho fatte, basta andare ad ascoltare i vecchi dischi, invece quelle nuove meno. In realtà voglio sperimentare ancora di più, per me questa deve essere una partenza non un arrivo, riuscire a sperimentare sempre di più e lavorare sempre con produttori diversi.
E a proposito di 2023, non a caso hai scelto Asian Fake, un’etichetta che è sempre avanti, sempre alla ricerca di un sound nuovo che porta sempre qualcosa che prima non c’era.
Sì assolutamente, sono all’avanguardia e cercano sempre cose nuove, le più assurde. L’influenza di Asian Fake è stata utile, poi sia io che loro cercavamo un Inoki 3.0 e la direzione in cui siamo andati è quella e credo che ci siamo riusciti abbastanza bene sia a livello visivo che a livello di sound.
Tra i quattro feat presenti nell’album c’è né sicuramente uno che ci ha colpito più di tutti, quello con Noemi. Di fatto perché “vivete” su mondi musicali non distanti ma diversi. Ma nonostante ciò siete riusciti comunque a contaminarvi e fondervi in una traccia unica, com’è nata questa atipica collaborazione?
La collaborazione è nata da una stima reciproca, io in realtà non sapevo che lei fosse una mia fan.
Quando l’ho saputo ho cominciato ad ascoltarla anche io, è un grande talento assolutamente e avevo bisogno anche di questo nel nuovo album. Con questa traccia volevo appunto aprire una finestra, con un tipo di rap più maturo, più pop. Questo è un po’ l’inizio di una strada che voglio assolutamente percorrere ed esplorare.
Siamo alle battute finali, ultimissima domanda, giusto per chiudere in bellezza con un classicone! Quali le sono le aspettative e gli obiettivi di questo Inoki 3.0, come ti sei definito tu stesso, e soprattutto nel futuro cosa combinerai, ci puoi dire qualcosa?
L’intenzione, visto che siamo ormai partiti, è quella di andare avanti e proiettarmi subito su un altro lavoro e farlo ancora meglio di questo. Come ti ho detto l’intenzione è di partire non di arrivare.
Cover: Andrea Carveni