Sono sempre stato affascinato dalla polvere, mi piace guardarla in controluce muoversi nellaria, accumularsi sopra i mobili e sopra i miei CD. Mi sorprendono sempre i piccoli pezzi di fibre, gli scarti industriali, gli elementi organici quando si depositano in piccoli composizioni che diventano batuffoli di materiali diversi, prima di passare lo Swiffer.
Non sono il solo ad esserne affascinato, il fotografo austriaco Klaus Pichler, per esempio, si è specializzato in scatti molto particolari, una delle sue iniziative più serie e affascinanti è un campionario fotografico di polvere e detriti.
I suoi bellissimi scatti immortalano la transitorietà dei materiali, la bellezza degli scarti, la sostanza effimera delle cose.
Negli ultimi due anni Pichler è andato alla ricerca di cumuli di polvere, lanugini e sporcizia in vari luoghi di Vienna e dei suoi dintorni, tra centri commerciali, sartorie, fabbriche, campi di calcio e ambulatori medici ha raccolto i suoi campioni.
In Dust la polvere viene presentata come prodotto della civiltà, il nemico di una società sterile, una presenza costante negli angoli nascosti, dietro i mobili, sotto i divani, nei pertugi.
Klaus ci presenta un microcosmo composto da più componenti, una combinazione di colori, texture e materiali diversi, una struttura che nasce e si riproduce simile nella forma.
Ogni batuffolo di polvere è diverso, ogni spazio, ogni luogo produce un tipo di polvere che è unica nel suo genere, a seconda della natura, dei materiali e degli oggetti che lo compongono e a secondo del suo uso individuale.