PRO-Keds, ‘born for sport, shaped by the streets’

PRO-Keds, ‘born for sport, shaped by the streets’

Andrea Tuzio · 2 anni fa · Style

PRO-Keds è uno dei brand fondatori della storia della sneaker culture newyorkese, un marchio con una legacy unica e una delle più longeve aziende americane che ha lanciato la sua linea sportiva nel 1949.

Un vero e proprio fenomeno di culto che negli anni ’70 ha scavalcato i confini delle palestre e dei campi da basket per diventare uno statement, un segno distintivo di stile. 

Come dicevamo all’inizio, siamo nel 1949 e nonostante il ricordo bellico sia ancora impresso nella mente di tutti, negli Stati Uniti un senso di ottimismo inizia a farsi strada tra le anime delle persone nelle città, nei luoghi di ritrovo e nelle aziende. All’epoca le scarpe per l’attività sportiva non erano una priorità ma qualcosa stava cambiando, nell’aria c’era voglia di novità. 

Proprio partendo da queste sensazioni comuni che nasce la collezione PRO-Keds con il modello Royal pensato appositamente per il basket, sport che a quei tempi rispecchiava esattamente il sentiment del tempo perché era l’esemplificazione sportiva del cambio di passo dell’intera cultura americana. 

Fu una vera e propria leggenda del gioco a presentare al mondo la Royal e la collezione PRO-Keds, stiamo parlando di George Mikan, uno dei pionieri del basket e uno dei giocatori più dominanti della storia della NBA. Mikan, con il suo iconico numero 99 portò i suoi Minneapolis Lakers a vincere ben cinque titoli fino al 1960, quando poi la franchigia si spostò a Los Angeles, dove è tuttora. A causa del dominio del giocatore dei Lakers, la NBA fu costretta a raddoppiare le dimensioni dell’area dei tre secondi per tenere Mikan il più possibile lontano dal ferro a causa della sua predominanza sugli altri lunghi della lega, celeberrima fu la scritta esposta all’esterno del Madison Square Garden di New York, che presentava la partita in programma quel giorno: “I New York Knickerbockers contro George Mikan”, proprio a testimoniare il suo strapotere sul parquet.

Nel 1950 è stato dichiarato il miglior giocatore della storia della pallacanestro ed è l’unico vincitore di 7 anelli totali nelle 3 leghe che hanno scritto la storia della pallacanestro professionistica americana (NBL 1947 Chicago Gears – 1948 Minneapolis Lakers, BAA 1949 Minneapolis Lakers, NBA 1950 e 1952-1954 Minneapolis Lakers).
Da quel momento in poi, grazie anche al numero 99 dei Lakers, queste semplici e minimali sneaker americane sono diventate un fenomeno di culto assoluto.

Nel corso degli anni ’70 poi, PRO-Keds diventa sinonimo di scarpa sportiva in america e alcuni dei più grandi giocatori della storia della pallacanestro ne indosseranno un paio: Nate “Tiny” Archibald, campione NBA con in Boston Celtics nel 1981; Joseph Henry “Jo Jo” White, scomparso nel 2018, due volte campione NBA con i Celtics (1974, 1976) e membro della Hall of Fame dal 2015; Pete “Pistol” Maravich, forse il più incredibile e spettacolare giocatore ad aver mai calcato un parquet. L’unico giocatore non presente, perché scomparso poco tempo prima giocando a basket e rappresentato in quell’occasione dai suoi due figli, quando la NBA celebrò i suoi primi 50 anni votando i 50 migliori giocatori di ogni tempo in relazione a quel periodo, durante l’All-Star Game di Cleveland nel 1997, Maravich ha rappresentato l’amore puro per la palla da basket e ha giocato una pallacanestro che non si era mai vista prima e che per certi versi non si vedrà mai più. “Pistol” se n’è andato con la palla in mano, esattamente come era cresciuto. 

Grazie al loro stile senza tempo, semplice e pulito le sneaker PRO-Keds sono riuscite a trascendere la loro funzione primigenia di scarpe per i professionisti del basket e sono diventate un’uniforme della street culture della New York degli anni ’70 e ’80. Il primo passo come abbiamo visto lo segna la Royal ma l’affermazione vera arriva con la 69er che diventa un autentico fenomeno fashion. Eleganti e raffinate, rappresentano un’epoca in cui l’autenticità e ciò che conta. PRO-Keds nasce infatti per mettere in discussione le scelte mainstream dell’epoca grazie al suo stile timeless.

Oggi il marchio si impegna a mantenere quella stessa autenticità che l’ha reso una vera e propria icona culturale proponendo versioni aggiornate dei modelli che hanno fatto la storia del basket e della sneaker culture americana. 

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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Photography
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Ciò che viene nascosto
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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 9 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda
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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 5 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Selezione di Andrés Juan Suarez

Cinque foto scattate al momento giusto
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