Tre fotografi alla scoperta di piccole comunità lontane

Tre fotografi alla scoperta di piccole comunità lontane

Giorgia Massari · 2 mesi fa · Photography

Un viaggio sociale per conoscere piccole e particolari comunità lontane è ciò che accomuna i fotografi Carlo Bevilacqua, Keila Guilarte e Gianluigi Di Napoli. In tre momenti diversi e in autonomia, i tre fotografi entrano in contatto con piccoli gruppi di persone che vivono in realtà a noi sconosciute, uniti dalla voglia di narrare racconti di società e territori distanti. Con tre sguardi differenti, il risultato è un resoconto di narrazione interculturale, un’immagine etica che indaga la dimensione sociale e le sue identità. I tre progetti convergono e dialogano nella mostra fotografica EVERYBODY TALKS, a cura di Patrizia Madau e aperta fino al 31 ottobre da Galleria Lampo a Milano (Scalo Farini). Ma scopriamo di più su questi progetti e sulle comunità che i tre fotografi hanno incontrato.

Carlo Bevilacqua, Randy Manuel

Le comunità alternative scattate da Carlo Bevilacqua

Carlo Bevilacqua, fotografo noto per la sua indagine socio-antropologica, presenta una selezione di scatti tratti dai suoi progetti degli ultimi cinque anni in varie parti del mondo. Questi progetti si sono poi concretizzati in due meravigliosi libri fotografici: Utopia, dreaming the impossible e Into the silence, Eremiti del terzo millennio. Il lavoro di Bevilacqua esplora le comunità utopiche contemporanee in tutto il mondo, concentrandosi su comunità alternative, spirituali, artistiche, hippie ed ambientaliste. Cerca di definire il significato di “utopia” nell’era attuale e documenta come queste comunità abbiano affrontato la pressione della cultura dominante. Un altro tema importante nel suo lavoro è la narrazione delle comunità Queer, particolarmente rilevante in India, Messico e tra i Nativi nordamericani.

Keila Guilarte, Domino La Habana

Un viaggio tra il Marocco e Cuba di Keila Guilarte

Le fotografie di Keila Guilarte provengono da un reportage visivo realizzato tra Cuba e il Marocco dal 2017 a oggi. Guilarte, che ha sempre esplorato l’identità e l’appartenenza sociale, presenta immagini artistiche che catturano la vita quotidiana e la bellezza delle persone e dei luoghi nelle comunità Maghreb. Le luci, i colori e le ombre sono protagonisti di questi scatti che raccontano l’identità di un popolo. Allo stesso tempo, ci sono immagini che ritraggono la vita cubana, legate alla memoria fotografica e all’infanzia dell’artista. Le fotografie in mostra – parte di Mi Tierra, il suo primo libro – conducono discretamente lo spettatore nell’intimità quotidiana della comunità cubana e nell’inesauribile energia della sua gente, che conserva la sua identità nonostante il profondo e doloroso cambiamento culturale. 

Gianluigi Di Napoli, Cirque Du Soleil

Il mondo circense visto con gli occhi di Gianluigi Di Napoli

Gianluigi Di Napoli cattura l’autenticità del mondo circense in un intenso viaggio visivo sotto il grande tendone, noto come lo chapiteau. Le sue fotografie raccontano il rituale dello spettacolo e l’importanza dell’identità del corpo nella comunità circense. Il circo è un mondo con una forte identità e appartenenza, in cui gli artisti condividono spazi, gergo, emozioni e ricordi comuni. L’artista ha lavorato su questa tematica per oltre dieci anni, risultando in libri fotografici come Circus Life – Everynight, all around the World e A Poet in Action, David Larible. Nel suo ultimo progetto, Nel cuore di Saltimbanco. Viaggio sotto la pelle del Cirque du Soleil, documenta l’evoluzione del circo tradizionale e l’ingresso spettacolare degli artisti nel mondo del Cirque du Soleil.

Carlo Bevilacqua, Victor in his house wearing traditional clothes
Keila Guilarte
Keila Guilarte
Gianluigi Di Napoli
Gianluigi Di Napoli

La mostra è realizzata da Tallulah Studio Art in collaborazione con Associazione Formidabile e Galleria Lampo.

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L’arte elegante ed erotica della fotografa Calypso Mahieu

L’arte elegante ed erotica della fotografa Calypso Mahieu

Collater.al Contributors · 2 mesi fa · Photography

Calypso Mahieu, classe 1993, è una giovane artista parigina che dopo aver conseguito la laurea in Visual Communication presso l’ECAL University, lavora come fotografa freelancer tra Francia e Svizzera.

Scopre l’arte della fotografia per la prima volta attraverso riviste di moda femminili ma ciò che l’affascina veramente sono la luce e i corpi. È la luce, infatti, a diventare, scatto dopo scatto, l’arma segreta del suo lavoro e la nudità e l’erotismo, un tempo solo influenze esterne, si rivelano essenziali per la sua estetica. 

Calypso dice di trovare ispirazione nella quotidianità, a volte da un dettaglio in un film, in un’immagine o addirittura in strada. Le sue fotografie sono ispirate al suo modo di vivere e a ciò che più le piace, ovvero la luce, quella del cinema, quella romantica del tramonto del sud della Francia, ma anche quella della scrivania, sempre avvolta da un’atmosfera retrò.

Abbiamo selezionato di seguito le immagini che più rappresentano lei e la sua arte, ma se avete voglia di scoprire di più basta passare da qui.

Testo di Giordana Bonanno

L’arte elegante ed erotica della fotografa Calypso Mahieu
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La gioventù bruciata di Federico Hurth

La gioventù bruciata di Federico Hurth

Giorgia Massari · 2 mesi fa · Photography

In un’epoca caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di immagini digitali, selfie e l’ampio utilizzo di filtri che alterano la percezione del mondo contemporaneo, il fotografo Federico Hurth cattura un autentico ritratto della gioventù, ma quella bruciata. Il suo progetto, dal titolo Wasted Youth, è un vero e proprio reportage, o come lo definisce lo stesso Federico, «un diario fotografico personale nel quale raccolgo immagini istantanee di momenti di spensieratezza». I suoi scatti, rigorosamente in analogica, ritraggono volti, corpi, situazioni, sempre seguendo «un’estetica dannata, modaiola, artistica, musicale.» Negli scatti di Federico Hurth emerge la malinconia e la ribellione interiore di una generazione. Alcuni degli scatti del progetto, che Federico porta avanti dal 2021, saranno esposti alla Galleria Doppia V di Lugano dal 20 ottobre fino al 17 novembre, in una mostra a cura di Francesca Bernasconi.

Le fotografie di Federico Hurth sono prive di qualsiasi manipolazione post-produzione, «se la foto ha un difetto, la tengo così. Proprio per iconicizzare al massimo l’autenticità del momento.» ci racconta il fotografo. Wasted Youth offre uno sguardo su frammenti di esistenze giovanili vissute intensamente ma, allo stesso tempo, in un modo che può sembrare “sprecato,” in sintonia con il titolo del suo progetto. L’estetica, che oscilla tra il luccichio del glamour e l’oscurità del degrado, manifesta la complessità e l’incertezza che il contesto contemporaneo offre ai giovani, in balia di una precarietà incombente.

In conclusione, citando le parole della curatrice Francesca Bernasconi, «Le fotografie di Federico Hurth sono contraddistinte da un’immediatezza intrigante e da una ricerca formale istintiva e decisa, fortemente legata all’estetica rivoluzionaria affermatasi nel corso degli anni Novanta grazie al lavoro di una generazione di fotografi che sovente, come Hurth, si muoveva a cavallo tra il mondo della moda e quello delle scene artistiche alternative

Courtesy Federico Hurth

La gioventù bruciata di Federico Hurth
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L’Africa di Daniel Obasi per il nuovo Calendario Lavazza

L’Africa di Daniel Obasi per il nuovo Calendario Lavazza

Collater.al Contributors · 2 mesi fa · Photography

Siamo stati alla presentazione del nuovo calendario Lavazza, un progetto che ci permette di entrare nel cuore di un’Africa inedita: luoghi ricolmi di energia, sperimentazione e una spinta verso il futuro incoraggiata dalla sua cultura e dalle sfaccettature che caratterizzano le diverse comunità che la abitano. Sono tre i fotografi coinvolti per la realizzazione del calendario di quest’anno, Thandiwe Muriu dal Kenya, Aart Verrips dal Sudafrica e l’ultimo, Daniel Obasi, che abbiamo deciso di intervistare. Rimane forte il tema dell’Africa come terra di origine del caffè, legata alla Fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza Onlus – nata nel 2004 – ad oggi presente in trentatrè progetti in tre continenti. Di origini nigeriane e forte del suo approccio olistico alla fotografia, Daniel Obasi è un creativo in grado di mettere insieme fashion styling, cinema, fotografia e art direction ricreando suggestioni tipicamente africane interessantissime. Per questo abbiamo deciso di intervistarlo.

Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Ho iniziato a fotografare perché provengo da un background di design e per un periodo mi sono anche occupato di fashion styling. È quello il momento in cui mi sono avvicinato alla fotografia. In più, avevo anche occhio per certi soggetti e la pratica fotografica mi attirava in un modo diverso. Lavorare con altre persone spesso mi è risultava complicato, quindi ho deciso di imparare a scattare foto da solo in modo da poter condividere con il mondo quella che era esattamente la mia visione. Per me è più un concetto e un’idea: questo è il fulcro del mio approccio olistico alla creatività.

Come riesci a conciliare art direction, fotografia di moda e la tua attività come regista?
Trattando ogni pratica in modo molto olistico, pensando a queste come una sola, è più facile destreggiarsi. Non penso troppo a queste come componenti diverse, ma piuttosto mi concentro sull’obiettivo finale.

Come applichi l’Afrocentrismo alla fotografia di moda? Si può dire che agisce come veicolo principale per la diffusione di un messaggio di inclusione e valorizzazione culturale?
Assolutamente. Il concetto di Afrocentrismo e la fotografia vanno di pari passo e in questo contesto riusciamo anche a riconoscere la moda come forma d’arte. In più, è possibile riconoscere quanto sia tutto legato a un certo background culturale. C’è anche un altro aspetto che porta un po’ della tua storia. Ovviamente questo non è quello che serve ogni volta in ogni scatto, ma in alcuni casi ti dà una buona idea del processo dietro alle fotografie che scatto.

Come hai accettato la commissione per questo calendario per conto di Lavazza?
In un giorno qualunque ho ricevuto l’e-mail dal team di Lavazza. Ho aspettato una settimana e poi ho deciso di proporre il concetto del lavorare insieme, dell’unità. Tutto è nato dalle foto che ritraevano i ragazzi insieme sulla spiaggia. Sono un grande fan della semplicità e a volte le immagini più sorprendenti nascono dalle idee più semplici. Ad esempio, queste immagini che portano al centro questo tema sono secondo me le più potenti, perché sotto tutti quegli strati trapela la semplice idea di lavorare come uno.

Quali sono le tue principali fonti d’ispirazione nella fotografia, nel cinema o nella moda?
La mia ispirazione cambia sempre a seconda di dove mi trovo. Al momento mi sto interessando più all’architettura e alla composizione, quindi sto cercando di migliorare il modo in cui uso lo spazio. Sto studiando il Bauhaus, l’architettura gotica e il movimento. Inoltre, anche la coreografia e la danza contemporanea – in realtà ogni forma di danza – sono una grande fonte di ispirazione per me. Anche l’amore, l’idea di essere amato, di perdere l’amore e di essere innamorato mi interessa molto in questo momento.

L’Africa di Daniel Obasi per il nuovo Calendario Lavazza
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I ritratti emotivi di Baran

I ritratti emotivi di Baran

Collater.al Contributors · 2 mesi fa · Photography

Click when words fail è il nome che la fotografa Baran utilizza sui social e sul suo sito. Questa frase dice molto di lei e della sua ricerca. Le parole spesso non sono in grado di restituire un’emozione, di comunicare un sentimento o di esprimerlo nei giusti termini. Una fotografia invece sì, può farlo. Questo accade per Mah (Baran) Mohammadasghari, una giovane fotografa iraniana immigrata in Canada, che inizia a fotografare come atto terapeutico. Le sue fotografie, pubblicate anche su Photo Vogue, sono un autentico ritratto emotivo e personale. La sua storia e il suo dolore si riflettono in ogni scatto, che sia un autoritratto o una foto in strada. «Immagino le mie emozioni e le storie in modo fotografico» afferma Baran che con le sue fotografie è in grado di trasmettere vulnerabilità e fragilità umana.

Sotto ogni post di Baran, la fotografa lascia una descrizione sempre toccante. Un racconto visivo e narrativo di un’emozione e lo fa in modo del tutto intimo e senza filtri. Abbiamo avuto il piacere di parlare con lei in occasione della mostra Collater.al Photography tenutasi lo scorso settembre alla Fondazione Matalon di Milano. Il racconto che comunica con lo scatto in mostra è emblematico della sua ricerca fotografica. «Questo scatto fa parte di un progetto di autoritratti dal titolo Bereavement, che ho iniziato dopo la morte di mia madre, cinque mesi fa. In questa foto sono con la mia gatta, Toranj, che è con me da 14 anni.» ci racconta Baran, «L’ho adottata quando ero in Iran e anche lei è immigrata in Canada con me. Trascorriamo tanto tempo insieme, come in questa foto, soprattutto quando non mi sento bene emotivamente e lei lo capisce perfettamente e sta con me quanto voglio.» La perdita della madre e il dolore conseguito sono ricorrenti negli scatti di Baran, come in my mom is back as a bird – lo scatto pubblicato da Vogue – che racconta il momento in cui “ha visto sua madre volare via dalla finestra”. « I saw her flying out of the window…forever…and I died…forever…It was 3 AM or 2 AM…I do not really recall…two days ago …or three …well feels like…2 million years ago in my scattered heart…»

Scatto in mostra a Collater.al Photography 2023
 
 
 
 
 
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Courtesy Baran

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