Calendario Lavazza 2021: la nostra intervista a Martin Schoeller

Calendario Lavazza 2021: la nostra intervista a Martin Schoeller

Giulia Guido · 2 anni fa · Photography

Mai come oggi ci affidiamo agli occhi. Li guardiamo appena sopra le mascherine che ci coprono il viso o attraverso gli schermi dei nostri computer. Ed è proprio sugli occhi che si è focalizzato Martin Schoeller, fotografo conosciuto per i suoi primi piani estremamente ravvicinati e uno dei protagonisti chiamati da Lavazza per la realizzazione del Calendario Lavazza 2021.

Anche quest’anno l’azienda italiana torna la ventunesima edizione del suo calendario che continua a sviluppare un tema nato durante il lockdown: The New Humanity.
In un momento di incertezza come quello che stiamo ancora vivendo, Lavazza si fa portavoce di un messaggio di speranza per un futuro migliore fondato su una nuova umanità

Questo tema, che prende spunto dal discorso di Charlie Chaplin nel finale de “Il Grande Dittatore”, è stato declinato da Lavazza prima nella campagna “Good Morning Humanity” uscita a maggio, poi nel progetto di land art Beyond Walls – Oltre i muri di Saype e ora con il Calendario 2021 e un magazine abbinato. 


Christy Lee Rogers – Calendario Lavazza 2021

Per il Calendario Lavazza 2021, 13 fotografi di fama internazionale – Christy Lee Rogers, Denis Rouvre, Carolyn Drake, Steve McCurry, Charlie Davoli, Ami Vitale, Martha Cooper, David LaChapelle, Martin Schoeller, Joey L., Eugenio Recuenco, Simone Bramante e TOILETPAPER – sono stati chiamati a dare la loro personale interpretazione del concetto di nuova umanità, concetto che viene ripreso nel magazine abbinato e analizzato da 6 personalità del mondo della cultura, della musica e dell’arte scelti come ambassador di questo progetto: Carlo Ratti, Stella Jean, Alessandro Baricco, Kiera Chaplin, Patti Smith e Inger Ashing

Il Calendario 2021 verrà svelato oggi, alle ore 18 sul sito di Lavazza in un evento che vedrà come protagonisti Pierfrancesco Favino e Brunori Sas e grazie alla ventennale collaborazione con Save The Children, insieme alla vendita delle 1.000 copie, le singole fotografie originali presenti al suo interno saranno all’asta fino al 26 novembre. Il ricavato andrà a sostenere il progetto New Horizons che ha l’obiettivo di aiutare i giovani ragazzi di Calcutta. 

In occasione della presentazione del Calendario Lavazza 2021, noi di Collater.al abbiamo fatto due chiacchiere con uno dei fotografi protagonisti di questo progetto, Martin Schoeller. Non perderti la nostra intervista qui sotto!

Martin Schoeller – Calendario Lavazza 2021

Perché i ritratti? Quale aspetto delle persone ti affascina e vuoi raccontare? Ci sono dei tipi di persone che ti intrigano più di altre?

Beh, quando ho iniziato a lavorare come fotografo pensavo di poter essere anche un fotografo di moda, poi però ho capito che non mi interessavano i vestiti e come fotografo di moda bisogna almeno avere una passione per i vestiti. Così sono finito a focalizzarmi su lavori che includessero soprattutto ritratti. Beh, ora è quello che faccio da venticinque anni, i ritratti fotografici. 
Così sono finito per essere conosciuto per i miei Close Up, dove tutto è incentrato sulla persona, sull’espressione e c’è un approccio antropologico alla fotografia, quasi documentaristico. 
In questo periodo ho fotografato diversi tipi di volti, dai presidenti ai senzatetto, volti che rappresentano un’ampia fetta della società ed è curioso vedere come appariranno tra cinquant’anni, notare come i volti evolvono nel tempo. Ad esempio, se guardi delle vecchie foto degli anni ’20 abbiamo la sensazione che le persone avessero un aspetto diverso dal nostro. 
Questo è l’aspetto che amo di più del mio lavoro, che lo rende duraturo nel tempo, senza tempo. Non è moderno, non è vecchio, è lo stesso, sempre.  

Alcuni tuoi scatti sono al limite tra il divertente e il surreale, mi vengono in mente ad esempio la foto di Steve Carrell con lo scotch o quello con Christian Bale col sangue. Come nascono le idee? Le pensi in base al soggetto o in generale?

Sai, facendo i miei Close Up in pratica facevo sempre la stessa cosa, risultando a volte un po’ noiosa. Così ho iniziato a pensare in modo più concettuale, lavorando anche sulle immagini, sugli allestimenti, sull’ambiente circostante, pensando alla costruzione di set, alla presenza di animali. Sono scatti molto difficili da realizzare perché devono far emergere il ruolo della persona che stai fotografando. E poi bisogna convincere gli agenti e la persona che devi fotografare. 
Ho avuto la fortuna di poterli fare e mi sono divertito molto a scattarli, ma ultimamente sta diventando quasi impossibile perchè le riviste non hanno più i soldi da investire in questo tipo di allestimenti così elaborati, e gli agenti sono diventati sempre più influenti e potenti e non approvano più nulla. È per questo che ora si vedono così tante fotografie noiose sulle riviste. 

Sei uno dei 13 fotografi selezionato da Lavazza per il Calendario 2021, ma non è la prima volta che collabori con Lavazza. Nel 2014 hai realizzato la serie “Inspiring Chefs”. Raccontaci come è stata quella esperienza. 

Oh, è stato davvero divertente fotografare il Calendario Lavazza con gli chef. Intanto, a me piace molto cucinare, e ancor di più mangiare. Poi, gli chef sono un ottimo soggetto perché utilizzano le mani per fare qualcosa concretamente. Si può giocare con il cibo con cui lavorano, con l’idea di ristorante, con l’idea del servizio e con elementi come le fiamme, il fuoco, l’acqua. Ci sono davvero tante cose che si possono fare e tante idee da poter sviluppare. 
Per questo per me si sono rivelato un ottimo soggetto su cui lavorare e poi, avere la possibilità di incontrare alcuni dei più grandi chef del mondo e farli posare per le mie foto e fargli realizzare alcune pazze idee, e tutto questo nella zona di Milano e in Francia, incorniciato da questi luoghi bellissimi, mangiando sempre cibo eccellente. 
È stato così divertente, in assoluto il lavoro più divertente che abbia mai fatto.

Questa è una cosa rara!

Beh sai, questo grazie a Lavazza che è un grande marchio e mi piace come Francesca e suo fratello gestiscono la compagnia, il modo in cui hanno a cuore ciò che fanno e come cercano di fare la cosa giusta per chiunque sia coinvolto nella produzione. Quando hai la possibilità di lavorare per un marchio che ti piace è ancora meglio.

Invece, per il Calendario 2021, il tema è The New Humanity. Come è stato collaborare nuovamente con Lavazza e come hai deciso di affrontare e interpretare questo argomento?

I Close Up che ho realizzato li ho fatti cercando di esplorare l’umanità e di capire cosa si può realmente vedere nel volto di una persona e cosa il volto rivela di quella persona. È per questo che i momenti che cerco di catturare sono quello non impostati, quelli naturali e fatti di espressioni involontarie, perché l’umanità si rivela quando non è in posa. 
Per la realizzazione di questo Calendario Lavazza indossavamo tutti la mascherina e ho pensato che ora, come mai prima, ci guardiamo negli occhi per creare un legame con le persone. 
Normalmente se parliamo con qualcuno guardiamo molto la bocca e per comprendere meglio a volte ci aiutiamo leggendo il labiale. Ora, con la mascherina abbiamo un modo di comunicare totalmente diverso. Allora mi sono detto :“Perché non esplorare gli occhi?”.
E alla fine sai, gli occhi sono tutti molto diversi, c’è una così ampia gamma di tipi di occhi, ma sono anche sempre uguale. Abbiamo tutti gli stessi occhi. 

Quando penso a delle fotografie emblematiche mi vengono in mente scatti legati a processi momenti o avvenimenti storici ed epocali come The Falling Man o Tank Man scattata in piazza Tienammen. Secondo te oggi, in un momento in cui siamo sommersi di immagini, è più importante il soggetto o la storia dietro al soggetto? Ha più importanza ciò che una foto mostra o ciò che non vediamo?

Interessante! Penso che ogni persona possa vedere cose diverse nella stessa foto. A volte le foto possono essere il riflesso della persona che lo sta guardando. Sì, questa è la mia risposta. 

Se dovessi rappresentare in uno scatto l’America del 2020 chi sceglieresti di  fotografare?

Beh, tra poco forse scopriremo se Biden vincerà in Nevada e finalmente non dovremmo più guardare Trump, il che è fantastico, ma al tempo stesso penso che Trump abbia dominato questo secolo e, per quanto non mi piaccia, forse è lui che sceglierei. Se ci pensiamo bene il nostro presente “is all about Trump”, poi certo possiamo anche parlare di Obama, che rimane il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti… E il Papa, soprattutto con le cose incredibili che sta facendo ultimamente. 
Ecco, sono loro i volti e le voci più dominanti oggi. 
Però, se dovessi sceglierne solo una, visto che Trump e Obama gli ho già fotografati, direi il Papa.

Calendario Lavazza 2021: la nostra intervista a Martin Schoeller
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Isabella Ståhl è tornata a Nord

Isabella Ståhl è tornata a Nord

Tommaso Berra · 3 giorni fa · Photography

Isabella Ståhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia.
Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.

Isabella Ståhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Isabella Ståhl | Collater.al
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Isabella Ståhl è tornata a Nord
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 2 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 2 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
Diego Dominici e il velo di Maya
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Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale

Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale

Laura Tota · 5 giorni fa · Photography

Il 21 marzo, in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, dialogica vuole indagare la capacità delle immagini di contribuire, attraverso un’azione di alfabetizzazione visuale interculturale, all’abbattimento dei preconcetti legati ai fenomeni della migrazione o della diversità culturale.
Da quando a cavallo degli anni ’60 e ’70 Gordon Parks ha iniziato a raccontare con dignità e sensibilità la povertà, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione vissute dagli afroamericani negli Stati Uniti, una nuova modalità narrativa ha affiancato il fotogiornalismo d’assalto, contribuendo a delineare una nuova iconografia capace di restituire una visione de-colonizzata, più realistica e meno stereotipata della figura del migrante o, più in generale, delle comunità nere. All’approccio puramente documentaristico le nuove generazioni di autori che lavorano con le immagini preferiscono un’indagine che si focalizzi più sul territorio in cui vivono, ricorrendo a linguaggi più ricercati o che approfondiscono le implicazioni sociali del fenomeno della migrazione.

Il lavoro “Nowhere Near” dell’autrice Alisa Martynova si concentra proprio sulla necessità di restituire un’identità peculiare all’erroneamente monolitica visione del migrante. Alisa ricorre a metafore e similitudini per raccontare le testimonianze di giovani migranti, intervistati in Italia (e non solo) nell’arco di oltre tre anni. I gruppi di migranti, protagonisti di viaggi estenuanti, vengono metaforicamente paragonati a costellazioni di stelle fuggitive, ovvero corpi celesti intrappolati sul confine dei buchi neri, una sorta di limbo da cui possono sottrarsi sono grazie a uno scontro tra due buchi neri: un evento eccezionale che proietta le stelle lontane da un equilibrio precario per raggiungere destinazioni non note.

Così, il Sogno di una vita migliore, del raggiungimento di un Eldorado a lungo immaginato, ma mai realmente visualizzato, viene poeticamente reso attraverso scatti realizzati in notturna in cui la luce svela per qualche secondo ciò che è nascosto, mostrando tessuti e vestiti iconograficamente legati alla cultura afro/orientale, ma catturati in luoghi altri, in cui spesso è presente quel mare attraversato coraggiosamente per raggiungere una vita migliore, o il bosco/foresta in cui nascondersi per diventare fantasmi in terra straniera.

Un cortocircuito visivo che ribadisce l’insistere di una cultura altra in un territorio sconosciuto, ma che accende una riflessione sul mondo interiore dei migranti con l’intento di suscitare reazioni in chi guarda e sottolineare l’individualità e peculiarità di ogni soggetto ritratto, portatore di storie, vissuti e racconti unici e irripetibili.

Sul pericolo di un appiattimento culturale delle comunità di colore si concentra anche il progetto “Black skin white algorithms” dell’autrice di origini angolane Alice Marcelino. Alice, il cui lavoro esplora la dimensione dell’appartenenza a partire dai concetti di cultura, tradizione, migrazione e identità, denuncia le anomalie presenti nelle tecnologie di rilevamento facciale nel momento in cui queste interagiscono con soggetti di pelle nera. Essendo principalmente programmate dall’uomo occidentale per rilevare pelle chiara, queste tecnologie non individuano in maniera ugualmente accurata le tonalità di pelle più scura, restituendo visioni sommarie o approssimative dei soggetti riconosciuti.

L’idea di inferiorità viene perpetrata quindi non solo in pregiudizi sociali inconsci, ma è alimentata anche dalle tecnologie, programmate da mani bianche occidentali, con una conseguente fornitura di potenziali false dichiarazioni. A sottolineare questo livellamento, Alice sostituisce la foto segnaletica dei soggetti con l’equivalente traduzione in codice ASCII (un set di caratteri standard compreso da tutti i computer) – che ne riduce l’identità a un risultato binario, privo di significato e complessità: la lettura del volto viene così annullata totalmente e resa illeggibile sia dall’uomo che dal sistema di riconoscimento facciale.

Alisa Martynova | Collater.al
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Alice Marcelino | Collater.al
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Alice Marcelino | Collater.al
Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
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Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
Dialogica: due progetti sull’eliminazione della discriminazione razziale
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