L’Etna in eruzione fotografata da Emilio Messina

L’Etna in eruzione fotografata da Emilio Messina

Emanuele D'Angelo · 2 anni fa · Photography

Un tempo si supponeva che nei suoi meandri si nascondesse “il mondo dei morti” greco, “il Tartaro”. In una versione senza dubbio più romantica l’Etna sarebbe invece la figlia di due divinità, del cielo e della terra, Urano e Gea e la montagna rappresenterebbe quindi la fusione e il punto di raccordo tra il centro magmatico terrestre e l’azzurro celeste.

C’è anche chi sostiene che nel cuore pulsante della montagna si trovi Encelado, un gigante sconfitto da Atena e sepolto sotto un enorme cumulo di terra che divenne l’isola di Sicilia. Si racconta infatti che il suo corpo si trovi sotto l’isola ma con la testa e la bocca sotto l’Etna e che ogni suo grido di dolore corrisponda a un’eruzione.

Le eruzioni regolari della montagna l’hanno resa oggetto di grande interesse per la mitologia greca e romana. Ma sono numerose le vicende che si annoverano sul vulcano più attivo d’Europa che da giorni borbotta e sbuffa sopra il cielo di Catania a quasi 3000 metri dal mare.

Lapilli, parossismi e cenere, con queste tre parole potremmo riassumere gli ultimi giorni di sua maestà Etna. In questi giorni il vulcano continua a dare il meglio di sé, sotto lo sguardo attento dei suoi cittadini che lo osservano ammagliati.

Eruzioni che in poco tempo hanno fatto il giro del mondo, anche stanotte ha dato prova della sua potenza e della sua imponenza con getti alti oltre un chilometro.

Dal 2013 patrimonio dell’UNESCO, per i catanesi è un punto di riferimento, un modo di vivere, qualcosa di cui si ha solo rispetto e non paura, anche se nei secoli è capitato anche di dover fare i conti con questa potenza di fuoco, incantatrice quanto devastatrice.

Una potenza che quando erutta chiama tanti appassionati alla ricerca del momento perfetto da immortalare perché ogni eruzione è diversa ed è senza dubbio un evento unico.

E noi abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parole con l’autore di questi scatti, Emilio Messina, fotografo siciliano che ci ha spiegato le dinamiche, le tecniche e i movimenti del vulcano.

Non è facile fotografare eventi del genere, in primis bisogna essere sempre pronti a qualsiasi ora, lo dimostrano le ultime eruzioni arrivate in piena notte. Poi bisogna assolutamente conoscere dei posti strategici, dove poter immortalare al meglio il fenomeno.

Dinamiche e tecniche che non mancano di certo a Emilio Messina, che con la voce di chi ne ha viste parecchie mi racconta in una piacevole telefonata questi giorni turbolenti dal suo punto di vista.

Le foto sono un riassunto dell’attività di questi ultimi 6 giorni, sono infatti state scattate in diversi momenti. Un reportage di ogni inizio di eruzione, vista sempre da punti differenti da Zafferana a Viagrande.
Si inizia dalla prima potentissima esplosione il 16 febbraio, da quel giorno, puntuale quasi come un orologio svizzero, l’Etna ogni 32 ore ha dato prova della sua forza.

Diciamo un po’ che come nel famoso film del 1989 diretto da Peter Weir, “Carpe Diem”, bisogna saper cogliere l’attimo ed essere lì proprio al momento giusto. Un lavoro complesso, ci dici un po’ il tuo segreto, come si riesce ad incastonare in una foto quello spettacolo?

Io ero già lì appostato alle 6 del pomeriggio perché sapevo che qualcosa si stava per muovere grazie anche alla segnalazioni dei vulcanologi con cui siamo in contatto. Poi in generale seguendo i canali social dell’NGV o i bollettini sismici si vede che già da tempo l’Etna si stava preparando.
Da diverso tempo faccio anche la guida quindi ho avuto modo di approfondire i miei studi e saperne di più sulla montagna. Poi io tengo sempre tutto pronto, è anche questo il segreto. Dietro la porta di casa ho sempre delle schede di memoria vuote, cavalletto, batterie e macchina fotografica. Negli anni ho studiato diversi punti di vista da dove poter prendere il vulcano con dei contesti attorno. Chi è di Catania conosce la dimensione del vulcano. Però chi vede queste foto da fuori spesso non capisce la portata del singolo evento scientifico e allora io ho preferito fare spesso delle foto contestualizzate per questo motivo, per far capire bene l’ampiezza del vulcano e dei centri abitati che si trovano intorno e sotto e per far capire che noi siamo solo degli ospiti qui.

Invece entrando nella tecnica dello scatto, come si fa ad immortalare quelle colate spettacolari in tutta la loro lucentezza ed esplosività?

Ci sono diverse tecniche per scattare, personalmente negli anni quella che mi ha dato maggiori risultati è quella di realizzare diversi scatti a diverse esposizioni. Perché con un singolo scatto riuscire a beccare l’eruzione con le fontane di lava sia il buio intorno ai paesi con una singola foto è quasi impossibile. Io solitamente se nello scatto è presente anche il centro urbano faccio più fotografie, quasi 5, una tecnica conosciuta come bracketing per guadagnare più luci e ombre possibili.

Per finire, mettendo da parte l’Etna e le sue eruzioni, da catanese ci diresti cosa rappresenta per te il vulcano e come vivi questi fenomeni naturalistici?

Per me in generale come tutti i catanesi rappresenta un punto fermo, una colonna nella mia vita. Cosa vuol dire? Significa che quando nella mia vita ho viaggiato, mi è capitato di vedere altri paesi nel mondo, ti capita sempre che con lo sguardo cerchi l’Etna ma ovviamente non la vedi. È un meccanismo automatico, non te ne rendi nemmeno conto, all’inizio ovviamente poi quando ti abitui non ci fai più caso.
Questo significa per un catanese l’Etna, un punto di riferimento, come quei punti che un po’ tutti hanno nella vita, i genitori, i fratelli e sorelle o certi amici, l’Etna per me è questo, una presenza importante ed imponente.
Poi è ovvio che il vulcano bisogna conoscerlo per capire tutte le sue dinamiche, ogni fenomeno è diverso dall’altro e sicuramente dell’Etna bisogna avere rispetto e non paura. Una frase ripetuta spesso, significa che può fare eruzioni pazzesche come quelle che stiamo vedendo in cui non c’è pericolo. Però non dimentichiamo anche che l’Etna è capace di eruzioni laterali come quelle del 1669 dove la lava arrivò fino al cuore della città.
Insomma per sua natura l’Etna è distruttrice ma anche generatrice di vita, come la cenere e i lapilli caduti in questi giorni che sono una ricchezza per i suoli agricoli circostanti.

Photo credits: Emilio Messina

L’Etna in eruzione fotografata da Emilio Messina
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 4 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 4 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Isabella Ståhl è tornata a Nord

Isabella Ståhl è tornata a Nord

Tommaso Berra · 5 giorni fa · Photography

Isabella Ståhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia.
Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.

Isabella Ståhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Isabella Ståhl | Collater.al
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Isabella Ståhl è tornata a Nord
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La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy

La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy

Giorgia Massari · 6 giorni fa · Photography

Da un reel di Instagram del fotografo canadese Sean Mundy si intuisce la complessità delle sue opere fotografiche. I suoi non sono solo scatti ma piuttosto si può affermare che le sue opere siano il risultato di una grande immaginazione veicolata dalla fotografia, da abilità tecniche di post produzione digitale e dalla dettagliata costruzione scenografica. Nel reel infatti, il fotografo mostra il processo di realizzazione dell’opera Summoning che raffigura una serie di corpi precipitare da un’apertura nel soffitto. I personaggi “volanti” alla Magritte sono in realtà la stessa persona: il fotografo realizza molteplici autoscatti mentre si lancia su un materasso, simulando la caduta, per poi lavorarli digitalmente e creare la composizione. Il risultato è un lavoro concettuale e sorprendente, in cui l’armonia visiva accentua e veicola messaggi sociali, con un focus particolare sulle dinamiche di comportamento collettivo.

Sean Mundy | Collater.al

Ricorrente nelle opere di Sean Mundy è la figura di un uomo incappucciato di cui non è visibile il volto. L’abbigliamento total black che indossa lo rende una figura misteriosa, inquietante e tenebrosa, come se fosse un’ombra senz’anima. Molto spesso il personaggio in nero appare in maniera ripetuta nella stessa opera, creando un gruppo unito somigliante ad una setta, intento in azioni a tratti macabre. In alcune opere il gruppo è messo in opposizione ad un singolo, come nell’opera Elude del 2014, in cui le figure in nero inseguono un uomo in fuga, che si differenzia per l’abbigliamento da uomo comune, in jeans e t-shirt. In altre opere invece vengono eseguiti comportamenti rituali, ne è un esempio l’opera Idolatry che mostra il gruppo inginocchiato davanti ad un enorme cubo nero sospeso nell’aria. Questa serie di opere è un chiaro riferimento ai comportamenti sociali in cui il singolo non possiede una propria identità personale ma piuttosto emerge un’identità collettiva che spinge il singolo ad uniformarsi alla massa, sia dal punto di vista ideologico che estetico.
In altre serie il protagonista, solo o in gruppo, è messo in relazione ad elementi che dominano la composizione come il fuoco nella serie Barriers, paesaggi urbani distrutti in RUIN e teli rossi in Tethered, la serie più recente di Sean Mundy. L’intento rimane sempre quello di comunicare problematiche attuali, legate in particolar modo ai meccanismi psicologici umani indotti dall’esterno ma con evidenti ripercussioni intime.

Sean Mundy | Collater.al
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Courtesy by Sean Mundy
La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy
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