GAS unisce arte, musica e moda con un progetto coraggioso

GAS unisce arte, musica e moda con un progetto coraggioso

Andrea Tuzio · 2 anni fa · Art, Style

Purtroppo da più di un anno viviamo un momento storico di grande difficoltà, in particolare settori come la moda, la cultura e l’entertainment attraversano una crisi complessa e profonda. 
Oggi i “Makers” rappresentano quei talenti che spaziano dall’arte alla moda, dalla musica alla fotografia, sono coloro che si impegnano in ogni espressione creativa con in mente il desiderio di creare attorno a sé una vera comunità, perché soltanto uniti e sostenendoci gli uni con gli altri possiamo costruire il domani.

Ci sono aziende però che provano a guardare oltre, provano a immaginare un futuro diverso, come GAS. L’azienda italiana famosa per il denim e per la grande ricerca sui materiali, fondata dall’imprenditore e visionario Claudio Grotto nel 1984, ha messo in piedi Be a Rainbow Maker for Someone Else, un progetto coraggioso di co-creazione che fonde arte, musica e moda.

GAS, attraverso una vera e propria “call to art”, ha reinterpretato in chiave contemporanea il concetto di mecenatismo, supportando i talenti per provare a iniziare a scrivere un capitolo nuovo del nostro avvenire.

A rispondere a questa “chiamata alle arti” sono state due realtà creative italiane di primo piano che hanno interagito tra loro. La band Eugenio in Via di Gioia ha realizzato un pezzo inedito prodotto e arrangiato durante una residenza artistica presso la sede dell’azienda, che per l’occasione è diventata anfiteatro e sala prove. A completare il progetto, creando lo scenario visivo che fa da sfondo al video della canzone, ha risposto alla chiamata la crew di street artist Truly Design che ha realizzato all’interno di GAS HQs una gigantesca opera d’arte anamorfica che rappresenta un doppio arcobaleno, emblema di GAS e di quei valori di libertà d’espressione, inclusività e passione che accomunano l’azienda e gli artisti coinvolti nel progetto. 

GAS si fa così portavoce di attitudine autentica e positiva, di creatività e collaborazione condensate in un arcobaleno di sfumature blu come il denim che l’azienda italiana presenta alle nuove generazioni. 

#BeARainbowMaker è anche l’hastag con il quale gli Eugenio in Via di Gioia coinvolgeranno i propri fan in una challenge. La sfida consisterà nel raccogliere e filmare sui propri canali social una piccola grande azione che possa avere un messaggio e un impatto positivo per qualcun altro, in modo tale da raccontare e portare il proprio contributo come “Rainbow maker for someone else”.

Noi di Collater.al abbiamo avuto la fortuna, non solo di visitare la splendida sede GAS a Chiuppano in provincia di Vicenza, ma anche di vedere da vicino il processo creativo che ha visto come protagonisti gli Eugenio in Via di Gioia e il collettivo Truly Design.

Truly Design è uno studio di comunicazione visiva non convenzionale fondato nel 2007 a Torino e diretto da tre artisti urbani attivi nella scena dei graffiti dal 1996. In questi anni i ragazzi di Truly Design hanno stretto collaborazioni con studi di architettura, brand, imprese, agenzie di comunicazione, musei e istituzioni culturali in tutto il mondo sempre restando fedeli al loro approccio artistico. 

Specializzati in graffiti 3D e non, arte murale, illustrazione, pittura, grafica applicata e arte anamorfica, il collettivo viene insignito del Cannes Golden Lion Award nel 2018, il riconoscimento più prestigioso del settore, per la loro opera “David Bowie is here” allestita per Spotify all’interno della metro di New York.

Abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Mauro149, Production Manager di Truly Design e membro fondatore del collettivo, ecco cosa ci ha detto:

Come e dove nasce Truly Design? Quali sono le vostre radici?

Truly Design nasce come un gruppo di amici che si appassionano ai graffiti appena compiuti i 13/14 anni, quindi nasciamo come writer ed è quello che abbiamo fatto nei nostri primissimi anni insieme. Per la nostra generazione (io ho 40 anni) i graffiti erano ancora una forma d’arte underground, molto cool e misteriosa che viveva di passaparola. L’amico ti diceva dove poter recuperare gli spray migliori, dove trovare gli spot per dipingere, etc. 
Tutta questa passione per i graffiti arriva direttamente da quella per il disegno che abbiamo sviluppato sin da piccoli e che poi si è trasferita ai graffiti perché era lo strumento attraverso il quale potevamo esprimere il disagio adolescenziale nella maniera migliore. 
Rappresentava un gesto di strafottenza, nessuno di noi ha mai dato ai graffiti un significato politico bensì era un modo per imporre la nostra presenza e fatta per il gusto di farla e dell’avventura che c’era dietro – andare a dipingere la notte, al buio, cercando in tutti i modi di non farsi beccare – perché dipingere illegalmente come facevamo all’epoca è tutto un altro mondo rispetto a farlo quando hai tutte le autorizzazioni del caso.

Quanto è stato importante per voi crescere a Torino?

Abbiamo avuto la fortuna di vivere e crescere, artisticamente e non solo, a Torino. Una città dove farsi dare i permessi per realizzare opere più strutturate dal punto di vista artistico e lavorarci per due/tre giorni, invece di avere una/due ore o magari soltanto venti minuti, è sempre stato facile. La città di ci ha dato la possibilità di sviluppare il nostro lavoro perché avendo più tempo, abbiamo provato ad andare oltre al graffito classico e abbiamo iniziato a buttarci dentro tutti quelli che erano i nostri interessi: grafica, illustrazione, pittura classica, etc.

Avresti mai immaginato che l’interesse e la passione per i graffiti sarebbe poi diventato il vostro lavoro?

Se vent’anni fa qualcuno m’avesse detto che avrei fatto questo di mestiere gli avrei riso in faccia. Il fatto che sia effettivamente poi diventato il nostro mestiere è stato del tutto casuale e incidentale. Avendo la possibilità di lavorare per strada e soprattutto di giorno grazie ai permessi che la città ci dava, erano tantissime le persone che si fermavano a guardare quello che stavamo facendo e ci chiedevano magari di realizzare opere per il loro negozio, per la loro azienda, per la loro camera. Un lavoro ha tirato l’altro fino ad arrivare al 2007, avevamo tutti 25 anni, quando abbiamo deciso di fare un all-in e aprire il nostro studio. 

Da quel momento in avanti cos’è cambiato?

Beh è cambiata la storia in maniera decisiva, ma graduale. I lavori artistici che realizzavamo hanno smesso di essere qualcosa che facevamo esclusivamente per passione, per arrotondare gli stipendi dei nostri lavori “veri” e che facevamo nel tempo libero ed è iniziato ad essere il nostro lavoro principale e sul quale puntavamo tutte le nostre energie e speranze. 

In che modo i graffiti e tutto quello che ci ruota attorno vi hanno aiutato a strutturare e sviluppare il vostro lavoro?

Tutto quello che abbiamo imparato in dieci anni di graffiti come il lavoro di squadra, collaborazione, fiducia, velocità, efficienza, rapidità di pensiero, organizzazione, spirito di adattamento lo abbiamo traslato e applicato direttamente nel nostro lavoro. Tutte queste cose ci metti almeno dieci anni ad impararle e svilupparle, noi siamo partiti come se avessimo già dieci anni di formazione professionale alle spalle grazie proprio ai nostri inizi e alla passione per i graffiti. 

Come gestite i lavori internamente? Quali sono le dinamiche che contraddistinguono il vostro collettivo?

In origine eravamo in quattro, i quattro soci fondatori, ed è stato così per tantissimi anni. Da tre anni a questa parte siamo rimasti in tre e da poco ci avvaliamo dell’aiuto di collaboratori e dipendenti perché i lavori sono diventati tanti ed è necessario avere una squadra su cui contare. Il nostro approccio somiglia un po’ a una bottega d’artista del ‘500 dove quelli più anziani si occupano di realizzare i lavori più dettagliati, complessi e tecnicamente più difficili e attorno ci sono tutta una serie di collaboratori che danno il supporto che serve. 
Se avessimo voluto diventare un’agenzia da 50 dipendenti avremmo potuto farlo ma non siamo quel mondo lì, noi siamo più uno studio di artisti che lavorano insieme. Abbiamo voluto mantenere l’autenticità di un percorso artistico preciso e indipendente. 

Parliamo dell’aspetto che più vi contraddistingue da un punto di vista artistico, l’anamorfismo. 

Come collettivo l’anamorfosi è ciò che ci ha catturati, ed è stato un vero e proprio colpo di fulmine avvenuto a Londra alla National Gallery, quando abbiamo visto “Gli Ambasciatori” di Hans Holbein del 1533. Se all’epoca i riferimenti erano chiese, palazzi ducali, etc., noi abbiamo pensato di riportare tutto alla nostra contemporaneità, all’interno dei nostri contesti, l’archeologia industriale per intenderci, fabbriche abbandonate o dismesse con tutte le difficoltà che una location del genere comporta. Lì abbiamo capito che ci interessavano tutti quegli spot non lineari, magari che avevano tubi sporgenti o basi sfaccettate dove difficilmente si dipinge. Siamo andati ovviamente oltre alla fabbrica abbandonata, dipingendo in contesti industriali rigenerati, interni con una decisa complessità strutturale giocando con le profondità e con le forme. Ci basiamo tantissimo sul design grafico di ispirazione astratta ma facciamo anche del figurativo. Questi sono i due filoni di anamorfosi che abbiamo sempre seguito. 

Ci parli dell’opera che avete realizzato per l’occasione all’interno di GAS HQs?

Questo è un pezzo astratto ma dietro ha un concetto forte. La stanza dove Eugenio è rinchiuso è blu, il blu identifica anche la malinconia dell’essere isolato – sensazione che abbiamo provato tutti durante quest’ultimo anno – e l’arcobaleno che passa dietro è un ponte che ci porta oltre questa dimensione del box blu isolato che in realtà è soltanto un’illusione che se guardata da un’altra angolazione si scopre che in realtà non esiste.

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Com’è andato il MI AMI 2023

Com’è andato il MI AMI 2023

Anna Frattini · 3 giorni fa · Art

Siamo stati alla diciassettesima edizione del MI AMI all’Idroscalo di Milano fra veterani del festival e nuovi arrivati insieme a molte sorprese. L’appuntamento di quest’anno è stato lanciato come una vera e propria caccia la tesoro per l’unitissima community del festival. Il MI AMI rivendica anche quest’anno la propria vocazione come motore di cose nuove, accelleratore di incontri ed esperienze.

Una line-up infinita e costellata di artisti appartenenti a generi diversissimi fra cui i Verdena, L’Officina della Camomilla ma anche Ginevra con il suo pop elettronico. Imperdibili le performance di Lovegang126, Giuse The Lizia e Drast venerdì e Coez, Nayt e Mecna insieme ai Coma Cose e Fulminacci nella giornata di sabato insieme a Rondodasosa, per la sua prima data italiana dopo le controversie. Ci sono stati anche degli ospiti a sorpesa fra cui gli Ex Otago la prima sera, Willie Peyote sul palco con Fulminacci e Coez e Frah Quintale sul palco Dr. Martens.

Per altri scatti dal MI AMI qui il loro profilo Instagram.

Ph. courtesy Andrés Juan Suarez

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Richie Culver: il cinismo è arte?

Richie Culver: il cinismo è arte?

Giorgia Massari · 3 giorni fa · Art

Con soli 8 euro in tasca, il giovane diciassettenne Richie Culver lascia la sua casa a Hull, un paese nel Nord dell’Inghilterra, per inseguire la sua ragazza dell’epoca a Londra. Da qui ha inizio la sua carriera da artista, mosso dall’amore e senza alcuni studi artistici alle spalle.
Culver inizia a fare arte tra le strade e poi, inaspettatamente, la sua opera “Have you ever really loved anyone?”, un collage con un ritaglio di Jesse Owens, venne esposta alla Tate Modern di Londra durante una mostra collettiva. Richie Culver ora ha 44 anni ed espone le sue opere in tutto il mondo, riscuotendo grande successo grazie soprattutto alle sue frasi schiette e crude, scritte su tela

Richie Culver | Collater.al

La sua poetica ruvida proviene dal suo passato e le frasi sono spesso auto-biografiche. Richie Culver nasce da una famiglia di classe operaia, in un ambiente disilluso che influisce in modo preponderante sui suoi pensieri e di conseguenza sulla sua arte. Dalle sue frasi è evidente la sua lotta nei confronti del sistema di classi e della mascolinità contemporanea.
Le sue frasi ciniche conservano un umorismo oscuro e diventano universalmente comprensibili. Con la loro semplicità e attingendo dai luoghi comuni, fortemente combattuti dall’artista, le frasi di Culver sono in grado di comunicare con qualsiasi persona, di ogni provenienza e classe sociale. 

Richie Culver | Collater.al

Tra ironia e cinismo, Richie Culver si schiera contro la tecnologia e in particolare contro il mondo dei social. Emblematica è l’opera controversa “Did U Cum Yet?”, una delle sue classiche scritte a spray su tela, che diventò immediatamente virale su Instagram. In quanto l’opera stessa è una critica all’uso smoderato dei social, in cui l’artista paragona l’atto della masturbazione al bisogno di nutrire il proprio ego postando la propria arte su Instagram, Culver decide di distruggere l’opera originale. Realizza però un libro che contiene tutti gli screenshot dei commenti in risposta al pezzo, per lo più critiche.

Richie Culver | Collater.al

Oggi Richie Culver è un artista eclettico. La sua pratica spazia dalla pittura, alla scultura, alla fotografia e alla performance digitale. Attualmente la sua carriera è rivolta in particolare alla musica. I suoi pezzi audio diventano una continuazione dei suoi dipinti, oscillando tra musica e poesia.  

Courtesy Richie Culver

Richie Culver: il cinismo è arte?
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Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Il mondo subacqueo di Jason deCaires Taylor

Anna Frattini · 2 giorni fa · Art

Jason deCaires Taylor è uno scultore, ambientalista e fotografo professionista impegnato nella costruzione di musei e parchi di sculture subacquei. I temi trattati da Taylor riguardando l’emergenza climatica, l’attivismo ambientale e la capacità rigenerativa della natura.

Rimanendo sott’acqua, le sculture dell’artista si trasformano e con il passare del tempo forniscono un nuovo habitat per la fauna e la flora marina. Il tutto realizzato con cemento durevole, in grado di fornire una piattaforma stabile che consente ai coralli di attaccarsi e crescere. L’unicità di queste sculture subacque si concentra sul rapporto fra arte e ambiente che si interseca con questioni sociali, come la preoccupante condizione dell’ecosistema marino destinata a ripercuotersi sulla vita dell’uomo. L’intenzione di Taylor è di far riflettere gli spettatori su queste tematiche, offrendo un punto di vista diverso per un futuro migliore anche sott’acqua.

La prima scultura di Taylor, Il Corrispondente Perduto – realizzata in collaborazione con un biologo marino e un centro di immersioni locale – è stata posizionata al largo delle coste di Grenada, in Giamaica, un’area distrutta dall’uragano Ivan. La scultura si è rapidamente trasformata e col tempo vi sono stati aggiunti altri elementi, ben 26 alla fine. Così è nato primo parco di sculture sommerso al mondo. Da questo momento in poi, i progetti di Taylor sono diventati sempre più ampi fino al giardino sommerso di Lanzarote. Dal 2009 i siti subacquei realizzati dall’artista sono quasi una ventina in giro per il mondo e i visitatori oltre mezzo milione.

Il Museo Atlántico di Lanzarote, a circa trecento metri dalla costa e a dodici metri di profondità, ospita un’esposizione di oltre 250 statue che raffigurano, a grandezza naturale, alcuni abitanti dell’isola selezionati da James deCaires Taylor, ormai pioniere di questa nuova frontiera ambientalista nel mondo dell’arte.

Per scoprire gli altri progetti di Jason deCaires Taylor puoi visitare il suo profilo Instagram.

Ph. courtesy Jason deCaires Taylor

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La urban culture secondo Lugosis

La urban culture secondo Lugosis

Anna Frattini · 2 giorni fa · Art

Luca Lugosis – a.k.a. Lugosis – è un tatuatore, street artist e artista italiano che ha collaborato con brand del calibro di Dr. Martens, Market, Nike e molti altri. La sua poliedricità rielabora la urban culture in una chiave strettamente personale, legatissima alla scena milanese.

Ora attivo su Berlino, viaggia per il mondo alla ricerca di nuovi stimoli e ispirazioni. D’altro canto, Milano rimane un luogo molto importante per Lugosis, partendo dalle suggestioni metropolitane fino alla community che si è costruito con il tempo.

I personaggi ideati da Lugosis si muovono con agilità fra tatuaggi, illustrazioni e graffiti e raccontano i suoi pensieri e la sua percezione del mondo. Fra personaggi strampalati e weirdos, la poetica di Lugosis ricompensa l’anti-convenzionale senza pregiudizi. In definitiva, la cultura suburbana e l’estetica dei cartoon millennial sono di grande ispirazione per l’artista.

Ora, ripercorriamo alcune delle collaborazioni più interessanti dell’artista. Da quella per Nike con t-shirt e felpe dove Lugosis reinventa il classico logo a quella più grafica con Dr. Martens, portata avanti insieme a Strato. Anche per Carhartt i due artisti hanno collaborato insieme nel 2021 nello store del brand a Weil am Rhein in Germania, il tutto curato da Colab Gallery.

Ph. courtesy Lugosis, Colab Gallery, Dr. Martens, Nike

Per tutti gli altri progetti di Lugosis qui il suo profilo Instagram.

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