La Milano Fashion Week (di cui vi abbiamo già sintetizzato il nostro pensiero qui) non è solo il momento in cui, accesi i riflettori, le grande griffe presentano in passerella le loro collezioni pompose fatte di vestiti che probabilmente mai nessuno, o soli in pochi, vestiranno. Volutamente ai margini del fashion system tutta una serie di realtà, spesso molto più interessanti, presentano le proprie collezioni attraverso incontri diretti con chi queste collezioni le pensa e poi le realizza.
Così ho incontrato Lin Li fondatrice del marchio JNBY che sta per Just Naturally Be Yourself, brand che dalle nostre parti è praticamente sconosciuto perché, nato nel 1994, ha messo le radici soprattutto nel continente asiatico con delle apparizioni in occidente, vedi ad esempio il negozio di New York o Vancouver.
Con i modi tipici d’oriente, con l’imbarazzo di comunicare in una lingua non propria, con il garbo di chi non vuole convincerti di nulla, ma vuole solo raccontarti una storia ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Lin Li, per cercare di capire di più il suo percorso e per scoprire l’importanza del viaggio per una stilista di moda che ha nel suo passato un vissuto di studio e lavoro non legato alla moda, ma alla chimica. Fino al 1994 questo infatti è stato il suo mondo, poi il cambiamento. Senza mai aver studiato moda ha deciso di buttarsi anima e corpo nella moda.
Così ha iniziato a viaggiare: praticamente ogni 4 mesi negli ultimi 15 anni è stata in viaggio. E attorno al viaggio ruota il lookbook che presenta la collezione donna primavera-estate 2013 presentata a Milano. Realizzato dall’artista Amira Fritz il progetto ha preso vita da Shanghai a Parigi. Un viaggio lungo senza mai prendere l’aereo: solo macchina, autobus, treno e talvolta anche a piedi. Il risultato sono immagini immerse in luoghi non turistici, spazi nudi e crudi, onirici, decontestualizzati da simboli e segni riconoscibili.
Così la collezione donna presentata a Milano: anonima, non riconoscibile, sembra non essere e invece è, tantissimo. Tessuti morbidi, linee sicure, modi pacati che prendono forma nei corpi di chi li indossa. Una delicatezza visiva dovuta a zero eccessi. Niente abbondanze. Tonalità cromatiche che variano senza voli pindarici, come piccoli pattern sonori all’interno di loop che progrediscono in unità minime. Sullo sfondo il post industriale che ritorna come eco dal suo passato chimico.
Minimo comune denominatore l’asciutto minimale che nel nostro immaginario collettivo sprofonda le mani in oriente trovando qui una dimora da indossare, per essere naturalmente se stessi.