Nike e Patta lanciano una nuova Air Max 1 e un film

Nike e Patta lanciano una nuova Air Max 1 e un film

Andrea Tuzio · 1 anno fa · Style

Nike e Patta tornano a collaborare per il lancio di una nuova Air Max 1, release in programma l’8 ottobre, e con una nuova serie di cortometraggi intitolata The Wave, che ha debuttato ieri 4 ottobre sul canale YouTube di Nike.

La Nike X Patta Air Max 1 è ispirata all’autentica connessione che esiste tra lo stile e l’influenza culturale di Patta e la community Air Max. Quest’ultima collaborazione prende la silhouette originale della Air Max 1 alla quale aggiunge un tocco di novità attraverso un nuovo motivo a onde e un mini Swoosh, mentre il logo Patta appare sulla linguetta. 

Il film The Wave e il motivo a onde sulla sneaker, sono entrambi dei riferimenti ai cambiamenti culturali e all’influenza che Patta ha avuto sia sulla propria community che sull’intero comparto. 

Patta è un’azienda olandese black-owned con sede ad Amsterdam che opera da oltre 17 anni, e che ha avuto un impatto enorme non solo per l’estetica peculiare ma anche per saper cogliere le opportunità di creare spazi dedicati ai più giovani grazie al Patta Running Team.

La Patta Foundation invece, in tempi più recenti, è stata fondata per aiutare e sostenere la formazione culturale dei giovani e aspiranti imprenditori. 

Ed è proprio grazie a questo nuovo approccio di un’ormai storica partnership, quella tra Nike e Patta, che tutto si è evoluto in questo nuovo capitolo di una storia ancora lunga. 

 “Siamo entusiasti di lanciare la Air Max 1 e The Wave come punto di partenza per un’evoluzione più orientata allo scopo della nostra partnership con Nike. Il prodotto rimarrà sempre un filo conduttore di ciò che forniamo, e insieme, siamo impegnati a sviluppare progetti e narrazioni sfumate che mirano a servire veramente e a guidare il cambiamento per le nostre comunità”, ha detto Gee Schmidt, co-fondatore di Patta.

Per celebrare la release, Nike e Patta hanno prodotto quattro cortometraggi diretti da Mahaneela, regista emergente che si è formata sotto la guida di Steve McQueen e prodotti dalla casa di produzione diello stesso McQueen, Lammas Park. Quattro capitoli che esplorano i temi della libertà, della creatività e della verità all’interno della comunità di Patta, mentre rifluiscono attraverso paesaggi culturali di stile, musica, moda e sport.

“Da quando ho iniziato a fare film e scattare fotografie, il mio lavoro ha sempre riguardato la ricerca di modi per mostrare amore alle persone che mi assomigliano. Patta è un grande esempio di come la creatività possa manifestarsi attraverso relazioni autentiche per poi tornare alle persone e ai luoghi da cui proveniamo. Per molti giovani registi neri, Steve McQueen e la sua legacy sono stati una sorta di stella polare. Poter collaborare con lui a questo progetto, che per me è una lettera d’amore ai miei colleghi creativi di colore, è stato indimenticabile”, ha dichiarato Mahaneela.

“Sono orgoglioso di lavorare con Nike e Patta, un’azienda di black-owned che ha sempre sostenuto talenti neri molto interessanti, nel portare alla luce nuove voci emergenti come quella di Mahaneela a un pubblico più ampio”, ha detto Steve McQueen.

La settima collaborazione di Patta con Nike e la quinta interpretazione della Air Max 1 da parte del brand olandese, verrà rilasciata attraverso l’app SNKRS, online sul sito di Patta e nei Patta store a partire dal 8 ottobre. Dal 15 invece sarà disponibile presso retailer selezionati.

Qui di seguito potete dare un’occhiata al primo capitolo del cortometraggio The Wave.

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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore

Tommaso Berra · 3 giorni fa · Photography

Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a Cecilie Mengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani.
Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana.
Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.

Cecilie Mengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.

Cecilie Mengel | Collater.al
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Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Diego Dominici e il velo di Maya

Diego Dominici e il velo di Maya

Giorgia Massari · 3 giorni fa · Photography

Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografo Diego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serie Atman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.


Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità.
L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.

Diego Dominici | Collater.al
Diego Dominici e il velo di Maya
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Diego Dominici e il velo di Maya
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6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith

Tommaso Berra · 20 minuti fa · Photography

È stato prima un grande insegnante, educatore e saggista, poi anche un grande fotografo, che ha legato la propria carriera al ritratto e più avanti al mondo della moda. Nel corso della sua carriera di Rodney Smith (1947-2016) ha rappresentato scene meticolosamente costruite, umoristiche, paradossali, romantiche e divertenti, che verranno ora raccolte in un volume intitolato “Rodney Smith: A Leap of Faith“, contenente oltre duecento fotografie – alcune inedite – appena acquisite dal J. Paul Getty Museum.
Il progetto e l’acquisizione di Getty ripercorrono una traiettoria creativa che ha fatto della fantasia e dell’eleganza un vero filone fotografico. Gli spettatori sono invitati ad attivare un confronto con il surrealista René Magritte, il pittore che per temi e soggetti si avvicina maggiormente a Rodney Smith, mentre il curatore del Getty Museum Paul Martineau descrive Smith: “…come Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, le sue fotografie ci conducono nella tana del coniglio in un luogo fantastico che è appena fuori dalla nostra portata ma destinato a ispirarci a essere versioni migliori di noi stessi”.

Collater.al ha selezionato sei tra le più belle fotografie di Rodney Smith: A Leap of Faith, l’impressione è quella di avere davanti frame di un film fantastico o scene di un grande musical in costume, con i protagonisti che si trovano a ballare e baciarsi sopra il tetto di un taxi giallo di New York.

Rodney Smith | Collater.al
Figure 1 Twins in the Tree, Snedens Landing, New York, 1999 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 41 Self-Portrait with Leslie, Siena, Italy, 1990 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 86 A.J. Chasing Airplane, Orange County Airport, New York, 1998 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 110 Reed Leaping Over Rooftop, New York, New York, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 115 Wessel Looking Over the Balcony, Paris, France, 2007 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
Rodney Smith | Collater.al
Plate 126 Edythe and Andrew Kissing on Top of Taxis, New York, New York, 2008 © 2023 Rodney Smith Ltd., courtesy of the Estate of Rodney Smith
6 foto per scoprire la magia di Rodney Smith
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La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy

La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy

Giorgia Massari · 5 giorni fa · Photography

Da un reel di Instagram del fotografo canadese Sean Mundy si intuisce la complessità delle sue opere fotografiche. I suoi non sono solo scatti ma piuttosto si può affermare che le sue opere siano il risultato di una grande immaginazione veicolata dalla fotografia, da abilità tecniche di post produzione digitale e dalla dettagliata costruzione scenografica. Nel reel infatti, il fotografo mostra il processo di realizzazione dell’opera Summoning che raffigura una serie di corpi precipitare da un’apertura nel soffitto. I personaggi “volanti” alla Magritte sono in realtà la stessa persona: il fotografo realizza molteplici autoscatti mentre si lancia su un materasso, simulando la caduta, per poi lavorarli digitalmente e creare la composizione. Il risultato è un lavoro concettuale e sorprendente, in cui l’armonia visiva accentua e veicola messaggi sociali, con un focus particolare sulle dinamiche di comportamento collettivo.

Sean Mundy | Collater.al

Ricorrente nelle opere di Sean Mundy è la figura di un uomo incappucciato di cui non è visibile il volto. L’abbigliamento total black che indossa lo rende una figura misteriosa, inquietante e tenebrosa, come se fosse un’ombra senz’anima. Molto spesso il personaggio in nero appare in maniera ripetuta nella stessa opera, creando un gruppo unito somigliante ad una setta, intento in azioni a tratti macabre. In alcune opere il gruppo è messo in opposizione ad un singolo, come nell’opera Elude del 2014, in cui le figure in nero inseguono un uomo in fuga, che si differenzia per l’abbigliamento da uomo comune, in jeans e t-shirt. In altre opere invece vengono eseguiti comportamenti rituali, ne è un esempio l’opera Idolatry che mostra il gruppo inginocchiato davanti ad un enorme cubo nero sospeso nell’aria. Questa serie di opere è un chiaro riferimento ai comportamenti sociali in cui il singolo non possiede una propria identità personale ma piuttosto emerge un’identità collettiva che spinge il singolo ad uniformarsi alla massa, sia dal punto di vista ideologico che estetico.
In altre serie il protagonista, solo o in gruppo, è messo in relazione ad elementi che dominano la composizione come il fuoco nella serie Barriers, paesaggi urbani distrutti in RUIN e teli rossi in Tethered, la serie più recente di Sean Mundy. L’intento rimane sempre quello di comunicare problematiche attuali, legate in particolar modo ai meccanismi psicologici umani indotti dall’esterno ma con evidenti ripercussioni intime.

Sean Mundy | Collater.al
Sean Mundy | Collater.al
Courtesy by Sean Mundy
La massa e il singolo nelle opere di Sean Mundy
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