Provisorium – Le soluzioni assurde di Thomas Meyer
Immaginate una giornata ventosa in città, finestre aperte per far circolare l’aria e levare via quella pesantezza che si accumula durante la notte.
Il vento però vi è nemico e le porte di stanze e/o corridoi rischiano di chiudersi violentemente senza che nessuno glielo chieda. Bene, perchè non usare una pinna delle ultime vacanze in Sardegna, avvenute probabilmente in un tempo lontano in cui le ferie ve le sapevate ancora godere?
Non si tratta di una soluzione propostavi sotto effetto di stupefacenti, piuttosto un’ispirazione che arriva direttamente dall’ultima serie – ‘Provisorium’ – del fotografo tedesco Thomas Meyer.
Dalla classica bottiglia di plastica tagliata a metà e trasformata in un vaso minimal per i fiori agli occhiali tenuti sù diligentemente da due cerotti, l’assurdità regna sovrana e attrae. Si rimane in bilico tra la curiosità e il pensare che quella volta che vi siete persi la custodia del telefono, bastava infilarlo nel pacchetto vuoto dei fazzoletti, che girovagava nella borsa da qualche era geologica.
Se questo articolo fosse stato cartaceo e fosse stato scritto da Meyer, sicuramente lo stareste leggendo sulla carta asciugatutto.
Chi meglio di Betty Boop incarna lo spirito della femminilità anni ’30? Iconica, divertente e magnetica é apparsa per la prima volta in Dizzy Dishes, un prodotto di Fleischer Studios. Indimenticabile il suo incedere, ispirato dalle flappers della Jazz Age. Dsquared2 ha coinvolto proprio lei, Betty Boop in una capsule estiva sia per uomo che per donna. L’idea é quella di trasformare il personaggio in una vera e propria super eroina munita di mantello rosso in volo sopra un panorama metropolitano mentre elogia i due founder del brand. Il tutto completo di loghi co-branded divertentissimi.
Qualche curiosità su Betty Boop
Forse non tutti sanno che Betty Boop, inizialmente, nasce come cane per poi trasformarsi nell’unico personaggio animato femminile al mondo nel 1932. Una vera e propria icona che anima i pezzi della collezione con applicazioni patchwork, talvolta sovrapposte l’una sull’altra. Anche la voce, doppiata da Mae Questel, è entrata nell’immaginario comune che ha accompagnato la serie originale dedicata al Betty fino al 1939. Dall’inizio degli anni ’40 in poi diventa quindi punto di riferimento nel mondo dei cartoni animati facendo capolino in moltissimi film, speciali tv e pubblicità.
La collezione per la Primavera/Estate 2024
La collezione verrà lanciata il mese prossimo e prevede giacche e jeans in due lavaggi, una felpa nera e t-shirt da uomomentre da donna vedremo gli stessi pezzi ma per il pantalone due fit diversi, uno più morbido e l’altro più dritto. Non mancano anche gli accessori, fra cui un cappellino e un bucket hat in denim insieme a sneakers in tela rialzate da suole bianche che presentano sulla linguetta il logo co-branded.
Per questo terzo appuntamento di IN STUDIO, siamo andati nello studio di Carlotta Orlando, founder e designer dietro a Giglio Tigrato, progetto che nasce dalla passione per l’upcycling e per la pittura. Quando Carlotta apre il profilo Instagram @gigliotigrrrato, un po’ per gioco, l’idea era quella di personalizzare capi e mostrarne una selezione vintage. A ottobre 2020 nasce quindi ufficialmente Giglio Tigrato, dapprima focalizzato sull’upcycling e da qualche tempo con l’aggiunta di vere e proprie collezioni sartoriali Made in Italy. Tutte realizzate con tessuti di scarto, i cosiddetti deadstock, nel caso di Giglio provenienti da grandi aziende della moda e del lusso. Il riutilizzo del materiale non si limita solo al capo, magari da rivitalizzare, ma anche al tessuto vero e proprio. Il team di Giglio si sta ampliando e il progetto, pian piano, sta crescendo in modo organico. La volontà è quella di non lasciare indietro i valori che contraddistinguono l’idea iniziale di Carlotta. La collaborazione con Guerrillab per le grafiche e con altre piccole realtà avvalora la mission di Giglio Tigrato di discostarsi dalla massa e non seguire trend e micro-trend. Andiamo a scoprire lo studio – o meglio, atelier – dove Carlotta e il suo team tutto al femminile lavorano sulle collezioni, ma non solo.
Chi è Carlotta Orlando?
Classe ’98, Carlotta Orlando, detta Ciotti, è la founder, Designer and Creative Director di Giglio Tigrato. Dopo aver terminato il corso di Design della Moda al Politecnico di Milano e qualche esperienza in maison italiane decide di dar vita alla sua isola che non c’è. Giglio Tigrato, un chiaro omaggio alla Principessa Giglio Tigrato di Peter Pan. Carlotta è la mente dietro a questo progetto che guarda alla sostenibiltà e che, infatti, vede una moda più sostenibile nel suo futuro. Senza compromessi.
Lo studio
Ci troviamo in zona Parco Sempione, a Milano, all’ultimo piano di un condominio signorile. Carlotta ci accoglie in una mansarda, il suo studio, ma anche casa. Fra i pezzi della collezione su relle ordinate e cowboy hats in giro per lo spazio ci sediamo a conversare con lei. Intorno a noi tutti i suoi ricordi e tantissimi bozzetti, fili di ogni colore e anche una termopressa. Tutto quello che serve per dar vita a una collezione. In un angolo c’è qualche scarto, pronto per essere trasformato in qualcosa di nuovo. Carlotta ci racconta di quanto sia importante la condivisione degli spazi con altri, amici e collaboratrici. Attenzione però, la divisione fra casa e studio é ben delineata, il suo studio é volutamente concepito come un vero e proprio atelier, un laboratorio, nettamente separato dalla quotidianità e dal privato.
Parlaci un po’ di te. Chi sei e come si sviluppa la tua ricerca come Creative Director, Founder e Designer di Giglio Tigrato?
La mia passione per il fashion design è nata quasi per caso al Politecnico di Milano. Per un errore. All’università ho iniziato a sentir parlare di sostenbilità, un approccio che ho continuato a seguire anche dopo gli studi. Infatti a ottobre 2020 nasce Giglio Tigrato, dapprima focalizzato sull’upcycling e oggi completo di vere e proprie collezioni sartoriali Made in Italy. Tutte realizzate con tessuti di scarto, i cosiddetti deadstock. Sostenibilità quindi non si riflette solo nell’anima di Giglio Tigrato ma è anche come mi vesto, come viaggio e come mangio. La mia ricerca si focalizza su pezzi unici, su capi basic ma sopratutto sui layer da combinare con altri abiti che già abbiamo nell’armadio. Insieme al mio team, cerco di lasciare indietro trend e micro-trend per realizzare collezioni seasonless che non seguano i sistemi della moda per come la conosciamo.
Quali sono i materiali e le texture che prediligi?
Non prediligo nessun materiale in particolare. Solitamente, parto da quello che trovo quando disegno le collezioni di Giglio. Disegno e progetto, successivamente, su quello che mi capita di aver fra le mani. Al netto di questa modalità, prediligo le fibre naturali, riciclabili che sono anche più durevoli nel tempo. Usando deadstock di grandi aziende ci ritroviamo anche ad avere la garanzia di una qualità superiore. In generale, amo l’animalier e tutte le fantasie che mi rendono possibili combinazioni giocose e fuori dal comune.
Quale oggetto non può mancare nel tuo studio?
La musica. Il sottofondo giusto che accompagna il nostro lavoro in studio rimane una delle cose più importanti. Sia che io rimanga da sola in atelier o no. Alternativamente, ascoltiamo anche podcast.
Come ti relazioni allo studio? Come lo vivi/percepisci? Come un luogo esclusivsmente di lavoro o anche come spazio conviviale per incontrare amici o altri designer o artisti?
Fin dall’inizio, il mio modo di vedere lo studio rispecchia quello dell’isola che non c’è. Non solo perché Giglio Tigrato è una dei personaggi di Peter Pan ma anche perché al momento della sua nascita, durante la pandemia, era un vero e proprio modo per evadere e fare ciò che più mi fa stare bene. Ad oggi, l’atelier diventa anche un luogo dove amo riunire tante persone. Ci sono occasioni facciamo dei veri e propri open-atelier: invitiamo chi è interessato alle nuove collezioni trasformando questo spazio in luogo di condivisione.
Da quanto tempo sei in questo studio? Sei affezionata o hai una concezione più nomade del luogo di lavoro? Te ne andresti domani?
In questo ambito é molto difficile lavorare in viaggio o fuori dal proprio studio. La macchina da cucire é troppo difficile da trasportare e per questo, da quando è iniziata l’avventura di Giglio Tigrato mi sono sentita più legata a Milano. Questo è il mio spazio di lavoro e nonostante io passi tante giornate fuori è fondamentale riunirsi in uno spazio per rimanere focalizzati.
Come costruisci una collezione? Da dove parti? Vuoi parlarci del tuo processo creativo?
Parto dal materiale. Per Giglio Tigrato e per me come designer upcycling significa riutilizzare qualcosa che è stato messo da parte. La ricerca dei tessuti o la ricerca dei capi vintage è l’inizio del mio processo creativo. Successivamente, si passa al disegno e alla ricerca. In questo senso gli strati sono fondamentali nel mio modo di vedere le collezioni. Si passa poi alla prototipia. Collaboriamo con una modellista su Milano che si occupa dei primi prototipi mentre della collezione se ne occupa una sartoria fuori città a conduzione familiare. Si tratta di un’ottantina di pezzi, quindi una collezione molto piccola ancora, ma che punta a crescere.
A cosa stai lavorando attualmente? Quali sono i tuoi progetti futuri?
La volontà, per ora, è quella di far crescere ancora di più Giglio Tigrato. Sto valutando l’apertura di un negozio su strada, ma insieme al mio team vorrei anche iniziare a lavorare al nostro primo fashion show da presentare a inizio 2025. Legato a questo, vorrei passare da due collezioni all’anno a una. Chiaramente seasonless.
Abbiamo già parlato di HOKA e della collaborazione con Nicole McLaughlin. Ieri il brand parte di Deckers Brands ha presentato una nuova partnership con SATISFY. Il modello HOKA coinvolto in questa collab è la Clifton LS che é poi diventata la HOKA x SATISFY Clifton LS. Una combinazione che fa emergere l’affidabilità e il design performante di entrambi i brand.
SATISFY è un brand votato alla performance con sede a Parigi con la mission di supportare i runner nel raggiungimento di risultato sempre più elevati. La scarpa nata dalla collab con HOKA si contraddistingue per il mesh tecnico che prende spunto dalle mappe topografiche e garantisce una traspirabilità perfetta insieme a uno stile ben delineato. Insomma, una scarpa perfetta per la corsa naturale e la reattività, sia per la corsa su strada che su trail. Questo anche grazie al doppio tirante posizionato sul tallone che, unito al sistema di allacciatura rapida intelligente, propone una calzata comoda che ci ricorda le scarpe a arrampicata. In più, la punta riflettente tutela anche il runner nel caso di corse notturne e la suola in gomma Durabrasion è pronta ad affrontare ogni tipo di terreno con agilità.
Disponibile al prezzo di 225€, la Clifton LS di HOKA x Satisfy è disponibile per l’acquisto su SatisfyRunning.com e su HOKA.com e presso rivenditori selezionati in tutto il mondo.
Una delle menti più brillanti e creative del nostro paese, “uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo”, è stato Bruno Munari. Poliedrico, geniale e capace di contributi in svariati campi dell’espressione, Munari ha costantemente spiazzato e preso in contropiede l’intero mondo creativo italiano e non soltanto. Ma tra le tante idee realizzate dalla figura leonardesca milanese, ce n’è una che a differenza delle altre è stata poco raccontata. La storia di questo progetto in realtà è molto breve e allo stesso molto semplice.
Correva l’anno 1992, e al tempo la casa editrice Corraini e Bruno Munari stavano lavorando insieme alla presentazione di alcuni volumi della collana “Block Notes”, una sorta di raccolta di idee e progetti ma in formato tascabile, quindi facilmente trasportabili senza bisogno di borse o altro. A quel punto arrivò la richiesta di Corraini a Munari: “ci servebbe un espositore per questa nuova collana”. L’artista e designer allora pensò bene di disorientare tutti per l’ennesima volta nella sua carriera, e di manifestare in maniera tangibile la sua incredibile capacità di pensare totalmente fuori dagli schemi con la creazione di un gilet multi pocket, sì, un gilet.
“Abbiamo chiesto a Munari di pensare a un espositore che potesse far vedere tutti i libri… e lui ci ha disegnato un gilet. È un oggetto che mostra bene l’importanza che aveva per lui imparare e conoscere attraverso tutti e cinque i sensi, dalla vista al tatto. Il gilet era infatti progettato con tessuti di tanti tipi che creano una texture e anche una sensazione tattile interessante”, questo il ricordo di Maurizio Corraini a proposito di quella stravagante quanto fantasiosa idea. In una contemporaneità fatta di omologazione, dove i processi culturali vanno pian piano perdendo le loro peculiarità a vantaggio di un’uniformità dominante, Bruno Munari resta un faro ancora molto luminoso per tutti.