Saucony Originals e EricsOne celebrano i 30 anni della Shadow 6000

Saucony Originals e EricsOne celebrano i 30 anni della Shadow 6000

Giulia Guido · 2 anni fa · Art

Per il trentesimo anniversario dell’iconica silhouette Shadow 6000, Saucony Originals ha collaborato con lo street artist EricsOne che ha realizzato un artwork in una delle zone più vive e moderne di Milano.

Lo scorso 4 settembre è stato inaugurato un murale che copre una superficie di 80 metri quadrati, affacciato su Corso Garibaldi e nel quale l’artista ha rappresentato con colori vibranti i valori di autenticità e creatività che da sempre caratterizzano Saucony. 

EricsOne da oltre vent’anni è una figura di spicco nel panorama artistico italiano, lavorando come urban artist e illustratore freelance. Per il suo stile unico e immediatamente riconoscibile è stato scelto dal brand americano per mettere nero su bianco e trasformare in un’immagine dal forte impatto l’anima di Saucony e l’essenza della Shadow 6000. 

In occasione dell’inaugurazione dell’opera abbiamo fatto due chiacchiere con EricsOne e con Fabio Tambosi, Chief Marketing Officer di Saucony, con il quale abbiamo parlato di questa collaborazione, di arte e del legame tra artisti e brand. 

EricsOne

Cominciamo parlando del tuo percorso, ma anche del tuo stile colorato e geometrico e super riconoscibile. Quanto ci hai messo per metterlo a punto, cosa ti ha influenzato e quale consiglio daresti a chi sta cercando di trovare il proprio stile? 

Ciao Collater.al, piacere di essere qui con voi. Dunque fin da bambino sono sempre stato appassionato di fumetti e illustrazione in generale, mio padre nel tempo libero dipingeva dei quadri in stile futurista e credo che questa cosa inconsciamente mi abbia influenzato molto, la mia pittura è una connessione tra il mondo dei graffiti, i cartoon di Max Atom (power puff girls) e l’eleganza dell’universo cubista e futurista di cui sono particolarmente innamorato (Picasso, De pero, Kandinsky e tanti altri); le influenze potrebbero ricordare anche lo stile del movimento d’arte Bahuaus. Il mio lavoro è estremamente preciso e pulito, impatta per forme e connessioni di colori a volte molto pop, a volte desaturi, come se davanti ci fosse un filtro vintage, questa cosa fa sì che il mio stile rimanga sempre fresco, ma allo stesso tempo conservatore di quel gusto un po’ anni 70, ascolto molto jazz e funk quando creo e mi aiuta parecchio, sopratutto fa bene al mio “Flow”.
Il consiglio che do a tutti i creativi è di rimanere sempre concentrati sul proprio percorso, mantenere alto il focus sui propri punti di forza e farli brillare.

Durante le tua carriera hai collaborato con diverse realtà e brand e ora con Saucony. Qual è il segreto per rimanere fedeli al proprio stile riuscendo però a soddisfare le richieste del cliente? 

Ovviamente ci sono sempre dei piccoli compromessi, la cosa fondamentale per essere un bravo artista è riuscire a trasmettere al cliente il tuo vero potenziale.

È bello quando una collaborazione parte dalla fiducia del brand nei confronti dell’originalità dell’artista, come nel caso di Saucony, con cui c’è stata una sintonia fin da subito. Bisogna quindi fidarsi degli artisti e lasciarsi trascinare nel loro mondo, nel loro studio, Io chiedo sempre a chi collabora con me.

Saucony Originals EricsOne

Per questo progetto ho cercato un punto d’incontro tra il mio stile, il brand e il pubblico, che ricopre un ruolo importante soprattutto per opere che non sono esposte dentro una galleria d’arte.
Per questo nell’opera abbiamo usato un linguaggio universale, che riporta al mondo colorato dei cartoon (un linguaggio sempre fresco e contemporaneo), con mio figlio ultimamente ne guardo molti e credo mi abbiano fortemente influenzato per la combo con Saucony.

Oltre al brand, però, bisogna sempre tenere a mente che l’opera è fatta anche per il pubblico, per chi passa da quella strada. In che modo ciò influenza il lavoro e quali sono stati i primi feedback che hai ricevuto?

La sensazione che ho avuto questi giorni lavorando in Garibaldi è stata molto positiva. Tutte le persone che si sono fermate a osservare il muro hanno colto l’originalità e l’unicità del progetto. Qualcuno può non riconosce il personaggio però i colori bucano il muro, attirano l’attenzione e incuriosiscono tutti, il segreto per non perdere possibilità come queste è cercare di seguire sempre il proprio istinto trasportando il brand il più possibile verso la tua visione.

In occasione della design week, per Saucony, hai realizzato un murale. Qual è l’idea alla base di ciò che hai rappresentato?

Mi sono informato sull’evento che presenterà tutta l’operazione, in cui saranno ospiti esponenti del mondo del rap italiano e internazionale, per cui ho cercato di dare un taglio hip hop all’opera (linguaggio che oggi è molto utilizzato nel mondo della comunicazione) ho deciso assieme alla mia squadra di dare vita a un enorme b-boy che poggia la sua Saucony su di un Ghetto Blaster in modo da venire incontro il più possibile all’esigenza del brand mettendo la sneaker in primo piano.
Così facendo siamo riusciti a valorizzare il mio stile e allo stesso tempo comunicare il prodotto. Una volta terminata l’opera su muro è stata incredibile la sensazione che mi ha dato, come se all’improvviso fosse spuntato un mega Toy nel cuore di corso Garibaldi, tipo l’uomo Marshmallow dei Ghostbuster ma più colorato.

Fabio Tambosi

Dopo oltre 18 anni di esperienza nel campo, questa primavera sei diventato Chief Marketing Officer di Saucony. In un mondo che sembra muoversi sempre più velocemente, soprattutto se parliamo di moda e streetwear, qual è la chiave per riuscire a essere sempre originali e attuali? 

L’originalità deriva dal rimanere veramente legati al patrimonio e ai valori del nostro brand, assicurandoci allo stesso tempo di ascoltare la voce del consumatore. Noi di Saucony esistiamo per potenziare lo spirito umano, ad ogni passo, ad ogni corsa e in ogni comunità. La comunità è la chiave e per oltre 123 anni il marchio Saucony è stato alimentato con amore ed energia; ora siamo ulteriormente stimolati a continuare a condividere questa passione con la comunità della sneaker culture. L’autenticità dello streetwear è sempre una grande ispirazione quando si tratta di moda.

Per la design week avete deciso di coinvolgere EricsOne, cosa vi ha attirato di lui e cosa hanno in comune Saucony ed EricsOne? 

Saucony Originals EricsOne

Siamo entusiasti e orgogliosi di lavorare in collaborazione con EricsOne; è un incredibile storyteller e creator che incarna i valori del nostro brand per quanto riguarda l’auto-espressione, che si riflettono nel suo lavoro con l’iconica sneaker Shadow 6000.

Era importante per noi lavorare con un artista che avesse il potere di ispirare la nostra comunità portando gioia e ottimismo come celebrazione e invito a essere sempre la versione migliore di te stesso.

Negli ultimi anni abbiamo notato come i brand siano sempre più propensi a collaborare con artisti, designer, musicisti e creativi di ogni genere, come se alle persone non bastasse più un prodotto o una collezione, ma avesse bisogno di qualcosa in più, o di diverso. Credi che questa tendenza sia una cosa positiva che può portare il brand a farsi conoscere da un pubblico nuovo, o credi che il coinvolgimento di target differenti a lungo andare possa rivelarsi un ostacolo?   

Una collaborazione può essere una dichiarazione molto potente di valori condivisi. Due menti creative che si uniscono per una visione comune possono fungere da catalizzatore per liberare un potenziale non sfruttato, innovazione e design. Il nostro nome, Saucony, deriva da “saconk”, una parola dei nativi americani che tradotta significa “dove due fiumi scorrono insieme”, rappresentando l’unità e la creatività collettiva. Mentre continuiamo ad evolverci come marchio, vediamo le collaborazioni diventare una piattaforma che può umanizzare le nostre storie con una connessione più personale ed emotiva con il brand. Le collaborazioni simboleggiano l’intersezione di valori condivisi tra due mondi. 

Saucony Originals e EricsOne celebrano i 30 anni della Shadow 6000
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Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 

Giulia Guido · 2 giorni fa · Photography

Quando fotografi americani o europei si spingono nel cuore dell’Africa tornano a casa con scatti bellissimi, ma che spesso non rispecchiano la realtà. Così ci siamo abituati a un volto del continente africano che certamente esiste, ma non è l’unico: pensando a paesi come il Ghana, la Nigeria, il Benin e molti altri ci vengono in mente immagini caratterizzate da colori cupi, poco saturi e legate a storie dall’accezione negativa. Forse è proprio per questo che le fotografie di Derrick Ofosu Boateng ci sorprendono talmente tanto da farci venire il dubbio che siano finte, che siano scattate su un set preparato ad hoc, da un’altra parte del mondo. Invece no. Classe 1999, Derrick Ofosu Boateng è nato in Ghana e oggi vive nella sua capitale, Accra, che qualche anno fa si è trasformata nel suo set personale, sempre pronto per la prossima fotografia. 

Al contrario di molti, che hanno iniziato con corsi in accademie o università, Boateng ha cominciato a scattare solo quando il padre, per supportare la sua passione, gli ha regalato un iPhone, che è diventato immediatamente il mezzo attraverso il quale restituire una visione personale del Ghana. Allontanandosi dall’immaginario comune, le fotografie di Derrick Boateng immortalano la vera anima del suo Paese formata dalle persone che lo vivono. 

Dimenticatevi i grigi perché i suoi scatti sono una vera e propria esplosione di colori, vibranti e iper-saturi, la migliore dimostrazione di quanto la fotografia possa essere pop. 
Quello di Boateng è un punto di vista diverso, e forse il punto di vista di cui avevamo bisogno, su una cultura e una terra troppo legate a una narrazione negativa creata da chi quella terra non la vive tutti i giorni e non la chiama casa.

ph. courtesy Derrick Boateng

Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Photography
Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
Derrick Boateng e la fotografia che racconta una cultura 
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Ciò che viene nascosto

Ciò che viene nascosto

Giorgia Massari · 1 giorno fa · Photography

Le parole chiave di questo testo, ricorrenti e fondamentali per osservare le fotografie qui di seguito, si possono ritrovare nella fisicità, nell’orientamento sessuale, nel patriarcato e nella nudità. Ciò che questi termini, o meglio, questi macro-argomenti, hanno in comune è la penombra e, in alcuni casi, la totale assenza di luce. Con questi scatti e con questa riflessione, si ha l’intenzione di condurli fuori dal buio al quale spesso sono condannati. Illuminarli dunque, con la speranza che essi possano diventare temi condivisi e assorbiti nel tessuto sociale. Ciò che è vero e facilmente riscontrabile, è la difficoltà di affrontare determinati temi, soprattutto in relazione alla sfera femminile. Il corpo di una donna e come lei stessa si sente a riguardo, così come il suo orientamento sessuale, la sua posizione nella società o il suo stesso corpo nudo, sembrano essere ancora oggi temi disdicevoli o addirittura, in particolar modo in alcune società, proibiti e condannabili. Seppur una fetta della popolazione mondiale si stia muovendo in un’ottica di consapevolezza, accettazione e inclusione, questi temi non vengono mai del tutto sviscerati e trattati con la giusta attenzione. Attraverso la fotografia – e più in generale con l’arte – molte donne si sono espresse a riguardo. Qui sono le fotografe Giulia Frump, Leah DeVun, Rachel Feinstein e Despina Mikonati a parlarci di tutto ciò, con il loro sguardo femminile e intimo. 

Giulia Frump

Quattro fotografe distanti tra loro, in termini stilistici e contenutistici. Lontane geograficamente e anagraficamente, ma che trovano un loro punto di incontro nella volontà di urlare il loro desiderio di libertà al mondo. Osservando i loro scatti, emergono i quattro macro temi sopracitati, accomunati da un senso di liberazione e dalla volontà di rappresentare ciò che per secoli è stato nascosto. In Giulia Frump lo stereotipo del corpo femminile, l’ideale di perfezione del nostro secolo, viene superato da una danza di curve, linee morbide che si «adagiano in un abbraccio di pacificazione», come afferma la stessa fotografa. Lo stesso ricongiungimento con l’essenza del sé trova una particolare forma aurea negli scatti di Despina Mikoniati, che nel suo progetto Epilithic amalgama il corpo femminile con Madre Natura. «Madre Natura è colei che ci fa nascere e ci porta via. È la casa dei nostri corpi. Un luogo sicuro in cui esistere così come siamo», afferma Despina.

Despina Mikoniati

Se da un lato, Frump e Mikoniati indagano l’aspetto corporeo in relazione all’ambiente e al sé, le due fotografe Rachel Feinstein e Leah DeVun pongono la donna in stretto contatto con la sfera sociale che oggi abita. Feinstein affronta il tema universalmente, ragionando sul patriarcato e sullo spazio che le donne occupano nella società odierna. Ancora di più, la fotografa riflette sul modo in cui le donne vengono viste e rappresentate dallo sguardo maschile, facendo un particolare riferimento alla cinematografia degli anni Quaranta e Cinquanta, nel quale la condizione casalinga era particolarmente evidente. In questo senso, Rachel gioca su questi elementi, inserendo nei suoi scatti oggetti legati alla sfera femminile – quali il ferro da stiro, i tacchi, il tacchino arrosto su una tavola imbandita – ed esalta la condizione di reclusione domestica. La sua intenzione è quella di creare un disagio negli occhi di chi guarda, con l’obiettivo «di portare l’attenzione sui piccoli momenti che costituiscono l’esperienza femminile più ampia e di incoraggiare conversazioni che ispirino il cambiamento.»

Rachel Feinstein

Leah DeVun, invece, sceglie di rappresentare un gruppo specifico di donne che da questo tipo di società ha scelto di evadere. Sono i gruppi di donne lesbiche che, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, ma anche oggi, hanno deciso di formare comunità utopiche e rivoluzionarie per portare avanti la liberazione del genere femminile. La ricerca di DeVun è volta a riscoprire queste comunità, taciute e nascoste, che costituiscono luoghi di grande creatività e cultura. «La visibilità è fondamentale per qualsiasi comunità, ma le lesbiche hanno subìto molte cancellazioni storiche e mancanza di rappresentazione» – afferma Leah DeVun, aggiungendo – «non vediamo abbastanza immagini di lesbiche o non conosciamo la storia delle lesbiche. Nelle comuni, le donne fotografe cercavano di contrastare questa invisibilità creando le loro immagini della vita lesbica, e anch’io sto cercando di farlo con il mio lavoro.»

Leah DeVun

Seguendo il fil rouge che unisce le quattro protagoniste di questo testo, si scoprono altrettanti artisti che oggi scelgono di affrontare discorsi considerati ostici e complessi, con l’intenzione di svicerarli fino a ridurli all’osso. Per cucirli, dunque, all’interno del tessuto della normalità, per non considerarli più temi altri, ma parte dell’ordinario flusso sociale.

Despina Mikoniati

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Ciò che viene nascosto
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Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Come le fotografie di Celine Van Heel intercettano la fotografia di moda

Anna Frattini · 10 ore fa · Photography

Nel mondo della fotografia di moda, dove la perfezione e la giovinezza vengono spesso messe al primo posto, Celine van Heel si distingue come una fotografa che abbraccia l’autenticità e l’unicità. Nata ad Atene e di origine spagnola e olandese, il viaggio di Celine nella fotografia è iniziato solo tre anni fa, ispirata da suo nonno che a 91 anni è anche diventato uno dei suoi soggetti. La sua bravura nel catturare momenti estremi ed esagerati l’ha portata a realizzare immagini che sfidano le norme convenzionali della fotografia di moda per come la conosciamo. Ma come si intrecciano le fotografie di Celine Van Heel con la fotografia di moda?

La magia degli scatti di Celine van Heel sta sicuramente nella sua visione distintiva che celebra individualità e inclusività. Il percorso di Celine nel mondo della fotografia ha preso una svolta a partire dalla sua avventura con “The Spanish King”, un account Instagram dove decide di condividere fotografie che ritraggono suo nonno come modello. Attraverso questo approccio, la fotografa ha iniziato un viaggio alla scoperta della bellezza delle rughe e dell’invecchiamento, dimostrando come l’età non dovrebbe mai essere un fattore limitante, neanche nella fotografia

Gli scatti di Celine non potevano che essere notati da prestigiose riviste come Vogue, GQ e L’Officiel. Queste collaborazioni dimostrano che modelli non convenzionali possono lanciare messaggi altrettanto potenti e ispirare cambiamenti all’interno di un settore così complesso come quello della moda. Celine crede nell’uso della fotografia di moda come strumento utile al cambiamento, incoraggiando l’industria a ridefinire i suoi standard e ad abbracciare la diversità, indipendentemente dall’età o dall’aspetto dei modelli. 

Il processo creativo di Celine Van Heel si intreccia con la fotografia di moda in modo autentico, liberatorio e d’impatto. La sua decisione di presentare suo nonno come modello sfida le nozioni di bellezza ed età all’interno del settore. Attraverso il suo lavoro, incoraggia la moda ad abbracciare diversità e unicità, fornendo agli individui tutti gli strumenti per sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Con il suo audace uso del colore e dell’estro creativo, le immagini di Celine vanno oltre la fotografia di moda convenzionale, trasformandola in una forma d’arte vera e propria.

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Courtesy Celine Van Heel

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Cinque foto scattate al momento giusto

Cinque foto scattate al momento giusto

Collater.al Contributors · 6 giorni fa · Photography

Il tempismo è tutto. Lo sanno bene i fotografi street che passano ore ad aspettare il momento giusto per realizzare uno scatto sensazionale. Per creare una composizione che agli occhi del pubblico potrebbe sembrare “fortunata” e casuale. In realtà, dietro questi scatti c’è uno straordinario sincronismo tra occhio, mente e macchina fotografica. Oggi abbiamo selezionato cinque scatti per esplorare l’abilità di questi fotografi, testimoniando come abbiano saputo cogliere istanti fugaci che trasformano una semplice immagine in una storia senza tempo.

#1 Lorenzo Catena

© Lorenzo Catena

#2 Dimpy Bhalotia

© Dimpy Bhalotia

#3 Giuseppe Scianna

© Giuseppe Scianna

#4 Federico Verzi

© Federico Verzi

#5 Andrea Torrei

© Andrea Torrei

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Giuseppe Scianna
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Andrea Torrei

Selezione di Andrés Juan Suarez

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