“Stellar”, l’installazione di Inclume nella Cattedrale di Lincoln
Lo studio Inclume ha perfezionato la sua ultima opera intitolata “Stellar” nella Cattedrale di Lincoln. Un’installazione di luce architettonica che attraverso una scatola forata dà vita a un fascio di luce magico.
Un portale quasi magico appunto, pieno di stupore e meraviglia, da ammirare quando il sole comincia a tramontare. Una creazione che invoglia i passanti a indagare sulla sua fonte, portandoli a scoprire gli spazi nascosti e non illuminati della cattedrale.
I pilastri in pietra naturale traforata fanno eco all’architettura verticale della cattedrale in un design raffinato e compatto.
Inclume è uno studio di progettazione architettonica creativa. Il suo lavoro abbraccia una vasta varietà di discipline, dall’architettura residenziale, culturale, lavorativa ed educativa su misura, alla progettazione di installazioni, interni, esposizioni e anche ogetti di design come Tetra, una barca sostenibile.
“Stellar” con le sue proiezioni e suoi fasci di luci evoca il confronto con il cielo notturno. La semplicità intrinseca delle parti costitutive permette agli spettatori di concentrarsi sulla luce emessa e sulle ombre che ne derivano, i cui effetti possono essere paragonati a quelli delle vetrate della chiesa.
Quando chi guarda l’installazione si muove intorno ad essa le ombre si trasformano, creando un’interazione giocosa e gioiosa con quello che può essere definito un “recinto” artificiale. L’obiettivo dello studio è che l’installazione possa trasportaci in un viaggio ultraterreno, quasi mistico.
Di notte capita che la testa si appesantisca, ricolma di idee e pensieri in disordine; che il sonno tardi ad arrivare o che non arrivi mai. Quando questo succede, si prova a uscire nonostante il buio, il freddo o il maltempo. La necessità d’aria fresca aumenta e il silenzio notturno attrae, perciò ci addentriamo nell’ombra di luoghi che sembrano essere mutati al variare della luce. Appaiono diversi, non più familiari o immuni al cambiamento come credevamo che fossero. Questo tipo di suggestione è il fil rouge che lega le immagini di Henri Prestes, portoghese e artista della fotografia cinematografica: uno storytelling immersivo, emotivo e a tratti surreale.
Quando si riesce a creare qualcosa capace di toccare i nervi scoperti dell’osservatore, è possibile suscitare emozioni turbolente: davanti a questi lavori, c’è chi si sente scosso, disturbato e chi ammaliato o finalmente compreso. Non sono le fotografie a essere aggressive o affascinanti: siamo noi, sono le sensazioni con cui decidiamo di riempire le atmosfere evocate da Henri Prestes.
Spontaneamente, empatizziamo.
Prendiamo parte alla scena rappresentata, degna di un film, e, osservandola attentamente, possiamo estrarne anche la colonna sonora.
Sospesi nel mistero dei paesaggi rappresentati, vaghiamo, così come fanno i personaggi che abitano queste fotografie. Nella collezione Perfect Darkness, in particolare, il senso di sospensione viene accentuato dalla palette acquamarina, lasciando che l’introspezione prenda il sopravvento.
Raramente, però, il nostro sguardo viene abbandonato a se stesso. Spesso, siamo accompagnati da una presenza umana – anche se a tratti appare aliena -, o da una luce, magari flebile, magari lontana, ma esistente. Questa compagnia può essere un ulteriore elemento ansiogeno così come rincuorante e, ancora una volta, dipende da noi e dal nostro inconscio.
Si parla quindi d’arte, tanto che si fatica a distinguere queste immagini da fotografie a dipinti. Siamo chiamati a un’intimità emotiva a cui non siamo abituati, ma che possiamo allenare e ricercare nel feed Instagram di Henri Prestes o sul suo sito web.
Sensuali e intimi, sono gli scatti di Aurelie Lagoutte, fotografa francese con base a Londra. Aurelie è nata in Francia, è cresciuta in una città vicino a Lione per poi, trasferirsi a Parigi dove ha scoperto quasi per caso la passione per la fotografia. È successo durante un servizio fotografico con Sebran d’Argent, per il quale lei faceva la make-up artist. Come per magia è rimasta affascinata dalla fotografia analogica, dal suo processo lento.
È stato allora, circa dieci anni fa, che Aurelie Lagoutte ha comprato la sua prima macchina fotografica analogica, una Rollei 35, e da autodidatta ha cominciato a scattare e a sperimentare, volgendo immediatamente il suo obiettivo verso il corpo femminile.
I suoi ritratti e i suoi nudi sono omaggio e scoperta del corpo che, finalmente libero dai vestiti, si può mostrare per come è realmente. L’attenzione della fotografa si posa su tutto ciò che rende un corpo unico, le forme, le curve, le cicatrici e i piccoli difetti.
La stessa Aurelie non si sottrae all’obiettivo e, oltre a scattare gli altri, spesso – come è successo l’anno scorso durante il lockdown – si mette lei davanti alla macchina fotografica, creando stupendi autoritratti.
Oggi Aurelie Lagoutte vive e lavora a Londra, a Shoreditch, e i suoi scatti continuano ad avere quel je ne sais quoi che ci fa sognare di essere i protagonisti del suo prossimo scatto.
Qui sotto trovate una selezione dei suoi lavori, ma per scoprirne di più seguitela su Instagram e visitate il suo sito.
Souvenir d’un Futur, il progetto fotografico di Laurent Kronental
Erano gli anni ’50, quando per affrontare la crisi degli alloggi, l’arrivo nei grandi centri urbani di immigrati stranieri e non solo e soddisfare le nuove esigenze di comfort, nacquero intorno a Parigi i cosiddetti “Grands Ensembles”. Si tratta di enormi centri abitativi caratterizzati da un design modernista che dalla loro costruzione ad oggi hanno attraversato diverse fasi.
All’inizio, la loro monumentalità portava con sé un sogno, simbolo della ripresa dalla guerra e di un’inarrestabile modernizzazione. Col tempo però, tutti i difetti di questi luoghi si sono evidenziati – la lontananza dai centri delle città, i pochi collegamenti, la mancanza di luoghi di ritrovo e dedicati alla vita pubblica – e pian piano sono diventati dei posti semi-fatiscenti, testimonianza di un futuro che non si è mai verificato.
Lucien, 84, Les Espaces d’Abraxas, Noisy-le-Grand, 2014
Qualche anno fa, il fotografo franceseLaurent Kronental è rimasto a dir poco affascinato dai “Grands Ensembles” presenti intorno a Parigi, tanto da dedicargli un intero progetto. “Souvenir d’un Futur” è il risultato di 4 anni di esplorazioni tra questi centri abitativi, da “Les Damiers” a Courbevoie a “Les Tours Aillaud” a Nanterre, dal PavéNeuf e l’Espaced’Abraxas a Noisy-le-Grand alla Cité Curial-Cambrai nel XIX arrondissement.
Ma il titolo malinconico ci svela qualcos’altro.
Le Pavé Neuf, Noisy-le-Grand, 2015
Infatti l’obiettivo della sua camera 4×5, oltre a catturare le forme delle architetture, si posa anche sui volti di coloro che le abitano e che come esse sono stati in un certo senso abbandonati: gli anziani.
Il legame tra ambiente e uomo non potrebbe essere più forte e netto: gli edifici che una volta rappresentavano il futuro ora vivono un periodo di degrado, dimenticati dalla società e, a volte, in attesa di essere abbattuti per fare spazio a qualcosa di nuovo. Con l’amaro in bocca, non possiamo che ammettere che è esattamente ciò che succede alla maggior parte degli anziani, costretti a vivere in una società focalizzata sempre di più sui giovani e che spesso e volentieri lascia indietro, dimentica i suoi rappresentati più vecchi.
Jean-Claude, 82, Les Espaces d’Abraxas, Noisy-le-Grand, 2014
Denise, 81, Cité Spinoza, Ivry-sur-Seine, 2015
In “Souvenir d’un Futur” questa sensazione di abbandono e oblio è sottolineata da diverse scelte tecniche e di stile: Laurent Kronental ha deciso di scattare al mattino presto, con le strade vuote e senza persone in giro per dare una maggiore sensazione di desolazione; ha utilizzato una camera 4×5 che gli ha dato la possibilità di usare la tecnica tilt-shift, perfetta per fotografare edifici e catturare tutta la monumentalità dell’architettura; ha volutamente escluso i giovani – sebbene anch’essi vivano nei “Grands Ensembles” – per lasciare spazio ai veri protagonisti di questi luoghi.
Joseph, 88, Les Espaces d’Abraxas, Noisy-le-Grand, 2014
E così, attraverso gli scatti di Laurent Kronental seguiamo i segni del tempo sulle facciate di questi edifici evanescenti, ma anche sui volti delle persone, nei loro sguardi, tristi e fieri allo stesso tempo, anch’essi simboli di una generazione che fu giovane e forse continua ad esserlo.
Souvenir d’un Futur, il progetto fotografico di Laurent Kronental
Photography
Souvenir d’un Futur, il progetto fotografico di Laurent Kronental
Souvenir d’un Futur, il progetto fotografico di Laurent Kronental
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Gli autoritratti concettuali di Nassia Stouraiti
Trucco, creatività, una visione concettuale delle cose e uno stile personale unico, sono questi i quattro ingredienti chiave degli autoritratti di Nassia Stouraiti, giovane fotografa autodidatta greca.
Nassia ha 22 anni, ha studiato legge e comunicazione all’Università Nazionale Kapodistriana di Atene e da sempre la sua passione è la fotografia. Nei suoi scatti è la protagonista della scena, usa se stessa come una tela bianca, immortala il suo volto come un quadro e lo arricchisce con trucchi e colori diversi.
La sua visione estetica del mondo prende ispirazione dal cinema e da grandi registi europei come Federico Fellini, Ingmar Bergman, Pedro Almodóvar e Paolo Sorrentino. Nonostante lavori e sperimenti a fondo con la macchina fotografica, il sogno di Nassia Stouraiti è lavorare con la settima arte. Così, esattamente come questi grandi registi, anche lei, a suo modo, sembra voler scavare a fondo nella sua interiorità e analizzare concetti esistenziali con la fotografia. I suoi scatti portano con sé un messaggio profondo sull’identificazione, l’immagine della donna, il rapporto con l’altro, il sogno e la realtà.
Dopotutto però la sua arte è concettuale, quindi va guardata, apprezzata e interpretata personalmente.