Senza paura di essere smentito mi sento di affermare che il mondo della moda nel 2021 è stato fortemente caratterizzato delle collaborazioni, per usare un eufemismo. Una quantità di joint venture senza precedenti hanno segnato un nuovo approccio, una nuova narrazione da parte anche delle maison dell’high fashion che a differenza del passato hanno spinto molto di più sulle partnership. Abbiamo anche assistito a un fenomeno che mai si era verificato prima: il mash up tra due player dell’alta moda. Ma andiamo per gradi.
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Le collaborazioni di base sono sempre state viste come una possibilità di dare sfogo alla creatività, oltrepassando quei limiti in cui spesso i brand sono confinati. Chiaramente esiste anche il lato economico della faccenda, grazie al quale marchi più piccoli o che magari attraversano un periodo di calo – sia di vendite che di appeal – possono godere della luce riflessa del brand più grande con il quale uniscono le forze.
Il 2021 però ha visto il superamento di questa dinamica consolidata e si è dato il via libera a una nuova forma di collaborazione/partnership, quella tra big brand.
Versace con Fendi, l’hacking project di Balenciaga e Gucci, Dior e Sacai, il binomio creativo tra Miuccia Prada e Raf Simons sono solo alcuni degli esempi di questa nuova direzione che sembra puntare tutto, più che sulla creatività, sulle dinamiche che dominano il fashion system, che sono le stesse che dettano i tempi della nostra quotidianità e del nostro lavoro in molti casi, quelle iperveloci e immediate dei social network. Credo sia retorico citare nuovamente la questione economica, dato che questa parte resta sempre la più importante di tutte: i brand devono portare ricavi e le collaborazioni sono un viatico sempre molto utile.
In questo ultimo anno abbiamo assistito a una sorta di polarizzazione della moda verso l’hype che ha piegato in maniera inesorabile le logiche e i tempi del fashion system, molto di più della pandemia, ma su questo torneremo. Una costante necessità di novità che però cozza col concetto stesso di creatività.
I fruitori non si accontentano, vogliono di più e lo vogliono nell’immediato, sentono la necessità di acquistare cose “nuove”. Il problema vero però è che molto spesso le collaborazioni sono per lo più cose che abbiamo già visto e che magari attingono dalle collezioni già presentate, rimpastate in un’orgia di loghi che soddisfa(?) esclusivamente la vista e molto poco l’intelletto.
Non è un caso che, ad esempio, Fendi e Versace abbiano presentato la loro collaborazione solo pochi giorni dopo le rispettive sfilate della Spring/Summer 2022. Un apparente sovraccarico in piena controtendenza con quello che l’intero mondo della moda si era prefissato allo scoppio della pandemia: normalizzazione del ciclo produttivo, stop alle 4 collezioni annuali, sfilate uniche sia per le collezioni maschili che per quelle femminili. Sembra tutto dimenticato – non generalizzo chiaramente parlo di una tendenza – in virtù della necessità di rispondere a un sistema economico che invece spinge sempre più forte e pretende il massimo, sempre.
Un cortocircuito che, anche alla luce delle ultime notizie sullo sviluppo della pandemia che ci vede ancora ostaggi, rispecchia la vanità e le logiche di mercato dei grandi gruppi internazionali del lusso che posseggono i marchi più importanti come Kering (Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, etc.) e LVMH (Louis Vuitton, Christian Dior, Fendi, Céline, Marc Jacobs, Givenchy, Kenzo, Loro Piana, etc.).
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Tutto questo però non toglie che la parte emotiva che viene sollecitata quando veniamo a conoscenza di una nuova collaborazione tra due big player, o tra due brand streetwear, continui a rilasciare quella dose massiccia di endorfine contro la quale c’è poco da fare. Chi scrive è un appassionato, un amante di questo mondo e proprio per questo il fatto che molte cose mi piacciano non significa siano necessariamente innovative, etiche, sensate o rispecchino una sorta di coerenza di massima. Ci si può anche sedere, osservare e godersele ma in un contesto come quello contemporaneo tirare fuori ogni tanto il proprio spirito critico non fa male, a prescindere da tutto.
La moda è un’industria e oggi è anche intrattenimento e come tale si muove, giusto o sbagliato che sia (secondo sempre il pensiero personale di ognuno) e va valutata anche tenendo ben presente le dinamiche in essere.
Concludo dicendo che il rumore delle collaborazioni di questo 2021 è stato fortissimo, come non ci aspettavamo e come non avevamo mai sentito prima. Spero che il 2022 sia caratterizzato da suoni più dolci, meno urlati (ma questo resta un mio personalissimo auspicio) e che l’industria della moda si ponga una domanda: ne avevamo bisogno?