La nozione del fotografo malinconico non è una novità. Le sue immagini possiedono quella malinconia che lui descrive come “una sorta di tristezza poetica, un modo di affrontare la vita e la luce dove la morte è sempre presente”.
Nel 1968, Anders Petersen assetato entrò per caso al Café Lehmitz: ordinò una birra, appoggiò la macchina fotografica su un tavolo e andò in bagno. Di ritorno, trovò i clienti del bar intenti a scattarsi fotografie lun laltro.
La sete non era soltano sua.
Il Lehmitz Café era ai confini della zona a luci rosse di Amburgo “die sündige Meile” (il miglio peccaminoso).
I suoi clienti erano un mix di operai, prostitute, magnaccia, alcolizzati, ladri, omosessuali, nani, travestiti e altri che sedevano ai margini della società ed è proprio all’interno di questo cast di personaggi che Anders Petersen scattò le 88 fotografie in bianco e nero che compongono “Cafe Lehmitz” edito da Schirmer Mosel nel 1978. Questa banda di disadattati sono i tipi che nel mondo convenzionale sarebbero visti come un fallimento o probabilmente guardati con disgusto, ma nulla di tutto ciò si trova in queste fotografie dove il peccato non esiste perchè tutti sono accetti e anche la più vecchia e squallida prostituta viene sommersa di baci.
“When I looked at Café Lehmitz years afterwards, I suddenly realised it was just like a typical family album. […] It was a real lesson for me, a young, respectable boy from Sweden. A lesson in how to live.”
Da Cafè Lehmitz a progetti più recenti come Gröna Lund, Du Mich Auch, Close Distance, FrenchKiss, City Diary, FromBackHome (una collaborazione con il collega fotografo svedese JH Engström), la fotografia di Petersen è incontrare se stessi nell’incontro degli altri, è lasciarsi sorprendere sentendosi parte del genere umano.
Non so come Tom Waits abbia scoperto Café Lehmitz, ma non poteva scegliere copertina migliore per “Rain Dogs”.
“After a while, I did not know what I was doing in Café Lehmitz and that is when I felt at home”
Anders Petersen