Collyrium – Claudio Caligari e il cinema della liberazione

Andrea Jean Varraud · 4 anni fa
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Il nome Claudio Caligari sicuramente ai più non dirà assolutamente niente. È molto più probabile che suonino familiari nomi di opere come Amore Tossico o Non essere cattivo. Se nemmeno questi due titoli vi suggeriscono niente, allora vuol dire che è proprio il caso di andare a raccontare, in qualche riga, la personalità di Claudio Caligari, uno dei registi del nostro secolo che più si è occupato di raccontare il degrado e le borgate del “Bel Paese” in modo completamente fuori dagli schemi e underground.

Il cinema di Caligari non è un cinema difficile, né un cinema particolarmente raffinato, è piuttosto un cinema reale, un cinema vero, dove la più alta prerogativa del regista è quella di dare uno spaccato sociale il più autentico possibile, intrecciando spesso la narrazione sceneggiata ad un metodico approccio documentarista. Ecco perché Caligari inizia la sua carriera proprio dal documentario, per passare solo dopo più di un decennio dal suo esordio alla realizzazione di un lungometraggio.

Ma procediamo con calma. Il senso artistico del regista si forma da appena bambino, quando con i genitori andava spesso in sala ed assisteva a quel cinema Neorealista che proprio in quegli anni andava gradualmente a modificarsi in qualcosa di diverso.

Ma negli anni successivi, con l’avvento degli anni ‘60, il giovane Caligari si appassiona alla Nouvelle Vague nelle quali scorge uno straordinario respiro di libertà. Non tanto nelle trame, quanto più nell’appoggio registico: i film erano fatti come si voleva, spesso anche con poco budget e le produzioni erano meno vincolanti rispetto a quelle dei decenni a venire.

Tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70 il cinema si stava trasformando, ma non solamente il cinema. Sono questi gli anni delle grandi contestazioni, gli anni delle subculture, gli anni della liberalizzazione. Proprio in questo contesto di ribellione, Caligari si arma di videocamera ed inizia a girare i suoi primi documentari. Si intravedono già i temi che andrà a sviscerare successivamente anche nei suoi, purtroppo pochi, lungometraggi.

Primo fra tutti un documentario dal titolo Perché droga del 1976, dove non interviene come regista ma come scrittore, la regia è infatti affidata a Daniele Segre e Franco Barbero. Questo lavoro, come suggerisce il titolo stesso, racconta le giornate di un gruppo di tossicodipendenti che orbitano nella provincia di Torino, più precisamente nel quartiere di Miranofiori Sud. Successivamente arrivano altri documentari, incentrati sulle realtà di contestazione e sull’underground italiano. Lo stesso regista infatti ha detto:

«Due cose caratterizzavano quei documentari: i mezzi leggeri e il sommovimento ideale compreso fra, diciamo, il 1968 ed il 1978. Mi piaceva entrare a contatto con aspetti estremi della vita e riprenderne le dinamiche e la forma documentaristica era l’ideale per mantenerne viva la veridicità e la portata.»

Contemporaneamente a queste fatiche documentaristiche, il regista si inizia ad appassionare al cinema più narrativo e frequenta, in veste di aiutante, i set di personalità come Bellocchio e Pasolini. Finalmente nel 1983, al Festival di Venezia viene presentato il suo primo lungometraggio: Amore Tossico, film che negli anni è diventato un vero e proprio cult. Il film segue le vicende di alcuni ragazzi della periferia romana con la passione per l’ago e il cucchiaino. Ma al di là della trama, pressoché inesistente, e del tema, forse per noi inflazionato nel 2019, il film fu una vera e propria innovazione. Amore Tossico vanta infatti un enorme lavoro di pre-produzione dove il casting e la scrittura rivelano un ruolo fondamentale, più che in moltissime opere a questa contemporanee. Venendo dal mondo del documentario, Caligari desiderava raccontare il mondo della borgata per quello che era, senza filtri di alcun tipo. Per fare questo il regista ha pescato tutto il cast dalla strada, reclutando attori non protagonisti della zona. Ma non solo. Come dicevo anche la sceneggiatura è stata completamente adattata e modificata in corso d’opera, tenendo ben conto dell’opinione degli attori locali che spesso e volentieri usavano il gergo giusto. Un altro aspetto innovativo di Amore Tossico è l’intento con il quale è stato girato. Caligari non voleva denunciare l’abuso di eroina, voleva semplicemente raccontarlo per quello che era, andando, spesso e volentieri, a descriverne i lati comici o grotteschi. Come anticipato qualche riga sopra, il film fu presentato al Festival del Cinema di Venezia dove si guadagnò Il premio Speciale nella sezione De Sica, ma nonostante questo successo di critica, la pellicola subì purtroppo alcune peripezie, venendo quindi distribuito in bassa tiratura e quindi in pochissime sale Italiane.

Dopo il successo, tanto di critica quanto poco commerciale di questa prima opera, bisognerà aspettare quindici anni prima di vedere il nome di Caligari proiettato sul grande schermo. Infatti in questi anni di apparente nullafacenza, il regista esordiente produsse un gran numero di sceneggiature che, per un motivo o per un altro, non vennero mai realizzate.

Ma finalmente nel 1998 arriva nelle sale L’odore della notte, film di straordinaria bellezza che parla di una banda di rapinatori della periferia romana specializzato in furti nella Roma bene. La vicenda, tratta da un fatto di cronaca, vanta grandi nomi nel cast tra i quali spicca per il ruolo di protagonista un giovane Valerio Mastrandrea, per la prima volta in un ruolo drammatico. Affianco a lui ed a Giorgio Tirabassi, ovviamente vediamo anche un buon numero di volti rubati alla strada, tra cui quello di Emanuel Bevilacqua. Nonostante questa pellicola appartenga al film di genere italiano, Caligari trova la sua ispirazione nei film della nouvelle vague, scrivendo il personaggio di Mastrandrea avendo sempre in mente Jean Paul Belmondo.

Il film, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia, riscuote un discreto successo di critica ma purtroppo non porta il regista sotto i riflettori come sperato. È infatti l’ultima opera del regista italiano a portarlo sulla bocca di tutti. Anche questa volta bisogna aspettare più di 15 anni per vedere un suo nuovo lavoro ed il film in questione è Non essere cattivo. Questo film è un sequel concettuale di Amore tossico. L’ambientazione è sempre la stessa, Ostia, questa volta però non più agli inizi degli anni ‘80, ma nella metà degli anni ‘90. Non essere cattivo segue le vicende di due amici di vecchia data, uniti dall’amore per la techno e per la costante voglia di “svoltarla”. Il regista per questa sua ultima opera si serve di attori esordienti (che ora sono di fama internazionale) ovvero Luca Marinelli e Alessandro Borghi, ancora una volta però circondati da attori/persone del luogo.

Non essere cattivo è un film passato alla storia, tanto che fu proposto come film italiano agli Oscar del 2016. 

Purtroppo, quest’ultimo sforzo del regista è stato veramente l’ultimo. Dopo pochi giorni dalla fine delle riprese, Claudio Caligari muore a Roma, in mezzo ai suoi cari e ai suoi collaboratori cinematografici che lo ricordano come un vero genio contemporaneo.

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