Uno dei progetti più curiosi di questa Milano Design Week, è senza dubbio la mostra Desacralised, organizzata dalla Galleria Philia e allestita nella Chiesa sconsacrata di San Vittore e 40 martiri, situata a pochi passi dalla fermata della metro Corvetto, al 18 di viale Lucania.
Il passaggio dal caotico viale all’interno della ex chiesa è stupefacente: una musica a tratti ecclesiastica avvolge lo spettatore che viene catapultato in un ambiente in un cui il tempo sembra essersi fermato. Gli oggetti di design selezionati e realizzati appositamente per la mostra, ragionano sul concetto di desacralizzazione, sottraendo l’elemento sacro e lasciando solo l’aspetto funzionale. Più di venti designer, da Rick Owens a Pierre de Valck, da Elsa Foulon a Studio Kare, occupano lo spazio dell’unica navata affrescata con oggetti esclusivamente bianchi, rimandando al marmo e a quei materiali tipicamente utilizzati all’interno delle chiese. L’effetto scaturito è armonioso: il design contemporaneo si sposa con l’ambiente religioso, che lascia gli spettatori senza fiato, inconsciamente portati a restare in un rispettoso silenzio.




Tra gli oggetti presenti, domina lo spazio il grande lampadario posto al centro “Cascades of light” di Morghen, che riproduce in chiave contemporanea la forma del tipico lampadario a bracci. Altre “fonti luminose” sono qui proposte: dalle tre lampade “a conchiglia” di Elsa Foulon poste sull’altare, al “Ritus Candelabra” di Andrés Monnier che riprende l’impostazione di un candelabro votivo.
Oltre alle lampade, la Galleria Philia propone una selezione di tavoli e sedute, tra cui la “Tomb chair” di Rick Owens e il tavolo treppiedi “She’s Lost Control” di William Guillon. La selezione continua con vasi, come quelli in onice bianca di Lucas Morten, e altri oggetti più caratterizzanti e ambigui come lo specchio “Void floor mirror” di Boldizar Senteski che riflette un’immagine affievolita, a tratti spettrale e l’urna in ceramica “Desacralised trophy” di Willem Van Hooff, posta all’ingresso-uscita per sancire, come in un rituale, l’inizio e la fine della mostra.






Credits fotografici: Andrés Juan Suarez