Emma Barreca ha 31 anni, si occupa di marketing e comunicazione come freelance e su Instagram è @hypoison. Con i suoi oltre 100.000 follower è una delle utenti più seguite in Italia pur essendo, per fortuna sua, una perfetta sconosciuta. Ho un debole dice di sé – per tutto quello che riguarda l’espressione visiva (e quindi cinema, fotografia, graphic design, illustrazione): la vista è un senso di cui abuso decisamente.
– Ho studiato il tuo profilo e la prima foto risulta essere il 10 novembre 2010. Un mese dopo la nascita di Instagram. Dunque quando apri @hypoison e come hai scoperto ig. Inoltre è proprio quella la tua prima foto?
– Ho scaricato e installato Instagram diversi giorni prima di caricare e condividere la prima foto, per cui l’app è rimasta un po’ in stand-by sul mio iPhone, in attesa di giudizio. L’ho scaricata perché continuavo a vederla segnalata sull’App Store, e mi sono detta: Vediamo come mai piace così tanto. In realtà pensavo fosse una semplice app di editing fotografico, e quando invece mi sono resa conto che serviva più che altro per la condivisione di foto ho avuto qualche esitazione. Per questo motivo ci ho ragionato un po’ prima di registrarmi e cominciare a utilizzarla effettivamente. Riguardo alla mia prima foto, sì, è proprio quella! Un chiaro test, quasi anticipatore del trend degli autoscatti davanti allo specchio del bagno poi diventati così popolari su Instagram.
– Hai uno stream con 433 foto: o scatti poco o hai cancellato le foto. Confessa?
– Confesso. Scherzi a parte: credo di aver cancellato una manciata di foto, quindi non così tante da stravolgerne il totale. Come avrai visto ci sono stati anche periodi in cui sono stata decisamente poco attiva. In realtà scatto moltissimo, ma diciamo che non ho la smania di condividere. Evidentemente funziono al contrario, scatto a raffica ma condivido su Instagram solo quando sono ispirata.
– In generale hai un gran seguito: quando è avvenuto il momento di passaggio da comune mortale a essere una delle utenti italiane con più follower su Instagram?
– C’è stata una vera e propria esplosione nel momento in cui sono stata inserita da Instagram nella pagina degli utenti suggeriti, dove sono rimasta ininterrottamente dal lancio della funzione (credo fosse l’inizio del 2011) fino a pochi mesi fa. In poco tempo ovviamente prima dello sbarco delle star e dei grandi brand su Instagram mi sono ritrovata anche nella classifica internazionale dei Top 100 instagramers, che è una bella soddisfazione. Ad ogni modo, prima di essere suggerita direttamente da Instagram avevo già raggiunto circa 15 mila followers (tutti conquistati con il sudore della fronte). Numeri che all’epoca rappresentavano già un bel traguardo. Inizialmente hanno giocato a mio favore le molte segnalazioni (o shoutout, come vengono spesso definiti) ricevute da parte di utenti già molto influenti, e anche la visibilità offerta dalla Popular Page (recentemente rinominata Esplora) dove sono arrivate molte delle mie foto.
– Ho visto, come dicevo prima, che pubblichi poche foto, ma ti ho visto però scattarne tante. Parliamo un momento della differenza scattare e pubblicare: come scegli, qual è la tua linea editoriale, quali sono le motivazioni che ti portano a dire “pubblico?”
– Per me Instagram è sempre stato un mezzo, e non un fine. Io scatto a prescindere, perché riesco ad esprimermi e trovo interessante e utile fermare pensieri e momenti in una fotografia?. La condivisione è una fase diversa, dove entrano in gioco altri fattori. Probabilmente mi sono abituata a usare Instagram come un Flickr per foto con smartphone, quindi sono poche le occasioni in cui scatto proprio con la finalità di condividere le foto in tempo reale. Spesso sono assorbita da altri impegni, e non riesco a dedicarmi al processo di selezione che trasforma una foto in una foto postata su Instagram; oppure scatto foto che hanno un valore personale, che non nascono per essere pubblicate. In generale, diciamo che condivido le foto che mi piacciono di più, quando penso che abbiano qualcosa a livello estetico o comunicativo che può interessare anche agli altri. Magari, sfogliando il mio camera roll (sempre straripante), l’occhio mi cade su una particolare foto che in quel momento mi colpisce. Sono convinta, infatti, che le foto assumano sfumature diverse quando l’emozione legata al momento dello scatto viene meno; quindi pubblicando subito rischio di rivedere la foto dopo qualche giorno e quasi non riconoscerla, o non apprezzarla allo stesso modo al di fuori del contesto in cui è stata scattata. Oppure accade il contrario, e magari una foto scattata e dimenticata ti dice qualcosa di nuovo in un momento successivo. Diciamo che per me il momento dello scatto è molto istintivo, all’opposto della condivisione (salvo rari casi).
– I titoli che ruolo hanno nelle tue foto ora e in passato?
– All’inizio non li mettevo mai. Un titolo indubbiamente completa la foto, di solito ne suggerisce una chiave di lettura. Per questo li omettevo, per vedere che tipo di impressioni spontanee suscitavano negli altri utenti, cercando proprio un confronto tra il titolo immaginario che le foto avevano nella mia testa e quello che realmente la foto comunicava agli altri. Adesso, invece, metto un titolo o almeno una didascalia per ogni foto che condivido, e devo dire che quando vedo immagini prive di qualsiasi descrizione mi sembra che manchi effettivamente qualcosa. Ma è solo una questione di abitudine, probabilmente.
– Fase di “scatto” e fase di “editing”: come scatti, come editi, come decidi cosa usare?
– Confesso di essere un po’ pigra e, come dicevo, preferisco scattare senza perdermi in troppe impostazioni e settaggi (è anche per questo che mi sono trovata subito a mio agio con l’iPhone). Per cui, molto semplicemente, scatto con l’applicazione nativa dell’iPhone, edito al massimo con Snapseed e poi carico su Instagram. Ogni tanto faccio esperimenti con altre app (in pratica colleziono quelle per il fotoediting, che regolarmente scarico e alla fine non utilizzo), ma diciamo che questo tipo di postproduzione non rientra nel mio workflow abituale.
– Come è cambiata la tua “produzione”: ad esempio le cornici, prima c’erano ora mi pare meno. Le usi, non le usi?
– In un certo senso, la mia produzione, è cambiata come è cambiata Instagram. Una volta c’erano solo filtri con i bordi, per cui la scelta era obbligata. Ora che posso scegliere di non usarli, invece, tendenzialmente ne faccio a meno. C’è stato un cambiamento anche nell’uso dei filtri da applicare alle foto: prima mi piacevano gli effetti saturi e contrastati, ora mi trovo meglio con con filtri più delicati (che sono stati introdotti dopo).
– Nelle tue foto ci sono molti paesaggi che però sembrano essere dei non-luoghi: concordi? E come mai pochi “umani”?
– Dipende come sempre da una combinazione di fattori. In effetti mi hanno sempre affascinato le atmosfere un po’ estranianti di certi quadri surrealisti e metafisici, e forse inconsapevolmente tendo a replicare quelle sensazioni con ciò che ho a disposizione tutti i giorni. Credo infatti che molto dipenda dal contesto ambientale in cui si producono le foto: voglio dire, se abitassi in una grande città forse istintivamente mi sarei avvicinata alla street-photography, ma visto che vivo in una posizione piuttosto decentrata, in cui la componente paesaggistica è di grande interesse, mi viene più facile rivolgere lo sguardo alla natura, cogliendo soprattutto il senso di tranquillità e pace che mi trasmette. Il silenzio, l’assenza di movimento, sono dettagli che mi piace mettere in evidenza. In realtà mi piacciono molto anche i ritratti, ma in quel caso mi sento più a mio agio con una reflex, che grazie ad ottiche diverse, rispetto a quelle dell’iPhone, permette di cogliere espressioni e volti con discrezione, senza avvicinarsi troppo al soggetto.
– Quanto c’è di Emma nelle tue foto?
– Che rispondere? Ti riporto un pezzo della citazione di F. Pessoa che occupa (non a caso) la mia bio su Instagram, rimasta immutata dal primo giorno: I viaggi sono i viaggiatori. Quello che vediamo non è quello che vediamo, ma quello che siamo.” Una foto non è mai oggettiva, è sempre un’interpretazione della realtà, che viene filtrata dai sensi di chi osserva. Se una foto è vera, quindi non forzata, credo rispecchi al 100% il suo autore.
– Intorno ad Instagram c’è un gran parlare, tu come vedi tutti questi cambiamenti e inoltre quanto la tua produzione fotografica è legata ad Instagram. Voglio dire, potresti pensare mai di pubblicare quel che pubblichi su altri social?
– La percezione che posso avere io riguardo a Instagram è sicuramente diversa da quella che ha un utente appena iscritto: l’app è cambiata molto in questi due anni, e averne vissuto tutta l’evoluzione permette di avere un punto di vista molto più ampio sul fenomeno complessivo. A mio avviso ci si sofferma troppo sul presunto conflitto tra Instagram e la fotografia tradizionale, che è forse il modo più superficiale di vedere la questione, mentre molti altri aspetti del fenomeno, anche importanti, vengono trascurati. Come ti ho detto prima, per me Instagram rimane un mezzo, uno dei tanti a disposizione per la condivisione (più che per la produzione, che può essere fatta con molte altre applicazioni) di immagini, anche se oggi è il più conosciuto e apprezzato da diverse tipologie di utenti. Penso che potrei tranquillamente aprire un account su Flickr o altri servizi simili per raccogliere le mie foto, e probabilmente in futuro lo farò. Ciò che distingue Instagram dagli altri servizi è il senso di community, così sviluppato, percepibile dagli utenti fin dal primo momento.
– La fotografia esisteva prima di Instagram, e in che forme?
– Esisteva anche prima: all’inizio con le fantastiche usa e getta (avevo 13 o 14 anni e non perdevo occasione di riempire rullini su rullini documentando qualsiasi esperienza), poi con fotocamere compatte a rullino e infine reflex a pellicola e dal 2005 digitali. La fase della fotografia totalmente inconsapevole dal punto di vista tecnico è finita intorno al primo anno di Università, quando mi sono iscritta a un corso di fotografia, frequentando per un po’ anche un circolo fotografico. Poi ho continuato ad approfondire da sola, soprattutto leggendo.
– Qual è la foto a cui sei più legata?
– Domanda difficilissima. In qualche modo sono legata a tutte, perché ognuna si porta dietro i ricordi del momento in cui è stata scattata; alcune hanno anche un valore particolare perché sono collegate a esperienze su Instagram che ricordo con affetto (amici conosciuti, contest a cui ho partecipato, commenti ricevuti che mi hanno fatto particolare piacere…). Non riesco a sceglierle, mi dispiace!
– Un Instagramers straniero a cui vorresti rubare le foto per pubblicarle tu?
– Potrei dire @komeda (Philip Park). Un maestro della composizione, che con grande delicatezza mette a confronto in ogni scatto la figura umana con l’ambiente circostante, dentro cui sembra quasi perdersi. Ma forse anche @koci (Koci Hernandez): mi piacciono le sue foto scure, con contrasti definiti e frequenti giochi con le ombre di persone e oggetti.