Erik Jensen e i mosaici nati dal riciclo di tastiere di PC
Erik Jensen è dello Utah, ha studiato Educazione Artistica alla Utah Valley University ed è anche stato insegnante di scultura e disegno in una scuola superiore. Ha avuto diversi riconoscimenti artistici nel corso degli anni nel 2010, 2017 e 2018 ed ha partecipato a numerose exhibition come artista. Ma qual è il suo campo d’azione?
Crea dei pezzi unici, quadri, per essere precisi, ricavati da tasti di tastiere di computer inutilizzate per delle opere d’arte riciclate che hanno come materia prima delle parti che nemmeno le grandi aziende sono in grado di riciclare.
I tasti subiscono diversi processi prima di essere fissati sui supporti. Si parte dal processo di pulitura, rimozione dei tasti, colorazione posa, incollaggio ed infine incorniciatura di un’opera unica e spettacolare. Il risultato è quindi un mosaico super colorato.
L’artista ama riprodurre quadri d’autore, da Van Gogh a Mondrian, Vermeer, Hokusai, ma anche loghi di grandi aziende come Google, ma anche fiori, spirali e landscape. Insomma, la sua arte spazia da un estremo all’altro per grandi risultati. Le opere sono ideate per l’esposizione in casa o in ufficio. Le stampe sono disponibili anche in varie dimensioni e gli ordini personalizzati sono ben accetti.
Un velo delicato, quasi trasparente e impercettibile, fluttua davanti ai nostri occhi e filtra la realtà, che diventa soggettiva e mai assoluta. Il filosofo Schopenhauer lo chiamava “il velo di Maya”, quell’impedimento che vieta all’uomo di fare esperienza del reale, che ci illude di conoscere la Verità. Il fotografoDiego Dominici lo pone tra lo spettatore e i suoi soggetti, trasformandolo in effettivo protagonista delle serieAtman e Red Clouds. Le figure – uomini e donne – sono intrappolate nel velo, lottano con esso tentando di evadere, aggrappandosi con forza, cercando di penetrarlo, in altri casi invece lo accolgono, adagiandosi e uniformandosi alla sua morbidezza che persuade. Allo spettatore è permesso solo intravedere le forme dei loro corpi nudi e le loro ossa impresse sulla superficie, in una danza di luci e ombre che trasmettono sensualità e solitudine allo stesso tempo.
Diego Dominici tenta di rompere la bidimensionalità della fotografia, creando due piani di profondità: quello dettato dal tessuto e dalle sue increspature e quello in cui è posizionato il soggetto. L’occhio dello spettatore è portato a muoversi continuamente sulla superficie, cercando di superarla e raggiungere così il soggetto e le sue forme dunque, in altre parole, la Verità. L’analogia con la psicologia umana è dichiarata dal fotografo che vuole “squarciare la bidimensionalità per indagare i grovigli dell’interiorità umana”. Come nei suoi scatti, l’uomo può scegliere di farsi cullare dal velo dell’illusione, farsi accarezzare da una fittizia realtà e rimanere fermo sul suo punto di vista, oppure può scegliere di romperla, raggiungendo così l’altro lato e guardare la realtà da un’altra prospettiva. Il tessuto, o meglio il velo, diventa l’emblema delle barriere relazionali, quegli ostacoli che si interpongono tra noi e gli altri, che ci impediscono di comprendere le ragioni altrui e che creano distanze incolmabili. Allo stesso tempo, il velo diventa parte di noi, una sorta di involucro che ci avvolge e ci plasma, impedendoci di andare oltre. Ma, come diceva Schopenhauer, il velo di Maya dev’essere abbattuto, squarciato come una tela di Fontana, l’uomo deve abbandonare l’involucro come un serpente che cambia la propria pelle, per potersi aprire all’altro. Del resto, cos’è l’amore se non “l’annullamento dell’ego, il crollo di ogni discriminazione cosciente e la rinuncia a ogni metodica scelta”? diceva Salvador Dalì ne La mia vita segreta. Le opere di Diego Dominici invitano quindi a una profonda riflessione intima ma, grazie alla sua estetica attentamente curata, possono anche semplicemente appagare la vista e apparire come opere sensuali, in cui il velo diventa un preludio al piacere intimo.
Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
Basta ascoltare le conversazioni che nascono dentro la propria testa a CecilieMengel per immaginarsi come potrebbero essere rappresentate fotograficamente. L’artista danese e ora residente a New York realizza scatti che sono dialoghi interiori nati dagli stimoli che lei stessa riceve da ciò che la circonda e dalle persone con cui si trova a vivere momenti molto quotidiani. Il risultato è una produzione artistica che è contraddistinta da una forte varietà nei soggetti e nelle ambientazioni, così come nello stile, una volta documentaristico, altre volte più vicino a una certa fotografia posata e teatrale. Si passa da scatti rubati in casa durante una conversazione a dettagli di una latta di salsa Heinz trovata nel porta oggetti di un taxi, tutto ricostruisce una storia comune e quotidiana. Anche la tecnica di Cecilie Mengel rispecchia questa stessa idea di varietà. L’artista infatti combina fotografia digitale e analogica, in altri casi la post produzione aggiunge segni grafici alle immagini. Le luci talvolta sono naturali altre volte forzatamente create con il flash, creando un senso d’insieme magari meno omogeneo ma ricco di suggestioni e raconti personali.
CecilieMengel è stato recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.
Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
Photography
Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
Le foto di Cecilie Mengel sono un dialogo interiore
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Isabella Ståhl è tornata a Nord
IsabellaStåhl è una fotografa svedese che si è trovata a riscoprire i paesaggi della propria infanzia dopo aver viaggiato in tutto il mondo, partendo da Stoccolma fino a New York, Parigi e Berlino. Il Nord rappresenta il punto cardinale dal quale si è spostata inizialmente, tornando poi una volta affinata la propria maturità artistica, che le ha permesso di guardare sotto una nuova luce i paesaggi rurali e malinconici della propria infanzia. Nelle foto di Isabella Ståhl a dominare è la natura con i suoi vasti campi e gli animali selvatici e selvaggi avvolti nella nebbia, che nasconde anche tutto il resto del paesaggio come una coperta bianca. La straordinaria solitudine delle composizioni e la malinconia che entra dritta negli occhi degli spettatori sono due tra le caratteristiche principali del lavoro di Ståhl, fotografa affermata che nel corso della sua carriera artistica ha collaborato con alcuni dei più importanti brand ed editori internazionali. La sua capacità non è solamente quella di saper costruire una storia dietro ai momenti che sceglie di scattare, ma anche restituire come delle sensazioni fisiche di calore, freddezza, dei brividi che rendono protagonisti tutti coloro che si fermano a guardare le fotografie.
IsabellaStåhl è stata recentemente ospite della mostra collettiva ImageNation a New York, dal 10 al 12 marzo 2023 a cura di Martin Vegas.
Da un reel di Instagram del fotografo canadeseSean Mundy si intuisce la complessità delle sue opere fotografiche. I suoi non sono solo scatti ma piuttosto si può affermare che le sue opere siano il risultato di una grande immaginazione veicolata dalla fotografia, da abilità tecniche di post produzione digitale e dalla dettagliata costruzione scenografica. Nel reel infatti, il fotografo mostra il processo di realizzazione dell’opera Summoning che raffigura una serie di corpi precipitare da un’apertura nel soffitto. I personaggi “volanti” alla Magritte sono in realtà la stessa persona: il fotografo realizza molteplici autoscatti mentre si lancia su un materasso, simulando la caduta, per poi lavorarli digitalmente e creare la composizione. Il risultato è un lavoro concettuale e sorprendente, in cui l’armonia visiva accentua e veicola messaggi sociali, con un focus particolare sulle dinamiche di comportamento collettivo.
Ricorrente nelle opere di Sean Mundy è la figura di un uomo incappucciato di cui non è visibile il volto. L’abbigliamento total black che indossa lo rende una figura misteriosa, inquietante e tenebrosa, come se fosse un’ombra senz’anima. Molto spesso il personaggio in nero appare in maniera ripetuta nella stessa opera, creando un gruppo unito somigliante ad una setta, intento in azioni a tratti macabre. In alcune opere il gruppo è messo in opposizione ad un singolo, come nell’opera Elude del 2014, in cui le figure in nero inseguono un uomo in fuga, che si differenzia per l’abbigliamento da uomo comune, in jeans e t-shirt. In altre opere invece vengono eseguiti comportamenti rituali, ne è un esempio l’opera Idolatry che mostra il gruppo inginocchiato davanti ad un enorme cubo nero sospeso nell’aria. Questa serie di opere è un chiaro riferimento ai comportamenti sociali in cui il singolo non possiede una propria identità personale ma piuttosto emerge un’identità collettiva che spinge il singolo ad uniformarsi alla massa, sia dal punto di vista ideologico che estetico. In altre serie il protagonista, solo o in gruppo, è messo in relazione ad elementi che dominano la composizione come il fuoco nella serie Barriers, paesaggi urbani distrutti in RUIN e teli rossi in Tethered, la serie più recente di Sean Mundy. L’intento rimane sempre quello di comunicare problematiche attuali, legate in particolar modo ai meccanismi psicologici umani indotti dall’esterno ma con evidenti ripercussioni intime.