Disegnare l’amore secondo Estine Coquerelle

Disegnare l’amore secondo Estine Coquerelle

Collater.al Contributors · 2 settimane fa · Art

«Disegnare l’amore» sembra una frase troppo sdolcinata ma noi della redazione di Collater.al siamo riusciti a trovare qualcuno in grado di farlo in modo genuino. Con linee semplici e quasi sempre su sfondo bianco Estine Coquerelle è in grado di comunicare i momenti più intimi di una coppia e non solo. Si definisce graphic designer, illustratrice e poetessa e si nasconde dietro a uno pseudonimo. Coquerelle si definisce anche femminista impegnata e attraverso le sue illustrazioni cerca di raccontare – con successo – la sua fascinazione per i corpi.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Estine Coquerelle (@estine.coquerelle)

A guidarci nel suo mondo non è solo il tratto ma anche una serie di scritte che aumentano le proprietà comunicative delle illustrazioni di Estine. Sempre a metà fra il detto e non detto, il disegno può esprimere una varietà di emozioni dalla tenerezza al risentimento non senza dimenticare un velo di ironia. Secondo l’illustratrice, infatti , è possibile anche sfumare l’amore con un po’ di umorismo da accompagnare con dosi ragionate di malinconia e cinismo.

Courtesy @estine.coquerelle

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Secondo Linecheck, la musica è una comunità poliamorosa

Secondo Linecheck, la musica è una comunità poliamorosa

Collater.al Contributors · 2 settimane fa · Art

Torna anche quest’anno l’appuntamento fisso per professionisti e professioniste dell’ecosistema musicale italiano e internazionale, Linecheck. Un’occasione di incontro, confronto e scoperta di tutti i nuovi talenti e nuove tendenze musicali per operatori del settore ma anche per appassionati di musica in tandem con Milano Music Week. Di giorno ci sarà la parte di Meeting e di sera, come da tradizione, quella di Festival che comprenderà tutta una serie di show di musica internazionale e nazionale.

Il tema di quest’anno è #ManyKisses, volendo fare l’occhiolino al concetto che vede la musica come un’ecosistema: una comunità poliamorosa che cresce attraverso il dialogo continuo tra i suoi membri, la circolazione di energia ispiratrice e creativa insieme allo scambio fra personalità affermate sulla scena e artistə emergenti. La volontà di quest’anno è quella di celebrare la diversità e la molteciplità della musica, rendendo omaggio alla straordinaria unione creativa di Cristina Moser e Maurizio Arcieri (a.k.a. Krisma).

Insomma, quest’anno Linecheck offre l’opportunità a generi, culture e stili di fondersi generando esperienze uniche e dinamiche. Il tutto trasmettendo la diversità e la ricchezza della scena musicale contemporanea e promovendo connesioni nuove e stimolanti tra artistə e pubblico. Il tutto dal 21 fino al 25 novembre al BASE, Milano.

Secondo Linecheck, la musica è una comunità poliamorosa
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Matteo Urbani dà un senso critico all’AI

Matteo Urbani dà un senso critico all’AI

Giorgia Massari · 2 settimane fa · Art

L’Intelligenza Artificiale è sempre più diffusa e il suo utilizzo divide l’opinione. In particolare, in campo artistico è spesso contestato l’utilizzo di questo mezzo, accusato di soppiantare la creatività e l’immaginazione. Ma c’è un artista che tenta di svincolare l’AI da questa relegazione e di dare un senso critico al suo utilizzo. Si chiama Matteo Urbani (su Instagram @nurabi_lab) e la sua ricerca in questo campo è volta tanto più alla comprensione del funzionamento dell’AI piuttosto che fermarsi all’aspetto illustrativo – che costruisce la parte più mainstream del suo utilizzo – con l’obiettivo di oggettivare, dunque rendere visibili, i dati digitali nascosti all’interno di un sistema, altrimenti inespressi. In senso lato, la ricerca di Urbani ragiona sull’incontro e sulla collisione tra il mondo antropico e quello natura, sulle alterazioni e sulla conseguente creazione di ecosistemi ibridi complessi. Su questa scia, è evidente come l’approccio all’AI sia stato pressoché automatico e funzionale per la sua indagine. L’AI diventa in questo modo co-creatrice diretta e attiva di un immaginario condiviso, generato dalla stessa collisione tra uomo-artista e artificio-strumento informatico.

Matteo Urbani tende dunque alla stimolazione dell’AI andando a ricercare quei dati nascosti che altrimenti non verrebbero espressi e rimarrebbero in un limbo informatico. È qui che si inseriscono la creatività e la riflessione dell’artista, in grado di elaborare con una personale chiave interpretativa le informazioni esistenti ma intangibili. In questo senso è esemplare la serie Quantum, tramite la quale l’artista compie una ricerca iconografica che ricalca la sua stessa ricerca installativa. Urbani genera ecosistemi ibridi in cui la natura – qui rappresentata dalla componente animale, come pesci e mucche, ma anche vegetale nel caso dei fiori – viene inglobata dalla tecnologia e dal progresso digitale. Ne risulta un immaginario cupo, dal sapore apocalittico che stimola la riflessione e che esplicita il bisogno di prendere coscienza del funzionamento digitale, piuttosto che guardare al risultato finale. Lo stesso artista dichiara: «Tutta la discussione che ruota intorno all’utilizzo dell’AI come strumento creativo non deve finire in un ostacolo alla diffusione del mezzo stesso, che comunque è irreversibile, ma anzi può essere parte anch’essa di un processo critico che ci porta, da artisti, a riflettere sui meccanismi che la governano e, perchè no, a speculare sulle possibili applicazioni, esasperandone anche gli output.»

Matteo Urbani dà un senso critico all’AI
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Nicolò Masiero Sgrinzatto ci porta sulla giostra della sagra di provincia

Nicolò Masiero Sgrinzatto ci porta sulla giostra della sagra di provincia

Giorgia Massari · 1 settimana fa · Art

Como, camminando tra le vie del centro può capitare di passare davanti a Galleria Ramo. Una luce blu proviene dalla sala posteriore ed è facile chiedersi di cosa si tratti. La vetrina fornisce qualche indizio ambiguo. Una serie di opere scultoree rimandano a un universo industriale e meccanico. Si tratta delle opere dell’artista veneto Nicolò Masiero Sgrinzatto. Dalla sola fruizione esterna si percepisce un contrasto visivo tra l’esposizione pulita alla white cube della prima sala e la luce blu retrostante, proveniente da piccole luci disposte a cerchio. Abbiamo incontrato il gallerista Simon J.V. David e l’artista, per scoprire qualcosa in più su queste opere così pulite ed elaborate quanto difficili da interpretare. Il titolo della mostra, Caìgo, – aperta fino al 3 dicembre – fornisce una prima indicazione significativa al fruitore. Il termine è tipico del dialetto veneziano e significa “fitta nebbia”. La ricerca artistica di Masiero Sgrinzatto è fortemente connessa con le sue origini e in particolare con la dimensione provinciale, avvolta dalla nebbia, dalla noia e dalla cultura del lavoro. In altre parole, l’artista focalizza la sua indagine sul tema della fatica e del lavoro, intesi come imperativo morale intrinseco nel tessuto socioculturale veneto. In senso più stretto, l’artista individua la dimensione della sagra di paese come emblema della quotidianità provinciale e, ancora di più, pone l’elemento della giostra come allegoria della realtà a lui circostante.

Entrando nello specifico, le installazioni e le sculture di Masiero Sgrinzatto si sviluppano intorno al concetto di giostra, alla sua funzione ludica e strutturale che viene percepita dall’artista come perfetta metafora di una società dedita alla cultura del lavoro. «La giostra è afflitta, costretta a performare ed alimentare un continuo gioco a perdere, un girotondo senza via d’uscita», ci racconta l’artista che ragiona sul contesto della sagra paesana, tipico luogo “contenitore” di giostre e attrazioni ludiche, in quanto «condizione generale di festa e comunità nella quale, parallelamente, si percepisce una linea di tensione, un contrasto tra forze che contribuisce a definire ed enfatizzare un ambiente iperbolico ed ambiguo». 

Da un punto di vista tecnico e materico, la scelta dell’artista di utilizzare materiali di scarto industriale accentua l’immaginario che intende creare. Nel testo critico di Edoardo Durante il messaggio è chiaro: “l’appropriazione di materiali di scarto come residui di copertoni automobilistici, barre di acciaio, cavi elettrici, cilindri di ottone racchiudono intrinsecamente una condizione di costante fallimento“. Le sue opere sono “macchine in divenire impossibilitate ad esprimere appieno il proprio potenziale, destinate a vivere all’interno di una dimensione precaria e contradittoria, proprio come quella in cui vive l’individuo contemporaneo”. In questo senso, sono calzanti le parole di Simon J.V. David che riassume con chiarezza l’intento dell’artista: «Nicolò Masiero Sgrinzatto, attraverso la sua ricerca artistica, esplora il caos delle interazioni sociali nelle sagre di paese, trasformando la vita provinciale in un intenso palcoscenico per il confronto e il dialogo. Sgrinzatto cattura con maestria la lotta dell’operaio per esprimere il proprio potenziale in un contesto precario, offrendo uno sguardo riflessivo sulla vita quotidiana nelle province».

Courtesy Galleria Ramo and Nicolò Masiero Sgrinzatto
Ph credits Simon J.V. David

Nicolò Masiero Sgrinzatto ci porta sulla giostra della sagra di provincia
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Nicolò Masiero Sgrinzatto ci porta sulla giostra della sagra di provincia
Nicolò Masiero Sgrinzatto ci porta sulla giostra della sagra di provincia
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A Firenze c’è un carcere che fa street art

A Firenze c’è un carcere che fa street art

Collater.al Contributors · 1 settimana fa · Art

Graffiti Art in Prison è un progetto nato nel 2021 in seguito all’invito esteso all’artista francese David Mesguich da parte della professoressa Gabriella Cianciolo dell’Università di Colonia. L’obiettivo? Esplorare l’espressione artistica all’interno delle mura carcerarie, una sinergia tra ricerca scientifica, attività educative e coinvolgimento sociale. Il progetto ha preso vita nel carcere di Sollicciano, a Firenze, un luogo isolato dal resto della città, dove un gruppo eterogeneo di artisti, docenti e studiosi si è impegnato a sfidare i limiti della creatività e della percezione sociale organizzando una serie di workshop con i detenuti. Nel 2022, un incontro fortunato tra David Mesguich e la fotografa americana Martha Cooper, ha portato al suo coinvolgimento del progetto dal punto di vista documentaristico.

«La nostra idea era quella di porre l’arte al centro di un dialogo tra passato e presente, tra individui spesso dimenticati e le possibilità di redenzione attraverso l’espressione artistica» afferma David Mesguich. Un aspetto interessante del progetto è il coinvolgimento non solo dei detenuti ma anche delle guardie carcerarie. Il progetto diventa così un vero e proprio esperimento sociale che ha cercato di abbattere le barriere mentali e culturali. «Abbiamo visto emergere legami umani sorprendenti tra guardie e detenuti, durante un’esperienza che ha trasceso la semplice creazione artistica,» afferma un rappresentante dell’amministrazione penitenziaria coinvolto nel progetto.

Il cuore del GAP è stato il processo di creazione di opere d’arte che mescolavano graffiti e installazioni su larga scala. Non privo di ostacoli, il progetto ha dovuto affrontare resistenze da parte delle autorità carcerarie. «Siamo stati costretti a lunghe negoziazioni per ottenere il permesso di realizzare le nostre installazioni, ma non abbiamo mai smesso di credere nel potere trasformativo dell’arte,» afferma David. Le opere realizzate nel carcere di Sollicciano, ormai smantellate, sopravvivono solo attraverso le fotografie di Martha Cooper, preziose testimonianze di un momento in cui le differenze sono state cancellate e la creatività ha superato le barriere del confinamento. «Le immagini che ho catturato all’interno del carcere sono una testimonianza di momenti in cui le barriere invisibili tra individui sono crollate,» racconta Cooper, riflettendo sulla sua esperienza all’interno del progetto.

Courtesy David Mesguich & Martha Cooper

A Firenze c’è un carcere che fa street art
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